IL RITORNO ALLA TERRA PROMESSA:
la (pericolosa) tentazione del divino
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Per secoli, neppure tanto distanti dai nostri, le pestilenze sono state considerate flagelli divini per punire l’umanità corrotta. Qualcuno, in giro per il mondo, lo sostiene anche ora che siamo nel terzo millennio dell’Era Comune.
Per espiazione e per invocare la misericordia divina su un’umanità secolare e terrena venivano organizzate processioni penitenziali, grandi raduni di massa, di popolo, di congregazioni e di ordini religiosi.
I tempi cambiano ma la natura umana pare la stessa. La tentazione del sacro e del mistico irrompe con la sua eco nella prolungata clausura di questi giorni. La televisione moltiplica nelle nostre case l’immagine del Pontifex Maximus, capo della Chiesa Universale, immolato per la salvezza dell’umanità, solo sotto la pioggia battente, al centro di piazza San Pietro, a invocare la misericordia divina contro il flagello del male, liturgia rinnovellata nella solitaria Via Crucis innanzi al sagrato della Basilica.
Lo spirito del pentimento e del ravvedimento sembra accompagnare l’incontro con gli animi che questa solitudine forzata favorisce. Non saremo più come prima, non faremo gli errori di prima, abbiamo peccato nei confronti di noi stessi e della madre terra.
C’è un diffuso bisogno di primitivismo, nel senso di ritorno al prima di prima, ad epoche lontane sobrie ed austere.
Così, lo spirito penitenziale ed espiatorio, ora che il tempo è a nostra disposizione, porta a letture poco frequentate in Italia, come Walden di Thoreau, una sorta di bibbia del ritorno alla natura. Narra dei due anni che l’autore trascorse in solitudine e in autonomia, vivendo in un bosco vicino al laghetto di Walden nel Massachusetts, in realtà a due chilometri dal centro abitato di Concord. La filosofia di Thoreau predica una economia rigida, una vita semplice, severa e più che spartana, convinto che mantenersi su questa terra non sia una fatica ma un passatempo, se si vive con semplicità e saggezza. Per il nostro, possedere saggezza è sufficiente, chi è saggio non ha bisogno di tanta istruzione, se ci accontentiamo di poco e non pretendiamo di possedere beni non serve neppure studiare più di tanto, lo dice lui che aveva frequentato Harvard. Un manuale per i biblici profeti della decrescita felice, che temo non sarà di grande utilità quando usciremo dalla quarantena e dovremo rimboccarci le maniche di fronte alla decrescita infelice che ci attende oltre la porta di casa.
Il mio ego cartesiano e la mia indole ostinatamente kantiana incominciano a dare segni di turbolenza di fronte a una sorta di misticismo e di pauperismo francescano striscianti, che trasuda da riflessioni sul ritorno a genuine epoche di rispetto della natura e addirittura del ‘creato’, se mai ce ne sono state, con un’ involuzione più o meno cosciente al ‘creazionismo’ che si traducono in militanze politiche e religiose per l’avvento di un mondo palingenetico.
Se non si sta attaccati alla conoscenza che è quella cosa fredda che ha le sue radici nella ragione, nella logica e nella matematica, nella narrazione dell’esperienza si rischia di annegare nel mare dell’irrazionalità che secondo il filosofo di Königsberg, circonda l’isola della razionalità.
Il divino e il mistico sono approdi che presuppongono la fuga dal mondo e dalla realtà come ci narra la letteratura agiografica, noi abbiamo bisogno di affondare le radici nel presente, di sporcarci le mani con i nostri errori e le nostre debolezze, con i conflitti e con le idee. Fuggire dalle nostre contraddizioni non ci è permesso.
La nostra umanità per essere tale non ha bisogno di trovare motivazioni e giustificazioni al di fuori di sé. Non ha bisogno dell’Iperuranio platonico, ma della logica stringente di Aristotele, dell’Etica Nicomachea, quella che cerca la verità che si cela nel mondo concreto.
L’incertezza è la nostra cifra, l’incertezza è il motore che ci spinge a sapere e a ricercare, a sbagliare come a correggerci, la storia non è mai un ritorno indietro, ma quella che sapremo scrivere anche affrontando gli eventi che non possiamo controllare. Non ci sono pagine già scritte, quelle fanno parte di un libro già letto. Noi viviamo per scrivere ciò che ancora non è stato scritto. Non saranno le militanze di fede né laiche né religiose, i misticismi e i pauperismi francescani che ci potranno aiutare, ma le nostre menti e le nostre intelligenze sgombre da pregiudizi, da orpelli, da pensieri zavorra, aperte al nuovo che ancora dobbiamo incontrare.
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Giovanni Fioravanti
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