La trasferta della nostra cicloviaggiatrice Valentina Brunet continua e Ferraraitalia è lieta di poter condividere con i suoi lettori questa grande esperienza di vita. Dalla Mongolia in Russia, Valentina si lascia alle spalle un capitolo movimentato e controverso per andare incontro ad altre realtà.
Finalmente in Russia, Valentina, in quella terra di nessuno che prelude l’ingresso in questo affascinante territorio. Avevi interrotto il tuo racconto pedalando quei 20 km che ti separavano dal confine.
Sono stati 20 chilometri di grande eccitazione, aspettative, slancio. Pedalavo con il sorriso stampato sulla bocca. Uno dei tratti più entusiasmanti del viaggio. Alla dogana mi è stato raccomandato di non andare a caccia di marmotte per via della peste, una veloce compilazione della carta d’ingresso, un controllo, due-tre domande sul trasporto di armi e droga e via! Libera di andare. Ero davvero in Russia [Qui].
Le prime impressioni del nuovo Paese?
Intorno a me vedevo le Altai Mountains innevate, i ghiacciai in lontananza, e avevo l’impressione di un’aria diversa, anche se il vento mongolo soffiava anche là. Ho fatto la prima doccia decente, calda e abbondante dai tempi di Ulaan-Baatar, nella prima casa che mi ha ospitato, non la scorderò mai. Mi ero sempre lavata a pezzi nei torrenti o come potevo, e quel momento a Kosh-Agach segnava simbolicamente la mia nuova ripartenza. Ricominciavo da una doccia! Nel corso del viaggio ho avuto anche il piacere di usare la banya, la loro tipica sauna, il paradiso. Il fuso orario era cambiato, ma mi sono accorta che non importava: ormai mi regolavo con la posizione del sole e con la luce per scansionare il giorno e la notte. Come cambia la percezione del tempo in quelle condizioni! Ricordo che ho esultato nel vedere scaffali pieni di alimenti in un supermercato e ho riempito il carrello di mandorle, caviale finto fatto di alghe, formaggio, frutta fresca e una nuova sim card. Avevo la netta sensazione di essere ripartita col piede giusto, fiduciosa, abbandonando ogni riluttanza nell’attraversare quel tratto obbligatorio per arrivare in Kazakistan.
Com’è cambiato il viaggio, rispetto la tratta in Mongolia?
Strade scorrevoli, poco traffico e panorami mozzafiato. Villaggi rurali non contaminati dalla modernità dove vedevi babushke, nonnine incurvate dal tempo, col fazzoletto in testa, sedute sull’uscio delle porte, bambini che correvano di qua e di là e facevano il bagno nei fiumi. Ci sono tratti con corsi d’acqua impetuosi, passi di montagna, sorgenti, prati punteggiati di fiori colorati che mi ricordano le mie Dolomiti. Mi ero lasciata definitivamente alle spalle un ambiente duro e impegnativo fino allo stremo, per ritrovarmi in un’oasi di tranquillità, che dava benessere e sicurezza interiore.
Che incontri hai fatto e cosa ti hanno lasciato?
La mia prima ospitante era una russa dai capelli rossi e gli occhi a mandorla, i tratti del popolo mongolo: zone di frontiera, dove la mescolanza di razze è evidente. Confezionava a uncinetto centrini fatti di striscioline di plastica. Poi c’è Paul, un poliziotto inglese cicloviaggiatore con il quale ci siamo scambiati consigli utili. Synaru, neomamma trentenne che ha studiato negli Usa, mi ha permesso di piantare la tenda nel suo giardino e di lei ricordo la gentilezza, l’atmosfera della sua banya con luce bassa, vapori, saponi e scrub naturali, la marmellata di rabarbaro, la zuppa di capra affumicata, l’amore per la casa. Sergey e Lilyana mi hanno fatto da accompagnatori nella loro cittadina turistica di Belokuricha, ospitandomi e coccolandomi nella loro abitazione, lo stesso trattamento amorevole che mi hanno riservato Zoya e Alexander. Ricordo ancora l’istinto materno di Zoya e la sua zuppa di cavallo in scatola: niente male. E Poi ancora Tania, con il suo largo e sincero sorriso quasi privo di dentatura e di quella che rimane, due denti d’oro. E poi molti altri incontri. Mi hanno lasciato tutti un grande senso di calore umano, fatto di gesti premurosi e sensazione di essere accettata apertamente, senza riserve.
C’è qualche episodio curioso e divertente che ricordi?
Ci sono diversi momenti che ricordo con un sorriso. Ricordo la curiosità che ho suscitato quando ho piantato la tenda in una spiaggetta sul fiume. Si sono avvicinati due pescatori, padre e figlio, che si sono rivelati poi due gioiellieri armeni, offrendomi parte del pescato. Nello stesso frangente, è arrivata una donna che, qualificandosi giornalista e con l’aiuto della figlia Tatiana che conosceva l’inglese, mi ha posto numerose domande. Mi hanno offerto verdure del loro orto, una crema all’aloe per le scottature, pastiglie per il mal di testa, assorbenti, salviette umidificate. Pochi giorni dopo mi è stata spedita la foto dell’intervista, pubblicata su un giornale locale. Ho incontrato gente generosa e dignitosa, come l’intera famigliola che mi ha svegliata nel cuore della notte per offrirmi di dormire nella loro casa. Per poi farmi avere la mattina per colazione del gulasch caldo e carne in scatola, yogurt, bibite fresche, biscotti e un selfie tutti insieme.
Cosa ti ha lasciato la traversata del territorio russo?
Pedalate distese e leggerezza interiore. Pensavo che il popolo russo fosse austero, scontroso e rude, immaginavo di dover affrontare solo freddo, montagne, salite e valichi, strade accidentate e impervie. Invece non ho mai provato così tanto piacere nell’essere contraddetta da ciò che ho trovato. In Siberia ho trovato posti da sogno in cui campeggiare, famiglie che mi hanno accolta come una figlia. Ho scoperto che a volte la connessione tra le persone è qualcosa di fortissimo: ci si incontra e si stabiliscono legami incredibili. Ho incontrato gente dal cuore immenso, un piacevole clima, una montagna amica e affrontabile e strade scorrevoli. Ho scoperto la gratuità con cui venivo avvicinata per conoscermi, offrirmi ciò che avevano a disposizione, cibo, bevande e perfino qualche banconota (!), in un’epoca in cui il concetto della gratuità è in fase di estinzione.
Come hai trascorso gli ultimi chilometri prima del confine kazako?
Ho incontrato una famiglia che ha accostato la macchina; l’uomo ha fatto scivolare nella mia mano dei soldi e lo stesso ha fatto la moglie. Mi hanno parlato in russo e le loro parole avevano il tono di augurio e raccomandazione, anche se il significato delle parole mi rimarrà sempre oscuro. Mikhailovka è stata l’ultima cittadina prima del confine. 80 km di vento contrario e una serie di salite prima dell’arrivo. Ho pernottato là, presso una signora, e il giorno dopo via! Al confine mi scendevano le lacrime dalla commozione, che non nascondevo nemmeno davanti all’ufficiale che mi stampava il visto di uscita. La Russia mi ha cullata, ha curato le mie ferite, mi ha confortata e rassicurata. Ho continuato senza voltarmi verso la nuova meta, il Kazakistan.
Segui tutti i lunedì su Ferraraitalia le interviste a Valentina Brunet, rilasciate durante l’intero percorso.
Leggi tutte le puntate precedenti nella rubrica Suole di vento
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Liliana Cerqueni
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