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Diciannove mesi di informazione martellante e sistematica sulla pandemia hanno finito col creare un diffuso clima di paura che alimenta le tensioni sociali e le semplificazioni irrazionali.  La paura, si sa, è madre dell’odio ed è l’opposto dell’amore: a livello soggettivo terreno fertile per la sofferenza e l’insorgenza della malattia, a livello sociale strumento nelle mani di chi gestisce il potere. Uscire dalla paura è dunque il primo passo (sociale) per affrontare collettivamente la sfida del Covid-19, il primo passo (soggettivo) per evolvere verso una maggiore tranquillità e consapevolezza, senza tuttavia abbandonare prudenza e attenzione che restano quanto mai indispensabili in periodi di crisi perdurante.

Diciamolo: quella che poteva essere, pur nella sua drammaticità, un’occasione per ragionare sui limiti dello sviluppo e sulle impellenti necessità del pianeta, un’opportunità per riflettere a fondo su stili di vita insostenibili e disfunzionali, uno stimolo per meditare sulla personale consapevolezza, si è ormai trasformata in uno scontro corrosivo che contrappone orizzontalmente cittadini a cittadini generando drammatiche e profonde fratture dentro le istituzioni, le imprese, le associazioni e perfino le famiglie. Quella che poteva essere l’occasione per inventare qualcosa di nuovo è diventata tosto una pressione per tornare alla normalità di prima, ai vecchi comportamenti e rituali sociali, alla routine proposta ed imposta dalla religione universale del consumo.
Tutta la vasta, drammatica e affascinante tematica del virus, che sottende il rapporto dell’uomo con la natura, i limiti della bio-ricerca, le relazioni tra esseri umani e tra specie, è stata ridotta allo scontro sull’obbligo vaccinale e  il  green pass quando non tradotta nel reciproco accusarsi di destra e sinistra, con una perdita di complessità e di onestà intellettuale francamente umiliante.

E’  possibile modificare questa narrazione che avvelena i rapporti sociali senza cadere nell’eccesso opposto?
E’ possibile alimentare una prudente fiducia che possa aiutare ad uscire dalla paura prima che, con la fine dell’estate, il rancore e l’odio sociale alimentato da più fonti, diventi insostenibile e ancora più drammatico?

Il sito della John Hopkins University [qui] – che da inizio pandemia monitora l’andamento del fenomeno –  segnalava il 21 agosto, a livello mondiale, quasi 211 milioni di casi (contagi), 4.415.304 morti e 4.873.203.990 dosi di vaccino somministrate. Un dato quest’ultimo che lascia intuire il colossale business che sta dietro il vaccino anti Covid come messo in risalto nel rapporto curato da Oxfam ed Emergency pubblicato a luglio di quest’anno [potete leggerlo [qui], dal quale stralcio per invitarvi alla lettura questa frase: “Il CEO di Pfizer ha suggerito che si potrà arrivare fino a 175 dollari per dose, ossia 148 volte il potenziale costo di produzione (che è oggi inferiore ai 3 euro).

Ma veniamo all’Italia e ai suoi numeri. Il sito Epicentro dell’Istituto Superiore di Sanità, pubblica ed aggiorna costantemente il rapporto sulle caratteristiche dei pazienti deceduti positivi all’infezione SARS-Cov-2 in Italia. Nell’ultimo aggiornamento del 21 luglio 2021[qui] sono descritte le caratteristiche di 127.044 pazienti deceduti e positivi al virus (formula quest’ultima correttissima che i media si guardano bene dall’utilizzare preferendo titoli come “Morti per Covid”, “Uccisi dal Covid”, “Strage del Covid” e così via, evitando sempre di citare lo stato di salute  dei defunti prima di essere contagiati).
L’età media dei deceduti è di 80 anni (mediana 82, range 0-109, Range InterQuartile – IQR 74-88), mentre l’età mediana dei deceduti è più alta di oltre 35 anni rispetto a quella dei pazienti che hanno contratto l’infezione.
Prosegue il rapporto: “Al 21 luglio 2021 sono 1.479, dei 127.044 (1,2%), i pazienti deceduti SARS-CoV-2 positivi di età inferiore ai 50 anni. In particolare, 355 di questi avevano meno di 40 anni (221 uomini e 134 donne con età compresa tra 0 e 39 anni. Di 105 pazienti di età inferiore a 40 anni non sono disponibili informazioni cliniche; degli altri, 206 presentavano gravi patologie preesistenti (patologie cardiovascolari, renali, psichiatriche, diabete, obesità) e 44  non avevano patologie di rilievo diagnosticate”.
Vale la pena ribadire: durante tutta la pandemia i deceduti di età inferiore ai 40 anni sono stati 355 pari allo 0,26%; di questi la maggioranza presentava gravi patologie preesistenti.
In aggiunta le indagini svolte su un campione opportunistico (dunque non statisticamente significativo) di 7681 deceduti per i quali sono state analizzate le cartelle cliniche mostra che il 97% aveva una o più patologie (il 67,4% 3 o più) e solo il 3% presentava 0 patologie.

A fronte di questi numeri, la narrativa mediatica dominante negli ultimi mesi ha imposto, da un lato l’idea della strage indiscriminata e, dall’altro, l’idea che solo il vaccino sia la soluzione unica e indubitabile al problema della pandemia. Questa centralità vaccinale può forse essere ricondotta al ruolo assunto dall’Italia [qui] che nel 2014 (governo Renzi, Ministro Lorenzin) divenne guida per 5 anni delle strategie e campagne vaccinali nel mondo.
In verità, la stessa Commissione Europea – che caldeggia comunque la vaccinazione massiccia – ha pubblicamente dichiarato che ci sono promettenti alternative sulle quali si sta lavorando alacremente.
Infatti, dopo aver lanciato a giugno 2020 la strategia UE sui vaccini [qui], ha provveduto ad inizio maggio 2021 ad integrarla con una ulteriore strategia UE per lo sviluppo e la disponibilità delle terapie [qui]. A fine giugno ha quindi resi noti i 5 prodotti [qui] che  hanno elevate possibilità di figurare tra i 3 nuovi strumenti terapeutici contro il Covid-19 da autorizzare entro ottobre 2021; entro lo stesso mese seguirà un portafoglio più ampio comprendente 10 possibili candidati con l’obiettivo di approvarne ufficialmente altri 2 entro la fine dell’anno.
Ecco l’esatta citazione estrapolata dal testo pubblicato pochi mesi fa: “Sulla base del lavoro del gruppo di esperti sulle varianti della COVID-19 istituito di recente, la Commissione definirà entro ottobre (2021) un portafoglio di almeno 10 possibili strumenti terapeutici contro la COVID-19. Il processo di selezione sarà obiettivo e basato su dati scientifici, con criteri di selezione concordati con gli Stati membri. Dal momento che sono necessari tipi di prodotti differenti a seconda delle popolazioni di pazienti e delle fasi e della gravità della malattia, il gruppo di esperti individuerà le categorie di prodotti e selezionerà gli strumenti terapeutici candidati più promettenti per ciascuna categoria sulla base di criteri scientifici”.

Anche L’Agenzia Italiana per il Farmaco (AIFA) ha reso noto l’elenco dei farmaci utilizzabili per il trattamento della malattia Covid-10[qui] corredato da una serie di schede specifiche per ogni farmaco citato con le relative modalità di prescrizione.
Sempre l’AIFA in una nota datata 10 agosto scorso [qui] ha comunicato che sono già disponibili farmaci (efficaci per tutte le varianti) con anticorpi monoclonali per la Covid-19 lieve o moderata, utilizzabili anche per pazienti che sono a rischio di progressione severa della malattia e sono in ossigenoterapia.

Non solo vaccini dunque: la strategia per gli strumenti terapeutici si affianca alla strategia UE per i vaccini “con l’obiettivo di prevenire e ridurre la diffusione dei casi, così come i tassi di ospedalizzazione e i decessi causati dalla malattia”.
Anche in questo caso, però, i media non hanno dato evidenza ad informazioni così importanti preferendo di gran lunga continuare ad insistere con il bollettino quotidiano dei morti, la polemica sulle (non) vaccinazioni (seguendo il mantra citato da molti nominati esperti d’ufficio e politici: “al vaccino non c’è alternativa“) e la diffusione del green pass.

Torniamo per un attimo ad inizio pandemia. In pieno lockdown i media avevano dato spazio alla terapia del compianto De Donno, poi misteriosamente sparito dagli schermi, dai giornali e dalla discussione pubblica fino al tragico epilogo. Nello stesso periodo (marzo 2020) nasceva un Comitato [qui] finalizzato a fornire supporto ai cittadini durante l’emergenza Covid-19, per scambiarsi informazioni cliniche e mettere a punto un protocollo di cure domiciliari in assenza di direttive specifiche. Da questo è nato un gruppo che è enormemente cresciuto nel tempo fino a raggiungere su FaceBook [Qui] le 628.000 persone (20 agosto).
A dicembre 2020 anche il Ministero della Salute aveva prudentemente licenziato una circolare per la gestione domiciliare dei pazienti con infezione da SARS-CoV-2 [qui] provvedendo successivamente a fornirne adeguato aggiornamento datato 27 aprile 2021[qui].
L’ipotesi sottostante alle cure domiciliari è quella che il Covid-19 sia una malattia che deve essere affrontata ai primi sintomi nella propria casa, evitando così in molti casi un peggioramento verso forme più gravi che costringano al ricovero in ospedale.
Il comitato (cito dal sito) informa attraverso il supporto di medici specialisti sui possibili farmaci che possono essere usati per contrastare il Covid-19 e sui protocolli di cura che vengono adottati con successo in diverse strutture sanitarie; combatte per ottenere un protocollo nazionale di cura domiciliare e per il rafforzamento della sanità territoriale in ogni regione, opponendosi nei tribunali a norme ingiuste che impediscono ai medici di agire secondo scienza e coscienza nella cura dei propri pazienti; aiuta i malati di Covid-19 che si trovano a casa attraverso il supporto gratuito di medici volontari, contribuendo così ad evitare il collasso del servizio sanitario pubblico a causa di un afflusso disordinato nei pronto soccorso degli ospedali.
Stranamente, però, neppure l’esistenza di queste alternative alla cosiddetta “vigile attesa e al ricovero” ha trovato forte eco sui media mainstream sempre concentrati nel promuovere a tamburo battente la logica della vaccinazione di massa e (in modo sempre meno convinto vista l’insidia delle varianti) dell’immunità di gregge (due termini massa e gregge che dovrebbero far riflettere quanti credono nei diritti della persona e nella democrazia).
Assai scarsa è stata anche l’attenzione dei media nel consigliare e promuovere tutte quelle azioni di prevenzione che andassero oltre l’uso della mascherina, il distanziamento sociale, l’evitare luoghi sovraffollati e l’aerare le stanze chiuse.

Vaccini, farmaci, cure domiciliari e attività di prevenzione sono tutte soluzioni valide per affrontare la pandemia; tutte hanno a che fare con la scienza o, meglio con la ricerca scientifica e con un sano atteggiamento scientifico nel descrivere e nell’affrontare i problemi.
La validità di tutte queste soluzioni può essere infatti testata e valutata adottando le procedure standard che si usano comunemente, avendo il giusto tempo a disposizione per giudicare gli effetti immediati, di breve, medio e lungo periodo. 

Ora, se mettiamo tutto insieme ne emerge un quadro assai diverso da quello univoco al quale da 19 mesi siamo quotidianamente sottoposti.
– Innanzitutto (e senza nulla togliere alla serietà della situazione) i decessi si concentrano nella popolazione più fragile già gravata da patologie e in particolare tra gli anziani: rari sono i casi di persone giovani e sane decedute a causa del virus.
– In secondo luogo, il covid-19 può essere affrontato con strumenti farmacologici e non solo con la vaccinazione che tanti timori e polemiche sta creando.
– Terzo, al presentarsi dei sintomi sono possibili cure domiciliari efficaci.
– Infine,
 ogni cittadino ha comunque la possibilità di informarsi meglio e di adottare uno stile di vita più sano, applicando comportamenti responsabili a tutela della propria ed altrui salute.

Sapere che, nel contesto di un approccio che deve essere comunque orientato a grande prudenza, esistono più possibilità per affrontare la pandemia, dovrebbe contribuire a far uscire dalla paura, a riacquistare lucidità intellettuale, a ristrutturare il conflitto tra opposte fazioni ormai accecate dall’odio, a ristabilire un sano confronto tra punti di vista differenti.
Il che non è poco, dovendo affrontare un autunno che – dopo gli eccessi estivi – si preannuncia molto difficile, anche per l’effetto di una rappresentazione mediatica che, temo, continuerà ad essere colpevolmente limitante ed unidirezionale.

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Bruno Vigilio Turra

È sociologo laureato a Trento. Per lavoro e per passione è consulente strategico e valutatore di piani, programmi e progetti; è stato partner di imprese di ricerca e consulenza e segretario della Associazione italiana di valutazione. A Bolzano ha avuto la fortuna di sviluppare il primo progetto di miglioramento organizzativo di una Procura della Repubblica in Italia. Attualmente libero professionista è particolarmente interessato alle dinamiche di apprendimento, all’innovazione sociale, alle nuove tecnologie e al loro impatto sulla società. Lavora in tutta Italia e per scelta vive tra Ferrara e le Dolomiti trentine.


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it