L’ambito reale dello scontro intrapreso dal Ministro Di Maio non è tra i rider e la tecnologia, come dice l’amministratore delegato di Foodora Gianluca Cocco, ma tra i cittadini, gli esseri umani, e l’uso strumentale che della tecnologia alcuni, come lo stesso Cocco, fanno.
Al momento, infatti, funziona che questa è al servizio delle grandi aziende, delle multinazionali, dei pochi geniacci dell’app mentre i restanti 6.5 miliardi persone (… e il calcolo è alla buona) si connettono ad internet ed usano Whatsapp.
Un po’ come i vantaggi dell’eurozona. Da una parte pochi esercitano il potere, fanno affari, traggono interessi e aumentano il lusso, dall’altra la maggior parte delle persone grazie all’euro va in vacanza in Francia, Germania, Spagna e Grecia senza il fastidio di dover cambiare valuta.
Nel caso specifico, si impone nella discussione la “necessaria” flessibilità, la diminuzione dei diritti, delle tutele e degli stipendi in cambio del lavoro. O lo si accetta oppure l’arroganza del potere minaccia la fuoriuscita dal Paese alla ricerca di altri luoghi dove imporre la giungla del mercato. Ed è chiaro che in questo momento storico questo potere vincerà perché fuori dalla portata di Di Maio e del tentativo tutto italiano di mettere la dignità davanti al potere c’è il mondo. Un mondo neoliberista, flessibile, disuguale e classista che non sa che farsene della coscienza di un ragazzo di trent’anni che vuole fare il Ministro e vorrebbe andargli contro.
La tecnologia aiuterà l’essere umano solo quando sarà democratizzata ma in questo momento bisogna prendere atto che laddove non fossimo capaci di piegarla al nostro bisogno allora Foodora, come minacciato dal suo Amministratore, può accomodarsi alla porta, ce ne faremo una ragione. Non vogliamo avere uno schiavo a consegnarci la pizza, non necessariamente dobbiamo essere partecipi di questo obbrobrio, possiamo perfino scegliere di comprare le scarpe al negozio all’angolo e, forse, in questo sistema sbagliato di valori contribuiremmo a migliorare la vita di tutti.
Il bisogno di rivolgersi ad Amazon è un falso bisogno o, meglio, un bisogno indotto dalla necessità di contenere le nostre spese e gestire il nostro tempo. Ma questi purtroppo sono due aspetti della vita moderna scolpita nello stampo neoliberista che vuole lo scambio sociale al minimo al pari dei salari, in modo da avere più potere di contrattazione e controllo del dissenso.
E quindi la battaglia di DI Maio mi sembra una gran bella battaglia, dignitosa e onesta, che meriterebbe un sostegno forte almeno da parte di noi cittadini, anche di quelli che hanno un lavoro meglio pagato e tutelato dei “porta pizza”. Un momento, questo, in cui fare Paese e smetterla di attaccare l’operato di questo Governo, di tener conto sì dei 620 migranti indirizzati in Spagna ma anche considerare i 1.000 appena sbarcati e metter insieme le due cose, riflettere per indirizzare la lotta politica e di opinione, comprendere di cosa ha realmente bisogno la gente.
E prendere atto che la politica sta davvero cambiando, bisogna farsi forza e vedere cose che ci sono finora sfuggite. Il PD aveva torto e continua ad averne. Perché dell’impatto della tecnologia sulla dignità del lavoro, dello strapotere delle multinazionali, dei riders e dei migranti utilizzati nella raccolta dei pomodori e della frutta a 2 euro all’ora, della schiavitù sempre più evidente a cui il lavoratore italiano e straniero è sottoposto sul nostro territorio, non si è mai occupato veramente oppure l’ha accettata o, peggio, ha fatto finta di niente e l‘ ha nascosta dietro le belle chiacchiere di Saviano. Sono mesi che il PD parla dell’importanza di fare autocritica ma i suoi dirigenti continuano a sparlare e ad attaccare più gli altri che se stessi perché forse hanno già deciso di non avere niente di cui pentirsi o da rimettere in discussione.
E gli attacchi arrivano da tutte le TV dando l’impressione, viste le presenze, di aver occupato lì le poltrone che gli sono sfuggite a Palazzo Chigi.
Questo Governo non sta’ facendo campagna elettorale ma qualcosa a cui non eravamo abituati: sta facendo. Eravamo abituati alle grandi promesse prima e al silenzio dopo, invece Salvini sta procedendo come i treni, su binari tracciati in campagna elettorale. Sta mettendo in atto, lui come Di Maio quello che avevano annunciato di voler fare.
La cosa ci sconvolge talmente tanto che questo darsi da fare non sappiamo come chiamarlo e lo chiamiamo campagna elettorale, cioè, invece di appoggiarlo e rispettarlo e magari legittimamente criticarlo e indicare vie diverse senza dimenticare l’obiettivo, lo denigriamo. Rivogliamo dunque Renzi, Del Rio, Padoan e la Boschi? E per far cosa, perché tutto rimanga fermo e uguale seguendo quel processo che la sinistra ha iniziato negli anni ’80 quando ha abbandonato la gente, le persone, i lavoratori per dedicarsi al grande capitale e alla finanza?
In questi anni è stato creato un modello di società diviso in due, poveri e ricchi. Come non se ne vedevano dai tempi peggiori dei re e dei nobili con l’aggravante che i tribuni della plebe, negli ultimi decenni, parteggiavano per i ricchi. E questa situazione ci costringe a gridare al miracolo quando un partito, talmente liberista da proporre addirittura la Flat Tax di Milton Freedman, dimostra di tenere di più alla gente dei tribuni della plebe, mostra un volto umano e si preoccupa non di risanare a parole l’immagine del mondo ma nei fatti di migliorare l’esistenza di qualche milione di italiani e di coloro, non italiani, che ci vivono, di ridare dignità alle città e alla convivenza insieme ad un altro partito che vuole ridare dignità al lavoro rimettendo mano alle opere di “sinistra” come il Job Acts e la legge Fornero e tutti insieme rivedere i termini dell’Unione Bancaria per evitare la completa distruzione e precarizzazione del sistema bancario.
E magari ridare dignità al processo di unificazione europea guardandolo, finalmente, non dal solo punto di vista finanziario e di tutela delle élite, ma anche dal punto di vista delle persone reali e degli europei, se mai esistesse una identità in tal senso anche fuori dai confini del limes romano.
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Claudio Pisapia
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