INCHIESTA
Le identità contese: bullismo omofobico e la battaglia sulla teoria gender
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La principessa Elizabeth sta per sposare il suo principe, ma un giorno un drago lo rapisce e così l’intraprendente e combattiva Elizabeth parte per liberare il suo innamorato, in realtà un ragazzino superficiale e inetto. È la trama di “La principessa e il drago”, una favola che rovescia i tradizionali ruoli di genere. Leggere una storia come questa a dei bambini significa annullare le differenze fra maschio e femmina, confondendoli su cosa significhi essere l’uno o l’altra? O significa tentare di presentare loro più di un modo di essere maschio e di essere femmina? Non più di un mese fa, a una coppia di genitori di Massa Carrara la storia di Elizabeth è apparsa talmente pericolosa da spingerli a togliere la loro bimba dalla scuola pubblica che frequentava. Ancor più grave l’altra motivazione addotta: il fatto di non essere stati avvertiti che la scuola della figlia partecipasse a “Liber* tutt*”, progetto patrocinato dalla Regione Toscana con fondi per le pari opportunità. Altri libri considerati pericolosi sono “Alberto e la bambola”, la storia di un bimbo che stanco di giocare con le macchinine chiede un pupazzo, e “Salverò la principessa”, dove una bimba gioca con l’amica che finge di essere una principessa in pericolo e indossa un’armatura per salvarla. Forse la domanda da porsi sarebbe: cosa significa per ciascuno di noi essere maschio o femmina? E dire maschio e femmina oppure uomo e donna significa la stessa cosa?
Secondo la Società Italiana di Sessuologia i concetti da distinguere sono: sesso biologico, orientamento sessuale e identità di genere. L’orientamento sessuale è l’attrazione emozionale, romantica e/o sessuale, di una persona verso individui dello stesso sesso (omosessualità), di sesso opposto (eterosessualità) o entrambi (bisessualità); il sesso biologico è il sesso genetico determinato dai cromosomi sessuali, mentre l’identità di genere e il ruolo di genere riconducono rispettivamente al genere a cui ci si sente di appartenere e le norme sociali sul comportamento di uomini e donne relative a una determinata cultura ed epoca.
Si moltiplicano nel frattempo i casi di consigli regionali e comunali che approvano documenti contro l’insegnamento nelle scuole della cosiddetta ‘teoria gender’, che annullerebbe le presunte differenze biologiche per ricondurre le diversità esclusivamente all’influenza di condizionamenti culturali, in assenza dei quali fra uomini e donne non sussisterebbero diversità sostanziali. La teoria gender verrebbe introdotta nelle scuole italiane proprio con progetti di educazione all’affettività e alla sessualità o contro la discriminazione, come “Liber* tutt*”, non rispettando così il primato educativo delle famiglie.
Il primato va alla Basilicata, che a fine luglio ha approvato in Consiglio Regionale, con una maggioranza trasversale, una mozione redatta anche grazie alla consulenza esterna del movimento Provita. L’ultima in ordine di tempo è la Liguria, dove il 27 ottobre sono state approvate non una, ma ben due mozioni per mettere “al riparo i bambini e le loro famiglie dal rischio che in tutte le scuole, di ogni ordine e grado, potessero essere introdotte lezioni sulle teorie gender, alle spalle e senza il coinvolgimento delle associazioni delle famiglie”, come spiega il primo firmatario di uno dei due documenti Matteo Rosso, capogruppo di Fratelli d’Italia.
Per quanto riguarda la nostra città, appena il 2 novembre scorso il consigliere comunale Pd Alessandro Talmelli ha chiesto al sindaco Tagliani e all’assessora Felletti chiarimenti “sui progetti educativi all’affettività e sessualità nelle scuole d’infanzia comunali e nelle scuole primarie e secondarie del Comune di Ferrara”. Nell’interrogazione si legge che “non mancano scuole nelle quali si organizzano progetti nei cui diversi indirizzi di pensiero non viene attribuita una sufficiente importanza al dato biologico, ma addirittura viene molto spesso lasciato da parte a vantaggio di scelte del sesso fatte sulla base della propria storia e dei condizionamenti famigliari e sociali”, “un modo di procedere – secondo il consigliere – che rischia di creare confusione e disorientamento nei bambini e ragazzi, in un’età già difficile di per sé, in cui si forma l’identità della persona”. Inoltre Talmelli evidenzia che “non di rado avviene che l’insieme di queste attività sono decise e realizzate senza informare adeguatamente le famiglie e senza coinvolgerle su questioni tanto delicate”.
A scatenare questo dibattito anche in questo caso è la tanto discussa riforma della “Buona Scuola”, che al comma 16 recita: “Il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità, promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori…”. Parallelamente c’è anche la petizione “Stop omofobia a scuola. Nessuno uguale tutti uguali” dell’Agedo (Associazione di genitori, parenti e amici di persone Lgtb), che ha preso il via a marzo. Partendo dalla dichiarazione dell’Unesco secondo cui “Le scuole devono essere luoghi sicuri, devono combattere gli atteggiamenti discriminatori, creare comunità accoglienti, costruire una società inclusiva e permettere l’educazione per tutti”, e considerando la scuola pubblica il luogo privilegiato in cui riconoscere il diritto di tutti a essere sostenuti nel cammino verso “il pieno sviluppo della persona umana”, attraverso la rimozione degli “ostacoli di ordine economico e sociale”, che limitano di fatto “la libertà e l’uguaglianza dei cittadini”, il documento afferma che c’è ancora molta strada da fare se per molti ragazzi e molte ragazze gay, lesbiche, bisessuali e transessuali, la scuola può rappresentare il luogo in cui essere esposti all’insulto, alla derisione, all’isolamento, al bullismo: sarebbero oltre 100.000 le vittime di bullismo omofobico in un anno scolastico in Italia.
Per quanto riguarda la nostra regione una delle ultime indagini sul bullismo, e in particolare sul bullismo omofobico, risale al 2007-2008 e già questo forse è un segnale di quanto siano rare le indagini italiane mirate sull’argomento e di quanto il dibattito su queste tematiche si svolga probabilmente più su posizioni pre-giudiziali che su analisi fattuali e sulla quotidianità vissuta a scuola dai ragazzi. La ricerca si basava su un questionario somministrato in diverse città medio-piccole di Emilia Romagna, Lombardia e Liguria, contattando quasi 3.600 studenti dei diversi livelli di istruzione. Secondo i dati raccolti, il bullismo omofobico vero e proprio veniva osservato dagli allievi della scuola secondaria di primo o secondo grado sostanzialmente con la stessa frequenza: un po’ più del 40% non ne aveva notizia, circa un quinto lo rilevava raramente, altrettanto solo qualche volta, e il 13-17% affermava che fatti del genere avvenivano spesso o continuamente. È stato poi chiesto ai ragazzi di tutti gli ordini di scuole se subissero prepotenze da parte dei compagni e con quale frequenza e modalità. Secondo questa rilevazione le vittime di bullismo erano il 42,1% nella scuola primaria, si dimezzano nella secondaria di primo grado (20,4%) e tornano pressoché a dimezzarsi in quella di secondo grado (11,4%).
Volendo poi restringere ancora di più il campo di osservazione e rimanendo alla cronaca ferrarese, è del 9 settembre l’episodio a sfondo omofobo nel centrale corso Porta Reno ai danni del 27enne Filippo Bergamini e di altri due suoi amici: un’aggressione verbale e fisica della quale si sono resi responsabili tre ragazzi minorenni.
Teoria del gender, bullismo omofobico, progetti scolastici su affettività, orientamento sessuale e identità di genere, e cultura omofoba in senso più ampio: abbiamo cercato di approfondire queste tematiche con alcune persone che se ne occupano per lavoro e per lavoro si confrontano tutti i giorni con i ragazzi.
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Federica Pezzoli
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