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Così come la rivoluzione francese segna convenzionalmente l’inizio dell’età contemporanea, “mani pulite” rappresenta per molti in Italia il punto di passaggio dalla prima alla seconda repubblica. I recenti fatti di Milano portano invece a chiedersi se questa dicotomia esista sul serio o se, invece, quella che noi chiamiamo seconda repubblica non costituisca né più e né meno che l’esito del processo di disfacimento della prima; rispetto al quale l’azione dei magistrati milanesi di fine anni ’80 abbia rappresentato non già l’auspicato sradicamento dell’articolato sistema corruttivo venuto alla luce, bensì la semplice potatura di alcuni rami emergenti, quando non addirittura lo strumento involontario per regolarne alcune lotte intestine.
Se così è, ripensando alla volontà rinnovatrice ed all’esigenza largamente condivisa di grandi riforme che emersero in quello stesso periodo, i 30 anni che ci separano da quelle vicende costituiscono la misura impietosa e drammatica del tempo sin qui perduto, delle occasioni mancate, della clamorosa incapacità, a volte assecondata, di iniziare quel percorso di cambiamento. Tutto questo in un mondo che nel frattempo mutava ad una velocità finora sconosciuta.
La corruzione dilagante, che ci vede agli ultimi posti delle classifiche mondiali e che nel caso dell’Expo pare essere stata elevata a modello di governance, è possibile soprattutto perché gli strumenti di controllo e di verifica funzionano male o non funzionano proprio. In tutto il mondo infatti esistono lobby e grandi gruppi economici che cercano di prevalere utilizzando mezzi più o meno leciti: solo da noi però trovano una burocrazia farraginosa e non trasparente, una giustizia civile la cui lentezza non tutela ormai più nessuno e un sistema legislativo bizantino che favorisce l’azione delle lobby e dei gruppi di interesse più disparati, con leggi che rimbalzando più volte fra i due rami del Parlamento e che si arricchiscono ad ogni passaggio di articoli e commi spuri.
In questo scenario Greganti, che da terminale operativo organico ad un partito politico diventa un libero professionista dell’intrallazzo che lavora a percentuale, sia pur mantenendo a quanto pare, se così si può dire, la medesima area di riferimento, costituisce l’emblema vivente che nulla da allora è cambiato nella sostanza. Se così non fosse infatti la sua rete di legami e conoscenze sarebbe oggi del tutto priva di valore ed altri avrebbero preso il suo posto. Spero poi nessuno voglia disquisire sulla presunta superiorità morale di chi ruba per un partito rispetto a chi lo fa per il proprio interesse personale: troppo spesso questa falsa contrapposizione è stata utilizzata per sminuire la gravità di determinati comportamenti e per coltivare illusori miti di diversità a priori. La vicenda di Primo Greganti, così come altre a noi più vicine, dimostra in realtà come fra i due ruoli non esista invece alcuna soluzione di continuità.
Essa dovrebbe inoltre togliere ogni dubbio residuo a chi ritiene che non esistano adesso le condizioni adatte per mettere finalmente mano a quelle riforme profonde che il Paese attende da 30 anni e di cui da 30 anni si discute, avendone ormai da tempo valutato e soppesato più volte tutte le opzioni e varianti possibili. Trasparenza amministrativa e giustizia efficiente, assieme ad un processo di produzione delle leggi più snello ed efficace, sembrano davvero le prime cose che occorre garantire al più presto. La seconda repubblica, che della prima dovrà ereditare valori e principi fondanti, sarà iniziata solo quando avremo ristrutturato le nostre istituzioni per renderle in grado di funzionare con efficienza, equità e trasparenza in un mondo che continua a cambiare ed in cui, per quello che ci riguarda più da vicino, emerge sempre più forte la necessità di rifondare il patto che sta alla base dell’esistenza stessa del Paese.

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Raffaele Mosca



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