Mentre sono qui, in attesa che il governo venda il nostro oro, ho deciso di dedicarmi con maggiore abnegazione al proverbiale “studio matto e disperatissimo”.
Sono giorni che cerco di decifrare il discorso che l’onorevole Guy Verhofstadt ha scodellato al nostro enigmatico – e palesemente scoglionato – premier Conte e devo confessare che: non ci ho ancora capito niente.
Mi blocco costantemente alla parte in cui parla di trivellare il povero Montaigne tentando un audace collegamento alla TAV o al TAV o come dio santissimo si dice.
O almeno: questo è quel che mi sembra di aver capito.
Goethe, l’Italia, bellissimo paese blah blah blah, premier Conte, le chitarre Eko di una volta e poi: Montaigne blah blah blah trivelliamolo e la mia buona amica Emma Bonino.
Insomma, questo Verhofstadt parla strano e complicato, non è come i nostri governanti che si mettono al livello dei cassonetti pur di farsi capire anche da noi comuni mortali.
A questo punto non so proprio se sia il caso di perseverare nel tentativo di comprendere questo discorso che ha senz’altro già segnato quest’epoca.
Forse sono troppo stupido io, non lo so.
Forse ho letto troppo il povero Guy Debord o forse sono semplicemente – di nuovo – in debito di sonno.
Comunque alla fine, l’unica cosa di cui sono certo è questa: Verhofstadt sembra John Lydon con un toupé.
E a questo punto via col pezzo della settimana.
People can choose (Les Rallizes Denudés, 2002)
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