IL TEST
Deck Tape e amplificatori, quando il suono scorreva su nastro
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2. SEGUE – Il nome Sanyo significa “tre oceani” ed è riferito all’ambizione del fondatore di vendere i propri prodotti, a livello mondiale, attraverso l’oceano Atlantico, Pacifico e Indiano. Le prime produzioni riguardarono fari per biciclette, radio di plastica (1952) e lavatrici a pulsanti, una novità per il Giappone del 1954. La società nipponica ha collaborato con Sony per la creazione dei formati video Betamax e Video8, poi le strade si sono divise per questioni legate alle nuove tecnologie: Sanyo ha supportato il formato Hd Dvd per i film ad alta definizione, mentre Sony ha puntato sul Blu-Ray, divenuto in seguito lo standard di riferimento per i nuovi dischi a lettura ottica. Sanyo ricevette, per tre anni consecutivi, il premio J.D. Power and Associated per la maggiore soddisfazione dei clienti degli 8 più famosi produttori di telefoni cellulari, nell’ultimo decennio questo premio è stato assegnato ad Apple per l’iPhone.
Il 7 novembre 2008 il consiglio di amministrazione annunciò che la società sarebbe stata incorporata da Panasonic, creando così il più grande polo mondiale nel settore Hi-Tech.
Il 1º marzo 2011 Sanyo ha cessato di esistere.
Abbiamo testato alcuni componenti Hi-Fi Sanyo riscontrando spesso un “valore aggiunto” rispetto ai prodotti concorrenti, per esempio nei Deck Tape è quasi sempre presente la regolazione del suono in uscita, negli amplificatori si può selezionare il reverse tra il canale destro e sinistro, per non parlare della presenza del circuito di equalizzazione (JA 7110, JA 300). Tra i registratori di audiocassette ci ha incuriosito l’RD-5500, costruito con una sofisticata ingegnerizzazione meccanica ed elettronica, in grado di alloggiare al suo interno la cassetta e di gestirla tramite spie e sensori.
Ricerca, design e genialità sono alla base di questo progetto, il cui risultato ha prodotto un apparecchio stilisticamente originale e dal suono “imbarazzatamente” brillante. Lo stesso deck fu commercializzato con il brand “Otto” mentre, con il marchio Grundig, fu prodotto il “gemello” RD-5600, del tutto simile al precedente ma privo dell’originale sistema di alloggiamento del nastro.
I nostri test sono proseguiti con l’amplificatore DCA 611 e il tuner FMT 611UL, riportati “in vita” da Innokentiy Fateev, un noto pittore russo con la passione dell’Hi-Fi: “Non sono un tecnico ma mi piace studiare l’elettronica. Mi ha stupito la semplicità con cui è stato disegnato il circuito. Certo, già da qualche tempo i giapponesi avevano cominciato a semplificare i circuiti per tagliare i costi della mano d’opera, quindi l’introduzione dei moduli STK all’interno dell’ampli finale sostituivano i componenti discreti. Sui blog si trovano varie opinioni riguardo a come la qualità del suono sia migliorata o meno con queste modifiche, il fatto che l’ampli in questione sia arrivato fino ad oggi con i suoi STK originali funzionanti mi fa pensare che siano stati costruiti molto bene. Un’altra cosa che mi ha stupito è che, nonostante le condizioni nelle quali l’ho trovato (era messo male, l’ho comprato forse per pietà), dopo la pulizia dalla ruggine e dalla sporcizia, tutti le luci funzionavano! Su un blog americano ho letto un paio di storie di gente che ha trovato lo stesso apparecchio abbandonato per strada, in condizioni pietose e, con un po’ di lavoro, è riuscita a rimetterlo “in moto”; come dicono gli amici su audio karma: “… costruito come un carro armato”. Ho fatto alcune prove paragonando il suono con il mio Marantz 2270 (restaurato di recente con i condensatori nuovi) e con il Pioneer SX 780 e direi che il suono assomiglia più al Pioneer, che tende verso un suono frizzante, meno colorato del “caldo” Marantz, suono dinamico e pronto.”
E continua, “La canzone “Owner of a lonely heart” degli Yes, suonata con un DCA 611, è veramente un perfect match… Questa, comunque, è una questione di gusti, piccole sfumature. Rimane un amplificatore ampiamente sottovalutato, sconosciuto, che sicuramente meriterebbe un posto d’onore a fianco dei suoi competitori giapponesi”.
Continua… Il prossimo articolo prenderà in esame il design giapponese degli anni ’70 e ’80, la cui evoluzione si ispirò al movimento postmoderno italiano di Memphis e Studio Alchimia.
Per leggere la prima parte dell’inchiesta clicca qui.
Si ringraziano: Massimo Ambrosini [vedi], Lucio Cadeddu, Direttore della rivista “Tnt-Audio” [vedi]
Innokentiy Fateev [vedi].
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William Molducci
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