Il viaggio di Valentina Brunet in sella alla sua bicicletta prosegue in Kazakistan e successivamente in Kirghizistan.
Com’è stato il tuo arrivo in Kazakistan?
Ho iniziato a pedalare in terra kazaka [Qui] concentrandomi per aprire la mia mente ad una nuova cultura. Ben presto sono stata invitata un po’ ovunque per un tè con pane e burro, marmellata e frittelle. Anche in questo nuovo Paese non è mancata l’ospitalità, molto gradita in particolare quella nelle abitazioni, data la presenza di zone steppose con cespugli pungenti e serpenti, un po’ pericoloso per piantare tenda. Nella guess house di Svetlana ho condiviso perfino la camera con uno dei minatori, clienti dell’hotel, approfittando di comune accordo del suo turno di notte. La difficoltà è stata il vento caldo contrario che rendeva arduo il procedere. Le strade sono pianeggianti e non molto trafficate per fortuna.
Come descriveresti il popolo kazako come cultura e indole?
Ho trovato questo popolo molto ospitale e in tantissimi si sono fermati a fare due chiacchiere per strada, qualcuno mi affiancava in macchina o mi rincorreva porgendomi una bottiglia di acqua fresca. Quando ho avuto bisogno di aiuto per rinforzare un copertone, si è mobilitato un intero paese. Ben presto attorno a me c’era una moltitudine di persone curiose che mi facevano mille domande. Una donna mi ha regalato un foulard e un sacchetto di kurd, uno snack tipico fatto di latte fermentato ed essicato. Il meccanico non ha voluto essere pagato per la riparazione. E per concludere in bellezza, sono stata invitata a casa da un poliziotto e la sua famiglia, dove ho festeggiato il mio 33esimo compleanno. Mi son trovata diverse volte a spiegare che a quest’età sono ancora single per scelta e sono felice così. Voglio vedere il mondo. Mettere su famiglia non rientra tra le mie priorità. Credo non sia facile da capire in questi Paesi dove una ragazza cresce con l’unica idea di doversi sposare e avere figli. Si respira un forte attaccamento alle tradizioni che si scontra a volte con una spinta verso la modernità. Il 70% della popolazione è musulmana ed ho notato molta tolleranza nel consumo dell’alcool e molto rigore, invece, nei confronti della carne di maiale. Nella cultura musulmana l’ospite è un dono inviato da Dio, una benedizione per chi l’accoglierà.
Le difficoltà che hai incontrato?
Le noiose steppe senza fine non sono state senz’altro entusiasmanti senza contare il fatto che non era semplice trovare un buon punto per piantare la tenda. E a volte non era una garanzia nemmeno campeggiare in centro urbano, nel verde di qualche casa. Una volta mi sono ritrovata in un prato dove, in piena notte, la gente scesa da un pullman ha espletato i propri bisogni in una puzzolente buca del terreno, coperta da assi traballanti e altrettante che la chiudevano alla vista. Durante la giornata il sole picchiava forte fino a ustionare la pelle nel mese più caldo dell’anno. Moldir, che avevo conosciuto quel giorno, mossa a compassione, mi ha invitata a pernottare in casa. Giornate torride al limite della tollerabilità, il pericolo dei serpenti in tenda, le molestie di un individuo che, minacciato di una chiamata alla polizia (non avrei saputo che numero chiamare…!), si è limitato a chiedere dei soldi. Rifiutati anche quelli. Mettiamoci anche uno sfratto in piena notte da parte di un tizio su un trattore che voleva campeggiassi da un’altra parte! Anatoli, un camionista che aveva accostato, si è fatto raccontare la mia storia davanti alla cena che offriva, rimanendo impressionato da questa mia vita errante che per me era diventata normale.
Come hai trascorso l’ultimo periodo in Kazakistan?
Ho trovato altri cicloviaggiatori a cui unirmi, Simon e Dominik. Abbiamo viaggiato tranquillamente a 20 km/h in una zona che sembrava la Rimini kazaka, tra spiagge affollate, chioschetti, venditori. Solo che non c’è il mare ma solo un bacino artificiale d’acqua, uno dei più importanti dell’Asia Centrale. Ero felice di non aver ceduto alla tentazione di concludere il mio viaggio dopo le esperienze terrificanti della Mongolia e di aver proseguito stringendo i denti. Ci siamo fermati una settimana a riposare, ottimizzare le attrezzature da viaggio e procurare i visti per il Kirghizistan [Qui].
Cosa succede in Kirghizistan? Ormai a questo punto eri diventata una viaggiatrice esperta…
Ero molto preoccupata perché stavo per affrontare il tratto più impegnativo del mio viaggio, la Pamir Highway, ad altitudini mai provate, ma per fortuna c’erano Dominik e Simon. Mi sono trovata in difficoltà quasi subito, con una gomma a terra e la sacca dell’acqua che perdeva. Risolti i problemi è tornato l’ottimismo e la carica. Abbiamo pedalato oltre 1600 m di dislivello, dagli 800 ai 3180. La fatica veniva ricompensata dal paesaggio mozzafiato: pareti verticali, canyon, tornanti. A tratti ero stremata per la fatica della salita sul sellino di una bici stracarica. C’era anche un tunnel di 4 km da percorrere tra il fumo degli scarichi, senza ventilazione. Dicono che è un suicidio per un ciclista, infatti raccontano che qualche ciclista sia morto. All’interno, macchine ferme col motore acceso ad aspettare il turno di passaggio del senso unico. Nella discesa che ci aspettava Dominik e Simon hanno subìto un’aggressione da parte degli occupanti di un’auto in corsa che hanno aperto la portiera nel tentativo di farli cadere, episodio al quale è seguita una scazzottata. E finisce in quei giorni il mio viaggio in compagnia dei due ragazzi: ritmi, visti e budget diversi lo richiedevano. Ero di nuovo sola.
Come prosegue il tuo viaggio in solitaria?
Le rocce erano diventate rosse e il panorama era cambiato. Finalmente corsi d’acqua e piccoli agglomerati urbani ma anche altri tunnel che facevano accrescere l’ansia e la fretta di arrivare all’uscita. Le temperature erano alte e procedevo costeggiando il filo spinato che separava dall’Uzbekistan, Paese che, mi avevano spiegato, apre e chiude le frontiere arbitrariamente, per motivi incomprensibili. Ho fatto molti incontri: l’italiano Manuele, Greta e Michael, Alessandra e Urbo, Hugo, Harry, e molti altri. Con alcuni mi sono accompagnata in tratti di viaggio. Ho conosciuto anche una nonnina che mi ha messa all’ingrasso con il lagman, una specie di zuppa di pasta al sugo esortandomi ad abbuffarmi.
Cosa ti rimane di questa attraversata?
Le salite, tornante dopo tornante, il vento contrario, i ruscelli e le discese liberatorie, l’apnea per mancanza di ossigeno a 4336 m sul Kyzil Art Pass – alcune alture arrivano ai 7000 m – e il freddo delle sommità dei monti, rispetto al caldo estivo delle pianure. Ricordo il momento dei saluti con gli amici incontrati davanti a strade diverse da intraprendere. Ultimo flash, l’edificio fatiscente della dogana, prima della terra di nessuno, la no man’s land brulla, grigia e desolante. Stavo già pensando al Tagikistan…
Segui tutti i lunedì su Ferraraitalia le interviste a Valentina Brunet, rilasciate durante l’intero percorso.
Leggi tutte le puntate precedenti nella rubrica Suole di vento
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Liliana Cerqueni
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