Skip to main content

 

Valentina Brunet e la sua bicicletta ‘Rosa’ rientrano in Iran dagli Emirati Arabi, percorrono la tratta da Bandar e Lengeh, dirette alla volta dell’Armenia.
Rientrata in Iran, quali altri posti hai visto e girato?

Di questa tratta conservo ricordi riguardanti soprattutto gli incontri. Avevo deciso di viaggiare da sola, senza altri cicloviaggiatori a cui unirmi. Nel cercare luoghi in cui accamparmi, o altre sistemazioni (dovevo mettermi al sicuro di notte), ho conosciuto persone che mi hanno spalancato la porta di casa, ma anche il contrario. Ho chiesto ospitalità nelle moschee, in Iran sempre aperte a differenza dell’Oman, nell’abitazione di un appassionato ciclista, dove alla mia partenza l’anziana di famiglia mi ha gettato dietro un secchio d’acqua in segno di benedizione, alla red crescent (corrispondente della nostra Croce Rossa). Ho pedalato anche in una desolante zona di impianti petrolchimici, respirando aria pesante che bruciava la gola, disseminata di cartelli “No drone zone”.

Quali disavventure ti sono capitate?

Un incidente vero e proprio per colpa di due macchine che sfrecciavano e rischiavano di travolgermi. Ho preferito buttarmi di lato e cadere in un fosso. Per fortuna senza ferite serie e guasti alla bici. Mi sono ritrovata al tramonto in una casa male illuminata, in cui c’erano moltissime donne che fumavano ininterrottamente il narghilè, fumavano e tossivano tutte insieme. Avevano volti terribilmente seri, alcune avevano il volto segnato da grosse cicatrici. Una mi ha raccontato di provenire dall’Iraq. Non mi sentivo la benvenuta. Ho scoperto poi che era la casa di uno dei due guidatori… Sono capitata poi in una cittadina strana, dove girava gente losca, bambini che frugavano nelle immondizie, vecchi che sembravano dei senzacasa e perfino un uomo ubriaco (in un Paese musulmano) e dove l’hotel che avevo trovato su maps.me non esisteva.

Hai visitato luoghi culturalmente interessanti?

Ad Ahvaz, città sulla quale mi avevano fatto mille raccomandazioni perché pericolosa, sono stata benissimo, accolta con gentilezza estrema. A Shushtar l’Assessore al turismo mi ha accolta e fatto visitare il castello romano, patrimonio Unesco, e un’antica Ziggurat (imponente edificio religioso). Sono stata accompagnata in un meraviglioso sito archeologico perfettamente conservato, in cui si leggono chiaramente le scritte di 3000 anni fa. Tutt’intorno maestosi templi.

Lasciate quelle città alle spalle sei entrata nella regione del Kurdistan.

Ho fatto ingresso in questo territorio [Qui] accompagnata da mille raccomandazioni cariche di pregiudizi. In realtà ho trovato gente colorata e sorridente, vestiti nei loro abiti tradizionali belli e particolari. Gente cordiale che mi parlava, improvvisando ogni tanto qualche passo di danza. Ho pensato al loro calvario come popolazione di questa terra di confine con l’Iraq, da sempre in balia di conflitti. Infatti la presenza militare armata era massiccia. Eppure non hanno mai perso il sorriso, l’amore per la musica e la danza, la positività.

Qualche episodio che ha caratterizzato il tuo passaggio in Kurdistan?

Ho trovato persone curiose, che mi chiedevano la mia posizione in fatto di religione. Qualcuno mi ha chiesto perfino se mi piacessero le tombe… Mi sono ritrovata ospite in una famiglia, in cui venivo derisa e trattata con ostilità e, trascorsa la notte, sloggiata sotto un diluvio universale e allarme rosso maltempo.

Com’è stato il tuo passaggio dal Kurdistan all’Armenia?

L’Armenia [Qui] segna la fine del mio viaggio nei Paesi musulmani. Ho risentito parlare la lingua russa dagli ufficiali della dogana, che indugiavano a lungo sul mio passaporto. Ho provato un senso di liberazione. Nevicava, era fine marzo. Mi sono sistemata a Yerevan, la capitale. La prima cosa che ho gustato di cuore è stato un piatto di carote e patate lesse con formaggio di Tabriz, delizioso dopo mesi di cibi cotti per ore ed ore e stufati grassi.

Com’è Yerevan?

E’ una città bellissima, chiamata la “città rosa per il colore dei materiali con cui è stata costruita, granito, marmo, basalto). Architetture affascinanti sparse in tutta la città. Si trova ai piedi del monte Ararat, attraversata dal fiume Hrazdan. Quando l’ho vista ho pensato che fosse la più bella città che non vedevo da molto tempo, dopo tutti i palazzoni e le costruzioni dei Paesi dell’ex Unione Sovietica. In questa città trovo anche un meccanico di biciclette di cui avevo bisogno, che mi stringe la mano. Questo gesto tabù in molti Paesi che avevo attraversato, mi scaldava il cuore. Da lui ho imparato molte cose sulla manutenzione della bici. In ostello ho partecipato a una cena tipica: fegato con cipolla e melanzane, vino di melograno che mi dà una botta di vita.

Com’è proseguito il viaggio in Armenia?

Pioggia che diventa neve e mancanza di sensibilità nelle dita. Ho campeggiato in posti spettrali sotto una bufera di neve, ma mi ha ricompensata la bellezza del paesaggio man mano che procedevo, con alte montagne imbiancate. Verso la fine del viaggio, sono finita ad alloggiare in un edificio che avevo trovato online, recante il cartello “massage”, che aveva tutta l’aria di essere un bordello!

Georgia.

Anche qua [Qui] pioggia, grandine e neve che mi mettevano a dura prova, su una strada piena di grosse buche piene d’acqua fangosa, dei veri e propri guadi da affrontare. Ero bagnata fradicia e infreddolita. A un distributore devo aver fatto molta compassione al benzinaio Andrej, che mi ha invitata a riscaldarmi e sfamarmi con salame e formaggio, per poi invitarmi a casa dalla sua famiglia. Alla ripartenza ho pedalato in discesa verso la pianura e i prati in fiore. Viaggiavo velocemente perché avevo delle date da rispettare: il traghetto e il BAM, il Bicycle Adventure Meeting di Mantova, al quale ero stata invitata. 150 km da quel distributore, 142 il secondo e terzo giorno. Ormai ero perennemente in sella alla bici con un carico che oscilla tra l’80% e il 90% del mio peso corporeo. Le tappe lunghe consecutive mi avevano tolto un po’ il piacere di esplorare, presa com’ero dalla foga di macinare quanta più strada possibile. Avevo viaggiato lentamente per molto tempo e in Georgia era subentrata la fretta di procedere. Sono arrivata a Batumi, una elegante città portuale sul Mar Nero dove ho assaggiato il Kachapuri che altri viaggiatori mi avevano raccomandato, una specie di pizza con i bordi rialzati a forma di occhio, dove sguazza tanto formaggio bollente e al centro viene scaraventato un tuorlo d’uovo crudo. Da Batumi sono partita con il traghetto, sotto la protezione della receptionist, che mi ha tenuta amorevolmente lontani i camionisti bulgari che hanno obbedito senza resistenza. Sono stata accudita e trattata con molto riguardo durante la traversata, con una cabina tutta per me. Gli omoni bulgari mi hanno gentilmente offerto del vino e mi hanno posto molte domande sul mio viaggio, rimanendone impressionati. Sono piovute anche due proposte di matrimonio. Il mio passaggio in Georgia era finito, ora sarebbe toccato alla Bulgaria.

Ferraraitalia pubblicherà prossimamente le interviste a Valentina Brunet, rilasciate durante l’intero percorso.

sostieni periscopio

Sostieni periscopio!

tag:

Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it