Ero sulla superstrada per il mare in mezzo a una bufera d’acqua e di vento da far paura, di tanto in tanto l’auto entrava in una pozzanghera-lago e ne usciva a fatica, sempre sbandando un po’; i grandi autocarri cacciavano bordate, vere proprie bombe che colpivano il mio povero automezzo sbattendolo a sinistra e poi a destra, i sorpassi, anche a velocità limitata, erano tentativi di suicidio. Avevo fretta, un appuntamento mi attendeva a Comacchio e in quella baraonda d’acqua cominciai a pensare che sì, effettivamente ha ragione chi afferma che Ferrara è l’ultima città prima dell’infinito.
Qui si fa poco. E’ da quando sono tornato in riva al Po che seguo con incredulo disgusto le polemiche sui lavori pubblici. Sulla bocca dei bolognesi i ferraresi sono coloro i quali dicono “a fazz tutt mi” e poi fanno… niente. Esempio: da quando si parla di un sovrappasso o sottopasso in via Bologna sopra (o sotto) le due ferrovie? Certo, se ne è discusso molto, troppo, ora non se ne parla più, almeno…
Abbiamo costruito un ospedale sulle sabbie mobili, lontano (o quanto lontano!) dal centro cittadino pur, io suppongo, di soddisfare interessi che non conosco, privati naturalmente; abbiamo urlato contro la costruzione del maledetto palazzo degli specchi, che ora è lì – ancora tra le più accese polemiche – a ricordarci il nostro pericoloso, ozioso nullismo: se ne uscirà di certo, ma le opere devono seguire anche i tempi vitali del singolo, sennò che ci stiamo a fare qui in questa valle di lacrime? Mi fermo, non voglio esagerare, ma dico come Trilussa:
“Un giorno leggevo il solito giornale
spaparacchiato all’ombra d’un pajaro
quando vedo un asino e je dico addìo somaro
vedo un porco e je dico addio maiale.
Forse ‘ste bestie nun me capiranno
ma provo la soddisfazzione de pote’ di’ le cose come stanno
senza paura de finì in prigione”.
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Gian Pietro Testa
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