E’ evidente come uno dei veri problemi della donna che lavora sia quello della conciliazione, ovvero l’individuazione di quelle strategie che consentono le pari opportunità in ambito lavorativo, sociale e personale. Il termine conciliazione si riferisce al rapporto che esiste tra almeno due sfere della vita: la famiglia e il lavoro. Ma non solo. Sarebbe meglio dire tra due ambiti di organizzazione del tempo: il tempo di vita e il tempo lavorativo professionale. Una conciliazione riuscita assicura alle persone adulte un equilibrio tra la sfera del lavoro remunerato e la sfera dell’organizzazione del tempo ‘altro’, che può prevedere le attività domestiche, la cura dei figli e di famigliari in situazione di bisogno, il volontariato, le attività civiche e la gestione del tempo libero, possibilmente orientato a uno standard di vita soddisfacente.
Dall’analisi dei lavori femminili nella loro evoluzione temporale, si ricava l’evidenza di una forte continuità della concentrazione in pochi canali occupazionali, che per lungo periodo hanno assorbito la quasi totalità delle donne. Tali settori riflettono, per le modalità di svolgimento e per il tipo di attività previste, l’attività femminile non ‘di mercato’, si pensi all’infermiera, alla maestra, alla sarta. Oggi molto è cambiato nei modi e nei tempi di partecipazione della donna al mondo del lavoro, ma le diverse rappresentazioni dell’appartenenza di genere condizionano ancora il modo in cui la donna si colloca nel mondo del lavoro. E’ più nei nessi e negli incastri tra lavoro retribuito per il mercato e lavoro non retribuito per la vita, nel loro continuo mutare e nei percorsi di crescita individuali e possibili che si può rintracciare il vero senso della presenza femminile nel mondo del lavoro. Sia nell’assolvere le funzioni famigliari sia in quelle per il mercato le donne mettono in atto una attività costante di cucitura tra pezzi della loro vita.
E’ in questa attività di cucitura che la donna compie continuamente delle scelte che ne determinano il percorso lavorativo e personale: si pensi alla bassissima natalità italiana. Le Pari Opportunità per poter essere ‘materia viva’ devono diventare un valore condiviso dalle persone adulte. Valore per il quale si potrà lavorare seriamente solo quando il substrato sociale che lo legittima sia favorevole al suo effettivo radicamento e sviluppo. E’ rilevante la sottolineatura sulla dimensione ‘equilibrio della vita della persona adulta’ che tale principio sempre più sponsorizza. Forse a carico di una non-numericamente-equa spartizione di ciascuno dei carichi lavorativi professionali e non della donna, ma sicuramente a favore di un recupero dello sviluppo personale nella sua vera interezza e importanza.
In sostanza sono l’equilibrio e la soddisfazione per la propria vita che vanno perennemente e seriamente ricercati anche se questo non necessariamente passa da un’equa spartizione di ciò che può numericamente essere diviso a metà tra maschi e femmine. Ma esiste qualcosa che davvero e rigorosamente possiamo considerare diviso/divisibile a metà? Forse no, ma non è comunque questo a fare la differenza.
Le Pari Opportunità vantano in Italia e in Europa un lungo cammino normativo. La Comunità Europe definisce il principio di pari opportunità come l’assenza di ostacoli alla partecipazione economica, politica e sociale di qualsiasi individuo per ragioni connesse al genere, religione e convinzioni personali, razza e origine etnica, disabilità, età e orientamento sessuale. Tale discriminazione è proibita in tutta Europa perché può pregiudicare il conseguimento di un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale, la solidarietà e la libera circolazione delle persone. In particolare con il termine pari opportunità ci si riferisce all’assenza di discriminazione condizionata dal sesso di appartenenza.
L’obiettivo è quello di assicurare ai due sessi eguali opportunità di accesso e partecipazione equilibrata alla vita economica sociale e politica, con l’eliminazione di quelle barriere che vi si frappongono. Esistono politiche, programmi e progetti che cercano di traghettare dal piano formale a quello sostanziale l’esecutività di tale principio. Tali iniziative possono avere valenza sovra-nazionale, nazionale, regionale, locale e possono essere di carattere generico o specifico. Detto questo, i dati Istat sulla condizione delle donne – la più recente pubblicazione Istat del 2015 si riferisce al periodo 2004-20014 – attestano che l’Italia si trova ancora in una situazione sconfortante anche se si rileva qualche segnale che fa ben sperare per il futuro.
In particolare continua il forte investimento nell’istruzione da parte delle donne, che ottengono risultati migliori di quelli degli uomini sia a scuola che all’università. La diffusione delle nuove tecnologie riguarda tutta la popolazione con una diminuzione del divario di genere e, per le giovani, con un suo annullamento; negli anni di crisi le donne hanno tenuto di più nel mercato del lavoro e hanno visto incrementare il loro ruolo di breadwinner. Inoltre, la presenza nei ruoli decisionali è in crescita sia nei luoghi politici che in quelli economici. Permangono però le difficoltà di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro legate anche all’asimmetria dei ruoli all’interno delle coppie, e le donne occupate, in corrispondenza della maternità, si trovano a sperimentare in misura crescente la perdita o l’abbandono del lavoro. Inoltre la condizione reddituale femminile continua ad essere peggiore di quella maschile, anche se la distanza fra uomini e donne, nel periodo osservato, si è accorciata.
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Catina Balotta
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