Il problema vero è ridare un senso alla partecipazione
Alle recenti elezioni regionali in Sardegna ha votato il 52,2 % degli aventi diritto. In sostanza, un cittadino su due non è andato alle urne. I mezzi di comunicazione registrano come ormai inevitabile e farisaicamente “preoccupante” la tendenza sempre più marcata a non votare. Non molti cercano di capire se questo continuo indebolirsi della democrazia possa essere contrastato, indicando in quale modo ciò possa avvenire.
I motivi sono parecchi: mancanza di credibilità della politica, sfiducia, rassegnazione, disinteresse e altro ancora. Il cittadino sente di contare e decidere sempre meno, questo è il punto. La risoluzione delle esigenze collettive – posto che esse vengano esplicitate, il che non sempre accade nella nostra società frammentata – o viene eternamente rinviata o semplicemente non è presa in considerazione da chi governa. Le decisioni vengono assunte in un altrove lontano, senza coinvolgerci, inducendoci a vivere in comunità sempre più arroccate e divise, frustrando la progettualità che potrebbe consentirci di costruire un futuro.
L’esplodere dei social network ci ha messo del suo. Oggi la politica si compie con i tweet, i retweet e via cinguettando. In 140 caratteri si condensa il pensiero del momento, a cui segue il pensiero del momento dopo, e così via. Insomma, si vive per momenti.
La scarsa partecipazione è un problema per tutti e per il futuro della democrazia. Eppure, le vie d’uscita esistono. Per esempio, la più ampia trasparenza delle scelte amministrative: periodicamente l’amministrazione pubblica rende conto di ciò che ha fatto, cosa intende fare, e con quali risorse. Ancora, il coinvolgimento dei cittadini nel governo locale, utilizzando le nuove tecnologie dell’informazione: una rete istituzionale in cui il cittadino possa discutere i progetti rilevanti ed esprimere il proprio parere del quale l’amministrazione deve tener conto. Bisogna tener conto del digital divide, del fatto cioè che parte della popolazione – gli anziani, in particolare – non ha dimestichezza con il computer, e coinvolgere queste persone in altre maniere.
So di non dire molto di nuovo, ma noto come tutti questi sistemi – e a cascata, soluzioni, come i bilanci partecipati, i town meeting (assemblee cittadine sui grandi progetti dal vivo o sul web), le giurie e i sondaggi deliberativi – sono scarsamente praticati. Soprattutto perché costano fatica, a chi li mette in atto e a chi li utilizza. Ma il cambiamento, se vogliamo una democrazia non ridotta a simulacro, passa anche da qui.

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Franco Stefani
PAESE REALE
di Piermaria Romani
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)