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di: Edoardo Nannetti

Raccolgo la sollecitazione di Fiorenzo Baratelli che, in relazione alla polemica sulle parole del vescovo circa l’influenza degli aborti sulla crisi economica, chiedeva conto ai cattolici del loro silenzio nel dibattito pubblico. Credo che Baratelli abbia ragione e colga un punto importante al di la del tema specifico: il silenzio del mondo cattolico rispetto alle ‘provocazioni’ del Vescovo e, ancora di più, rispetto a quanto si muove di fecondo nella chiesa di Papa Francesco.

In quanto cattolico voglio quindi tentare di rompere il silenzio.

Il nostro vescovo è intervenuto spesso nei mesi scorsi su vari temi e con posizioni assai discutibili , di solito opposte a quanto il papa va dicendo, oppure talora con argomenti condivisibili ma posti in un modo (che fa sostanza) che ritengo negativo.

Comincio con l’ultima affermazione di mons. Negri che tanto ha fatto discutere: la legge 194 avrebbe consentito tanti aborti che hanno inciso sulla natalità riducendo la popolazione e con ciò alimentando la crisi economica..

Non credo ci si possa aspettare che la chiesa rinunci alla condanna dell’aborto; d’altra parte sarebbe utile rammentare che neppure i sostenitori della L.194 si possono definire ‘abortisti’, infatti dicono da sempre che l’aborto è cosa dolorosa che la legge deve solo far emergere per fare prevenzione, evitare gli aborti clandestini con rischio per la salute delle donne; la differenza con la chiesa è che questa fino ad ora non condividere questa ‘strategia normativa’. Se i due ‘schieramenti’ prendessero atto della diversa posizione sulla normativa e si impegnassero semplicemente su ciò che condividono (la necessità di prevenire l’aborto) si eviterebbero i toni da crociata, si avvierebbe una proficua collaborazione per la prevenzione e ci si accorgerebbe che il tema della ‘apertura alla vita’ può essere condiviso e forse sviluppato in modo inaspettato ben oltre il tema dall’aborto, contro la vera cultura di morte dei poteri economici e finanziari che creano povertà e morte e distruggono il pianeta consegnatoci in custodia da Dio.

Detto questo, il punto posto dal vescovo è nuovo e singolare: gli aborti provocano la denatalità che alimenta la crisi economica. Nel merito si potrebbe obiettare che la legge ha portato alla luce aborti che ci sono sempre stati e che ci sarebbero stati comunque, perciò non ha inciso sulla natalità. Tuttavia il punto che mi preme è un altro.

Trovo singolare che si sposti sul piano economicistico una questione etica e profondamente umana che dovrebbe essere sottratta al ‘dio mercato’ ed alla sfera dell’economico. Sarebbe come dire che la denatalità dipende dal celibato dei preti, che se mettessero su famiglia la crisi si supererebbe. E’ evidente che nessuna delle due questioni si basa su un discorso economico. Il vescovo non si accorge del rischio che corre con il suo intervento: sostenere la posizione antiaborista con tali argomenti economici significa che, se qualcuno dimostrasse che l’aborto aiuta l’economia, allora sarebbe bene abortire. Non si accorge il vescovo che con le sue parole conferisce potere e si rende subalterno proprio a quel dio mercato che la chiesa dovrebbe contestare nel nome di altri valori.. Insomma un autogol. Da quanto si è letto circa la sua lectio di qualche giorno fa, deve essersene accorto ed ha tentato di correggere il tiro.

La tesi economica del vescovo, poi, cozza con quanto va dicendo in ogni occasione il papa sulle cause della crisi e della povertà: le strutture di mercato e del potere finanziario che alimentano la povertà per arricchire pochi. Il tema è ampiamente trattato nella ‘Evangelii gaudium’ e in numerosi altri discorsi del pontefice che raccoglie ma va oltre la tradizionale dottrina sociale della chiesa, superando una concezione banalizzante della solidarietà e chiedendo che questo valore si traduca in critica politico-economica per il superamento delle strutture del potere economico finanziario che generano sfruttamento dei popoli e cultura dello scarto. Il vescovo sembra non aver colto questo passaggio e anche in questi giorni ripropone la dottrina sociale della chiesa citando Benedetto XVI e ignorando il recente e innovativo contributo di Papa Francesco.

Questo mi consente di rilevare le numerose altre discrasie del nostro vescovo rispetto al vento di innovazione che il pontificato di Bergoglio fa soffiare.

Non che questo sia di per sè illegittimo: fa parte del dibattito nella chiesa. Tuttavia sarebbe bene esserne consapevoli anziché alimentare, come ha fatto anche il vescovo, una falsa idea di continuità tra questo pontificato e quelli precedenti o, peggio, una falsa adesione al nuovo Papa mentre se ne contraddicono le proposte. Non toccherò i singoli episodi, magari lo farò in altro intervent se mi sarà consentito. Dico solo che molti cattolici sentono una grande distanza tra la pastorale di mons. Negri e quella del Papa. Lo stesso dibattito sui temi del sinodo sulla famiglia, che il Papa ha voluto libero e aperto, qui è stato soffocato e ridotto alla riaffermazione delle posizioni più chiuse. Ma il problema qui non è il vescovo, bensì lo strano rapporto tra credenti e gerarchie che porta il popolo di Dio, la chiesa come popolo, ad essere quasi sempre subalterna alle gerarchie che non vanno contraddette. Il papa invece ci sta insegnando che una chiesa che discute liberamente ed apertamente, che ascolta il popolo, è una chiesa viva, altrimenti muore negli steccati normativi lontano dalla vita delle persone. Ecco il punto posto da Baratelli (che cattolico non è) ai cattolici: uscite allo scoperto e discutete. E’ un tema importantissimo per noi cattolici. Ciò vale anche per il bene del vescovo. Non basta che ci chieda di pregare per sostenerlo nelle sue battaglie (che possiamo considerare sbagliate); serve invece che il popolo della chiesa si faccia sentire per dare al suo vescovo, anche contraddicendolo, elementi di comprensione e punti di vista differenti che gli consentano di pensare il suo ruolo come in cammino ed in trasformazione insieme a noi, non sopra di noi. Lo Spirito Santo cammina nel cuore e con le gambe di tutti noi e non può arrestarsi di fronte alle gerarchie. Un merito delle provocazioni del vescovo è averci costretto a portare allo scoperto questo tema. Credo che il nostro vescovo troverà appoggio ed aiuto da una maggiore dialettica, ed anche certe sue posizioni potranno meglio precisarsi perdendo aspetti  talora truci e ‘vendicativi’ (come su halloween, dove ha detto cose interessanti in modo inutilmente repressivo di innocenti giochi di bimbi) per far emergere il loro fondo gioioso e di vita, superare una pastorale del ‘no’ per passare alla pastorale del ‘si’, della misericordia. Il Papa nella ‘Evaangelii gaudium’parla di questa pastorale, fatta meno di ‘ legge’ e più di ‘Grazia’, di una chiesa non ‘dogana di controllori’ ma che facilita ‘con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone’ nella loro ‘ vita faticosa’ , che non appesantisca con precetti che fanno apparire la religione come schiavitù ma faccia emergere il messaggio di libertà e di gioia. .

Potrà il nostro vescovo convertirsi a questo metodo? Io penso di si: con l’aiuto dello Spirito Santo  e con l’aiuto ed anche l’affetto di tutti i credenti che si fanno portatori dello Spirito. E’ una conversione che non riguarda solo lui ma tutti noi, tutta la chiesa.

 

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