Chi si aggira in questi giorni per i paesi e le città del Nord Italia scopre l’intensità del silenzio. Il Covid-19, che costringe tutti a casa, ha svuotato i normali luoghi di socialità. Centri ricreativi, sportivi, cultuali, religiosi completamente vuoti e da oggi chiuse anche quasi tutte le fabbriche. Le scuole sono chiuse da settimane e i ragazzi tutti a casa.
Spazi aperti privi di rumore dilatano l’impressione di vuoto e indeterminatezza, e con il loro nuovo status suggeriscono profonde riflessioni.
Ci sono molte silenzi che si addensano in quelle strade vuote.
Il silenzio di chi ha perso un familiare senza aspettarselo. A volte senza nemmeno capire cosa stesse succedendo. E’ un silenzio doloroso che non trova consolazione immediata ma che anela a una rivalsa nel tempo.
Il silenzio di chi è ammalato e spera di guarire. Per molte persone sarà davvero così e questa esperienza diventerà un racconto ammantato da quella struggente coperta che avvolge i ricordi e li trasforma in storie che qualcuno ricorderà.
Il silenzio di chi ha improvvisamente smesso di lavorare e non riesce a credere che quello che sta succedendo è vero, più vero della fantascienza, del complottismo, delle illusorie convinzioni di sapere cosa davvero ci toccherà. Bisogna prendere atto che nessuno sa cosa succederà e questo annienta molta presunzione e apre le porte all’indeterminatezza e al conseguente timore.
Si respira la sorpresa di chi credeva di conoscere il silenzio e improvvisamente scopre che il silenzio personale è diverso da quello collettivo. Anche qui si svela una presunzione. Quella di pensare che l’esplorazione del silenzio personale esaurisca la possibile esperienza in questo senso. Non è così. Il silenzio di tanti, non è il silenzio di uno solo.
Attraverso il silenzio si riscoprono strade e questa è una risorsa, comunque.
C’è un silenzio che permette di ripensare a ciò che si è fatto e a ciò che si stava facendo e che riverbera come alcune strade intraprese non siano quelle buone. Suggerisce che, se mai ci sarà la possibilità, sarà il caso di tornare indietro, di andare verso ciò che è autentico, ciò che da valore all’esistere, ciò che fa sentire più vivi. Diventa fondamentale riscoprire ciò da cui proviene l’amore.
C’è un silenzio che ti permette di scavare dentro te stesso alla ricerca dei tuoi pensieri poco mediati dalle convenzioni sociali, che ti ricopre affascinato da ciò che sembra un sentire rigoroso e un procedere intellettuale corretto e progressivo. Un procedere non lineare ma circolare dove chi è in pista ritrova un senso profondo dell’esistere.
C’è un silenzio di chi aveva già sofferto tanto e nel vedere l’attuale sofferenza intorno a lui si affranca da un senso di ingiustizia che lo ha annientato a lungo e ritrova improvvisamente la vita. In una dimensione di sofferenza che non è più individuale ma corale si riscopre una vera parità che coglie e ricostituisce gli aspetti profondi dell’essere. Lo stupore della vita è la sua esistenza, è il ritrovare soddisfazione profonda nell’essere persone vive. Tutto ciò è lontanissimo dal consumismo, dai soldi, dalla finanza, dalla dicotomia stato-mercato che non è mai esistita.
C’è il silenzio di una collettività che aspetta l’arcobaleno e mentre aspetta ritrova l’amicizia come valore, la solidarietà come scopo, la sopravvivenza della specie come unico anelito esistenziale.
Il silenzio permette di riscoprire la propria anima e di connettere il proprio vuoto con quello degli altri, ma anche il proprio “sentire” con quello del prossimo.
Non sembrerebbe possibile ma è esattamente così, il silenzio è uno dei maggiori tramiti dove l’esperienza soggettiva diventa esperienza collettiva. E’ come se il silenzio di tutti ampliasse la possibilità di trovare strade nuove per ciascuno. Il silenzio di tutti amplifica il silenzio di uno e gli permette di trovare nuove strade, gli permette di scavare dentro se stesso alla ricerca di una nuova verità che è sua ma anche degli altri, che diventa forte della concomitanza e prossimità dei tanti silenti.
Il silenzio grida forte come una frana, come un tornado in avvicinamento, come il terremoto. E’ una strada per riscoprire ciò che di se stessi e degli altri veramente conta. Il silenzio cerca l’essenziale e in questa sua ricerca è feroce. Una impresa al limite come la scalata di una grande cima, come un’immersione in un fondale profondo, come il troppo freddo, come il troppo caldo e come l’esperienza del deserto che di silenzio si nutre e compiace.
Le grandi passioni si nutrono di silenzio e non di rumore, i sentimenti profondi si nutrono della sospensione del rumore come se questa fosse una linfa vitale che porta forza. Il silenzio fa pulizia tra ciò che è profondo e ciò che solo lo sembra.
Ho ripensato all’amore, a quella passione profonda che diventa desiderio di bene prima individuale e poi universale. A quel sentire che travolge tutto e che stupisce tanto per la sua stessa esistenza e, subito dopo, per la suo voglia illimitata di crescere. Quel sentire propulsivo come l’inizio della vita, come l’eros, come il cammino.
Ciò che noi possiamo trovare nel silenzio è la differenza che esiste tra il poco che nutre la vita ed il tanto che la avvilisce. L’attuale esperienza di silenzio può essere per tanti una strada tortuosa di rinascita, di riscoperta di ciò che è umanamente vero, di ciò che conta almeno per un po’, per quel che potremo vivere.
Immersa nel silenzio delle nostre città del nord, riesco a pensare ai colori del sole e del mare, alle albe e ai tramonti, alla musica, ai piedi che scricchiolano sulle foglie secche e a tutte le volte che ho desiderato qualcuno che non c’era. Quando avrei tanto voluto una sua parola e non ho potuto che respirare il suo silenzio amplificato dal mio.
Immersa nel silenzio delle città del nord ho capito che ci sono silenzi che decidono della vita, del futuro, dell’amore e della sua fine.
Il silenzio è come uno specchio dentro il quale possiamo ritrovare noi stessi oppure perderci definitivamente dentro una verità inutile che qualcuno ha amplificato proprio per noi.
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Catina Balotta
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