Il senso di una foto
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Non potevamo esimerci. Questa foto ha fatto il giro dei media di tutto il mondo, e anche un giornale indipendente slegato dai notiziari mainstream, non può non essere affascinato da questo scatto. Almeno io ne sono affascinata. Non solo per la costruzione scenica, ma per il significato: esplicito, quasi ovvio: che è quello che conta per ogni fotografo o dovrebbe contare. In un mondo fatto di immagini come il nostro, che vive immerso nella pubblicità, tra bombardamenti visivi, è quasi un dovere, e non poteva che essere così.
La foto, come già saprete, è stata scattata in Ucraina a Kiev, durante questa insensata guerra. A immortalare la casa nello scatto, non è stato un fotoreporter professionista ma un architetto e urbanista, Lev Shevchenko il 3 marzo: l’ottavo giorno dall’inizio della guerra. Ora. il significato è quel di più che balza agli occhi, più di un albero, una serie di mattoni, due finestre, di cui una barricata con una serie di libri.
Dare un significato alle immagini è diventato un mestiere. I grafici pubblicitari ne sanno qualcosa. In guerra non si dovrebbe pubblicizzare niente, eppure alle volte ho l’impressione che in molti lo facciano. In tv soprattutto. La propaganda nasce e si sviluppa su questo, ne sanno qualcosa sia i russi che gli ucraini, e tutti noi che in verità ne siamo bombardati giornalmente e ovunque.
C’era il covid, ora la guerra, ma prima ancora i terremoti e i femminicidi. Sempre le cose commercializzate, e le persone ormai mercificate con i loro sentimenti, messi in scena, come in una mostra.
La nostra guerra è ancora questa, questa silenziosa e personale, eppure mondiale, che ognuno di noi combatte quotidianamente contro il turbocapitalismo (come qualcuno lo chiama). Insomma, quella cosa che cambiando nome, rimane sempre quella, e che (come aveva capito Pasolini) governa e trasforma in merce e in consumo le nostre vite.
Questa foto risponde a un’altra logica, diversa dalla propaganda. È simbolo del difendersi? Del resistere? Prova a rispondere con altra moneta alla morte: con la cultura, o con l’arte dell’arrangiarsi. Oppure è un po’ tutto questo e molto altro.
Sono queste immagini, questi messaggi, che dovrebbero nutrirci. Più del terrore e della paura, dello spargimento di sangue e delle lacrime versate, delle grida usate per stare dall’una o dall’altra parte. Barrichiamoci con l’uso del cervello… e alimentiamolo con la lettura!

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Ambra Simeone
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani