Ennesimo viaggio nello spaziotempo. Rovisto tra i miei tanti cassetti della memoria per cercarne l’esclusivo itinerario. Un confortevole e sicuro viaggio d’andata e ritorno in cui non m’annoio mai. E nemmeno mi stanco, perché gambe e braccia non temono le lunghe distanze della mente.
Il mio carburante è la musica, la mia musica, quella solita che m’accompagna fin da ragazzo, che non m’ha mai tradito addolcendo anche i momenti più amari della vita. La inserisco nel serbatoio dei ricordi e parto.
È l’Anno del Gatto e questa volta avevo dieci anni. Pensavo ancora a quelle domeniche silenziose di appena un anno prima, quando potevamo correre e giocare a pallone sulle strade deserte di periferia, e sfrecciare con le bici negli incroci deserti dei semafori spenti. Io e i miei amici, per un giorno alla settimana, padroni della città senza petrolio.
E ci speravo ancora. Speravo che quelle domeniche potessero tornare di nuovo. Ero ancora troppo piccolo perché i problemi dei grandi potessero interessarmi. Cos’era la crisi petrolifera? Non m’importava. La parola austerity per me era soltanto una buffa parola che sentivo ripetere ovunque, solo questo.
Ma quel sogno, durato il tempo di un film in superotto, non si realizzò. S’era ricominciato a giocare nei cortili, nei campetti recintati, lontani dal traffico e dai suoi pericoli.
È soltanto il ricordo di un ricordo, un prodotto di immagini sfumate. Eppure è rimasto tuttora ben presente, perché quei giorni strani, silenziosi, vissuti da me e dai miei amici come un regalo, non sono più tornati.
E proprio adesso, mentre scrivo queste righe senza troppa importanza, l’Anno del Gatto è ritornato. Strane coincidenze che si sommano, rimuginando nella solitudine notturna della mia stanzetta. Faccio una pausa, in fondo non ho molto da dire. Il disco gira e la musica sottolinea un legame mai interrotto tra questo presente e quel passato.
L’Anno del Gatto, ripete la canzone. I riff di pianoforte e basso, gli assoli di chitarra e sax, poi la voce di Al. La magia è tutta qui. Bastano queste note e quella voglia di viaggiare con la mente che non m’abbandona mai.
Avevo dieci anni e non capivo le parole della canzone, ma che importava? Bastava la musica a liberare le emozioni, e le emozioni non hanno argomenti, ma immagini in ordine sparso, attirate dalle note di una canzone trovata per caso una vita fa e mai più dimenticata.
Un luogo lontano, sconosciuto. L’orologio s’è fermato e non so dove andare, cosa fare. Ma non importa chi io sia o cosa faccia, l’avventura è dietro l’angolo. Ciò che conta per davvero è che verrai da me, nel tuo vestito di seta, pronta a sorridermi, a prendermi le mani e portarmi con te.
Nell’Anno del Gatto, oggi come allora, rivivo il sogno di una storia mai vissuta, e la nostalgia di una felicità forse mai posseduta.
The Year of the Cat (Al Stewart, 1976)
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Carlo Tassi
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