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di Laura Fabbri (allieva del liceo classico Ariosto, Ferrara)
“Non mi vedo come mi vedono gli altri”. Dinanzi al pubblico della sala Estense, la scrittrice Concita De Gregorio, rivela la sua difficoltà nel farsi fotografare: “Avverto un senso di estraneità e disagio che mi fa sentire fuori posto”. Ma questa “non appartenenza” a suo avviso sottintende in realtà una libertà, un’indipendenza. L’occasione per questa confessioni in pubblico è offerta dal Festival di Internazionale. A far da contraltare, la psicanalista Chiara Baratelli – coadiuvata da alcune studentesse del Liceo Roiti – ha gestito un interessante dibattito sull’importanza delle immagini come fonte identitaria, del quale è stata coprotagonista la fotografa Silvia Camporesi, che incalza: “La fotografia è una una terapia, uno strumento di indagine volto a cogliere ed interpretare l’identità personale, vincere il disagio e accettare le imperfezioni; inoltre evidenzia come, in prima persona, sia riuscita a vincere le sue debolezze grazie ai ruoli interpretati nei suoi autoritratti”.
Anche dal pubblico arrivano sollecitazioni: “Che cos’ha il dolore che non ha la gioia?”, domanda una delle studentesse, spiazzando la scrittrice… “Tutte le forme d’arte nascono dal dolore”, risponde direttamente lei, dopo un attimo di riflessione; “quando si è felici non lo si nota, ma quando c’è qualcosa che non è in ordine ci si fa subito caso: “Lo stato di equilibro è il disordine. Quando gli uomini cercano di dare una parvenza di logica alla vita, il dolore si impone più forte”.
Un altro tema affrontato è quello dei social network e come questi abbiano modificato il ruolo della fotografia nella società. L’autrice sottolinea come questi abbiano fatto perdere importanza all’esperienza: “Prima di essere ricordato un momento va vissuto, non si può vivere per vedere cosa si conserverà di questo momento”. Inoltre, sottolinea, spesso i ‘social’ non sono altro che una storpiatura della realtà, una finzione che ha come unico scopo quello di suscitare invidia nell’osservatore, una pura esibizione dove “non è più permesso avere dei difetti”.
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