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da: ufficio stampa Ordine degli Psicologi dell’Emilia Romagna

Il 18 dicembre è la Giornata Internazionale del Migrante, l’analisi dal punto di vista psicologico dell’Ordine degli Psicologi ER

Spesso, quando si pensa alla figura del migrante, si fa riferimento a profughi e rifugiati. Certo tutti abbiamo nella mente il fiume di persone che è giunto e sta giungendo dai Paesi in guerra, persone disperate che cercano di salvarsi la vita e che solo in un secondo tempo possono incominciare a pensare al loro inserimento nella nuova società e a nuovi progetti. Ma non esiste solo questa forma di migrazione, sono tutt’oggi numerosi i migranti che scelgono di cambiare Paese volontariamente, anche se non sono sospinti da cause gravissime come la guerra: spesso si muovono semplicemente per studiare o cercare lavoro. All’interno della stessa Unione Europea, il fenomeno è ampiamente diffuso. Chiaramente, c’è una certa differenza di motivazioni tra i due tipi di migrazioni, eppure ci sono alcuni elementi in comune. Chi lascia i luoghi di provenienza è spesso disorientato e spaventato, può manifestare depressione, sentimenti di perdita e abbandono: partire è un’esperienza psicologica complessa.
Al momento della partenza prevalgono i progetti e le speranze, il desiderio di costruire una nuova vita e di conquistarsi una positiva autonomia. I problemi possono sorgere quando, dopo un primo periodo, si fa fatica a trovare risposte alla propria necessità di realizzazione e i bisogni affettivi vengono frustrati. In quel caso l’intero progetto esistenziale della persona rischia di fallire. Se la persona migrante percepisce ostilità, incomprensione e diffidenza nel luogo ospitante, venendo a mancare i riferimenti culturali e sociali su cui si è costruita l’identità della persona, possono insorgere pesanti ripercussioni sul piano psicologico, a volte con conseguenze anche fisiche. Gli effetti negativi possono essere tanto più acuti quanto maggiore è l’atteggiamento di sospetto, sfiducia e paura delle persone che si trovano nel luogo d’arrivo.
Chi parte lascia la propria casa, intesa non solo come oggetto fisico ma soprattutto nel suo significato simbolico e psicologico, rappresentando il primo universo e spazio privilegiato per l’individuazione della persona. La casa è il posto in cui rifugiarsi e sentirsi al sicuro, un’ancora di primaria importanza. Tutti i migranti, a causa di questo abbandono, possono condividere un profondo senso di sofferenza nostalgica. Questo sentimento di mancanza e tristezza si dirige verso gli affetti, ma anche verso i luoghi, le abitudini, a volte anche verso qualcosa che non si era particolarmente amato in origine. Ma la nostalgia può non avere un valore necessariamente negativo. Se è vero, infatti, che tale sentimento può essere causa di involuzione e di ritrazione dal mondo esterno, con rimpianti dagli effetti negativi, è anche vero che in essa il migrante può trovare la forza necessaria per affrontare le nuove situazioni e adattarsi. Essa può spingere verso una riappropriazione identitaria forte delle proprie radici che permette di trovare nuove energie. Lo psicologo in ambito clinico può sostenere il migrante analizzando i contenuti soggettivi della nostalgia, che possono evidenziare i bisogni e i desideri del paziente, rivelando anche aspetti intimi del suo passato.
In ultima istanza, emigrare è una sfida difficile che mette alla prova le capacità della persona, alla quale viene chiesta una riorganizzazione importante del proprio bagaglio psichico, sociale e culturale. Se si dispone di capacità di elaborazione, e magari si è aiutati da un adeguato contesto di accoglienza, emigrare può trasformarsi in un’occasione di crescita psicologica e, in un’ottica di scambio, può arricchire culturalmente il luogo ospitante.

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