Il tempo dell’attesa
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“Si attende che la vita faccia un passo e la pianti di stare in bilico, pericolante su se stessa. Si attende qualcuno, o qualcosa, che prenda tutti i silenzi e lasciandoli cadere, quasi per sbaglio, li mandi in frantumi”. (Mattia Signorini, Le fragili attese)
Quante volte abbiamo atteso, quante volte lo abbiamo fatto invano e quante con successo. Poco importava il luogo, le persone che ci passavano accanto. Il momento dell’attesa era solo il nostro e di nessun altro, un momento lungo e inafferrabile. Ma noi lì imperterriti, instancabili, inafferrabili, decisi ad attendere qualcosa o qualcuno. Sempre e comunque, qualunque cosa fosse, riflettendo, leggendo, giocherellando con le mani o semplicemente guardando il cielo azzurro. Molte di queste nostre storie potrebbero essere facilmente quelle di “Le fragili attese”, raccontate da Mattia Signorini in un crescendo di vite che si incontrano e si sfiorano. Il luogo: la pensione Palomar, nella grigia periferia di una grande città. Un luogo come un altro, quello che potrebbe essere la sala d’attesa di una stazione, la hall di un aeroporto, la camera di un albergo sul lago in una domenica autunnale. La storia: quella di Italo, il proprietario della pensione, che a quasi ottant’anni ha deciso di chiudere per sempre. Potrebbe essere la storia di ogni persona che alla fine di un lungo e faticoso percorso lavorativo decide che ora basta. Tanti ospiti, gli ultimi, arrivano a questa piccola pensione con le proprie storie: Guido, un professore d’inglese che deve (re)insegnare a parlare a una bambina diventata muta per la morte della mamma; il generale in pensione Adolfo Trento, per il quale la soluzione di ogni pace sta nella guerra; Lucio Ormea, alla ricerca del padre che non vede da lungo tempo; la cassiera Ingrid, un’ex-arpista con il polso spezzato che, di notte, si accompagna occasionalmente a tanti uomini anonimi; e la fedele e sempre presente domestica Emma, a cui Italo è legato e capiremo solo alla fine perché. Il tutto mentre l’anziano Italo legge lettere d’amore ritrovate per caso nella spazzatura scritte negli anni Cinquanta da una giovane ragazza a un uomo che non si accorge, a chi lascia attendere pur non volendo farlo. Vite in bilico, attese di silenzi che possano essere frantumati, da qualcosa o qualcuno, con impeto o leggerezza. Alla ricerca di spazi aperti dove poter riposare, di giorni liberi per provarsi i vestiti eleganti della festa, di frutti che cadano liberi in mani che siano pronte a raccoglierli, di passaggi d’accesso ritrovati, di attimi che lascino leggere questa vita che, per molti, si fa attendere e desiderare. Un intenso, delicato e bellissimo romanzo sulle attese in cui, tra speranze e delusioni, capita che la vita spesso si incagli. Da leggere.
Mattia Signorini, Le fragili attese, Marsilio.

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Simonetta Sandri
PAESE REALE
di Piermaria Romani
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)