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di Alessandro Oliva

Un’espressione apparentemente torva e introversa, ma capace di regalare al contempo calma e serenità, un ciuffo spropositato, occhi lucidi e attenti: David Lynch, il regista-culto, non è certo un personaggio qualunque e Fabio Fazio, che lo ha recentemente ospitato nel noto programma “Che Tempo Che Fa”, ha avuto modo di scoprirlo, rimanendo anche, a tratti, stupito. In primo luogo, infatti, Lynch si dimostra estraneo a tutto ciò che viene propriamente detto “lynchiano”, all’intima oscurità e alle intricate tenebre che percorrono le sue opere cinematografiche. Il regista non è ne angosciante ne angosciato, scherza con Verdone e riesce contemporaneamente a mantenere attorno a sé un alone di mistero, grandiosità e tranquillità; soprattutto però non parla solo di cinema, ma anche di qualcosa che gli fa brillare gli occhi di una luce viva ed estatica, il vero motivo per cui d’altronde si trovava in Italia in questi giorni: la meditazione trascendentale, una pratica mentale portata alla luce dal maestro indiano Yogi, noto mentore spirituale dei Beatles, e promossa in tutto il mondo da Lynch attraverso una fondazione apposita, la Foundation for Consciousness-Based Education and World.

Questa tecnica di meditazione, che si avvale anche di numerosi riconoscimenti scientifici, viene descritta dal regista come un “tuffarsi dentro”, il raggiungimento di una consapevolezza e di una coscienza assolute che ci mettono in contatto con un campo unificato e ci permettono di accedere a qualità positive illimitate. Insomma, in una sola parola, trascendere.

Fazio è lievemente turbato dalla spiegazione di Lynch, teme che il pubblico televisivo domenicale non sia in grado di apprezzarla, o di digerirla, ma non riesce a frenare il fiume di parole che, seppur pacate, si riversano sugli spettatori portando con sé tutta la frenesia e la passione del regista, che si congeda sottolineando come la meditazione sia uno strumento fondamentale per la pace e lo sviluppo negli individui e dunque nel mondo, un mezzo che, dice arditamente, spera che adotti anche il Papa.

Forse le parole di Lynch possono suonare stereotipate, banali, più consone a un santone indù che a un artista del suo calibro, tuttavia ospitano al loro interno un verbo fondamentale che probabilmente racchiude in sé la soluzione a molti problemi: trascendere, ovvero andare oltre, superare la superficie e cogliere una realtà più profonda.

A mio avviso, il motivo per farlo risiede in più elementi: perché spesso il mondo è arido; perché frequentemente ci troviamo a vivere di routine, di cose, di avvenimenti, di sensazioni e legami che dominano la nostra realtà lasciandoci invischiati, disillusi, incapaci di sorprenderci, di cogliere la vera essenza di ciò che ci circonda e che sperimentiamo; perché progressivamente la nostra vita si orienta in uno spazio esterno che con tutte le sue dinamiche erode quello interno, a ciascuno di noi.
Ci sorprenderebbe infatti sapere quanto poco ognuno di noi pensa a sé stesso e a quanto velocemente, automaticamente e sistematicamente formuliamo ogni pensiero o giudizio, vittima di sistemi mentali, pregiudizi e stereotipi molto più del previsto.

Se, dunque, la pratica suggerita da Lynch sia efficace o meno, è qualcosa che va scoperto; ad ogni modo, desidero apprezzare il messaggio insito in essa, perché di una cosa sono sicuro: voglio essere conscio, voglio essere consapevole e capace di comprendere me stesso per comprendere ciò che mi circonda. E tutto ciò lo devo non solo a me stesso, ma anche a tutti gli altri.

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Redazione di Periscopio



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