Una breve storia da raccontare e un brano musicale scelto per accompagnare il racconto. Perché le storie si possono leggere e ascoltare. Immagini, brani e testi, magari nati in momenti diversi, ma legati da un unico sentire. Tre differenti visioni che diventano una sola, un viaggio nel tempo, nel sogno e nella fantasia.
Buon ascolto e buona lettura.
Ashes To Ashes (David Bowie, 1980)
Un morto non torna. Una vita vissuta, finita, estinta, non ritorna.
Tutto è cancellato, per sempre dissolto, risolto. E’ passato.
Resta solo un vago sapore di polvere nel palato.
Mi passo una mano sulla faccia. Sfioro con le dita i solchi del tempo. L’età s’accumula nelle pieghe della pelle. S’attenua la tensione della vita.
Le cellule rallentano, invecchiano e statiche contemplano. Il veleno scorre discreto in queste vene lacere, ricucite. Braccia e gambe arrancano, scricchiolano, si muovono con fatica, a volte gridano, fanno quel che possono.
Ma la battaglia è persa. Come a Dunkerque in quei giorni di maggio, si salva quel che si può.
Questa è la vita: resistere, salvare il salvabile.
E camminare sul margine dell’oblio, aspettando di cadere.
Respiro vecchi profumi, ascolto vecchie canzoni, m’affanno a ricordare. Chiudo gli occhi, inizio a scavare, cerco oggetti smarriti, una preghiera di conforto. Dolcezza, spensieratezza. Un’ultima volta riemerge la purezza posseduta. E mi consuma vedere ch’è perduta.
Ferite addomesticate di poesia, lame affilate di malinconia, bruciano e incantano.
Il sangue sgorga, torna puro alla sorgente, svuotando ogni mio volere. Vivo al passato per fuggire dalla gogna del presente.
Poi incontro un bambino. Mi sorride, mi chiede di giocare. Corro con lui nel prato. Le ombre sbiadiscono sotto il sole e la sua luce cogente. M’accorgo ch’è divertente.
Il bambino se ne va, ma domani tornerà. Come il sole, prepotente. E con lui questo prato e i suoi colori, i suoi rumori, i suoi odori. La vita è provocante, pulsante come questo mio cuore ancor battente. Già, non è il momento di lasciarsi andare, di chiudere gli occhi e smetter di respirare.
Ma, a torto o a ragione, un rifugio non è una prigione.
Mi cullerò nell’idea di ciò ch’è stato. Ne trarrò nutrimento, non certo per la pancia. Sfamerò invece l’immaginazione. La renderò struggente, ardente, degna d’attenzione.
Buona, come il cibo che non si può più mangiare.
Bella, come la donna che non si può più avere.
Sublime, come il passato che mai più potrà tornare.
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Carlo Tassi
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