Dopo avere lasciato l’appartamento del professor Uberzeit Ivan e Louise si scambiarono un sorriso d’intesa. Louise sospirò: “Che uomo impossibile! Davvero non se ne poteva più!”
“Indubbiamente molto lamentoso – convenne Ivan – Il mal di testa, il mal di pancia, non mi lasciate solo, peggio di un bimbetto viziato, altroché superuomo. E quel tono solenne, quell’aria di importanza con cui profetizzava… Certo, una mente superiore, bisogna ammetterlo, diciamo pure un profeta, ma in società bisogna pur mantenere un po’ di contegno, che diamine! Anche se, a modo suo, sapeva essere divertente. Quella scena nel Duomo, per esempio, non era mica male. Prima o poi andrà replicata. Bè, non pensiamoci più e passiamo all’azione. Adesso temo che per un po’ dovremo dividerci, amore mio. Mi aspettano urgentemente a Baden-Baden, sai bene perché. Tu appena possibile corri a Mosca e io, entro un paio d’ore, mi farò trovare a Las Vegas. Già che ci siamo potremmo approfittarne per sposarci lì in Nevada. Tanto per finire in bellezza.”
“Oh, che bella idea! – esclamò Louise sollevando vezzosa un piede in aria – Speravo proprio che un giorno me lo avresti chiesto” e lo leccò sull’orecchio.
“Sì, sì. Ci sposeremo e poi vivremo felici e contenti. Ma prima completiamo il lavoro. Nel giro di due giorni l’operazione deve giungere in porto e così un giorno il mondo dirà che il patto stretto tra la Chiesa e il demonio è stato rispettato e la memoria del povero professore verrà onorata. E tutto potrà ricominciare da capo.”
Louise sorrise: “Ce la faremo, vedrai.”
“Bene. Mettiamoci all’opera.” Ivan tirò fuori dalla tasca l’oggetto che tanto aveva impressionato il povero Uberzeit, scambiò poche parole con un invisibile interlocutore e sparì a una velocità soprannaturale oltre la Mole Antonelliana. Louise salì al volo su un tram a cavalli tra la costernazione dei passeggeri, diede un bacio sulla fronte al bigliettaio e subito dopo anche lei si volatilizzò.
Dopo pochi giorni sui giornali si lesse che il casinò di Baden Baden aveva chiuso i battenti perché un misterioso giocatore, che si era spacciato per un banchiere russo di nome Ivan Karaevskij, aveva vinto alla roulette e sugli altri i tavoli da gioco lasciando a secco il banco e tutti coloro che avevano scommesso con lui. A distanza di poche ore il più grande casinò di Mosca era finito in rovina perché un’avvenente contessa tedesca, sotto il falso nome di Margaretha Von Schiller, aveva fatto saltare il banco. Stessa cosa era accaduta a Montecarlo, a Brighton e infine a Las Vegas. Tra le pagine di cronaca era riportata la notizia dell’incendio di una nota libreria di Nizza, di proprietà di un certo Demetrio Dogliani, in seguito al quale lo stesso proprietario, sfuggito per miracolo al gigantesco rogo, aveva completamente perso la ragione.
Di per sé il fallimento delle principali case da gioco del mondo non avrebbe rappresentato un danno così rilevante se non fosse stato per la pessima abitudine dei più importanti banchieri internazionali e di molti ministri del tesoro di investire immensi capitali non solo nella proprietà dei casinò, ma nel vero e proprio gioco d’azzardo. Giocare d’azzardo coi risparmi dei clienti e con i titoli di Stato, naturalmente a insaputa della pubblica opinione, è molto pericoloso, specialmente poi se si incappa in personaggi come Ivan l’accordatore e la bella Louise. Pare addirittura che certi proprietari di casinò, vista l’aria che tirava, erano stati indotti a scommettere cifre da capogiro sul fallimento della loro stessa casa da gioco per poi reinvestire i guadagni in borsa, tranne alla fine perdere tutto quello che avevano vinto perché subito dopo era partita una speculazione gigantesca, una serie di vendite al ribasso che nessuno riusciva più a controllare. Nell’arco di una settimana aveva attaccato prima le borse e poi il dollaro e la sterlina, mentre le autorità politiche tentavano inutilmente di riportare la calma tra la popolazione. E’ facile immaginare le proporzioni della crisi finanziaria mondiale che ne derivò. Svendite selvagge, suicidi, fallimenti a catena, licenziamenti, ribellioni armate.
Alcuni politici tentarono di scaricare la colpa della catastrofe sul misterioso banchiere russo o sulla contessa Von Schiller, subito individuati come agenti di una infernale congiura giudaico-massonica. Raccontarono che quei due disponevano di diaboliche macchinette, certi strani congegni attaccati all’orecchio, che gli consentivano di comunicare a distanze intercontinentali scambiandosi informazioni riservate. Al tempo stesso erano abilissimi nel diffondere in tempi rapidissimi informazioni false allo scopo di spargere il panico nelle borse di tutto il mondo. Altri arrivarono a dare la responsabilità del disastro mondiale a certi filosofi catastrofisti tanto di moda all’epoca, tra i quali aveva un posto di rilievo il povero professor Zeitsehen. Poi se la presero coi giornali dicendo che è il pessimismo a creare il panico e le turbolenze finanziarie, ma ormai certe verità sulle manovre losche di governanti e ministri del tesoro erano venute a galla. Dopo un momento iniziale di incredulità, di fronte al susseguirsi di prove certe e confessioni a catena, si venne a sapere che l’uso di cocaina e di oppio, insieme a una propensione patologica per il gioco d’azzardo e la frequentazione di ogni genere di prostitute, era la regola tra i governanti di quegli anni. L’opinione pubblica del mondo civilizzato ne rimase sconvolta. Nel frattempo molti di questi criminali politico-finanziari riuscirono a fuggire in paesi coloniali dell’Africa o dell’America Latina con i loro capitali sporchi di frode e di sangue.
Si respirava un’aria pesante, un’aria di linciaggi e guerre civili striscianti pronte ad esplodere. Nel frattempo diventava sempre più difficile ottenere informazioni più sicure e dettagliate su quei pazzeschi avvenimenti, perché i proprietari dei giornali erano falliti e nessuno trovava più i soldi per mandarli in stampa. Sul web si rincorrevano le voci più assurde, informazione seria e fiction, trame da romanzi fantasy si mescolavano in una totale confusione. Ormai la fantasia popolare non conosceva più limiti. Circolavano voci assurde, leggende sul ritorno del diavolo e il trionfo dell’Anticristo. Anche la Chiesa di Roma perse ogni credibilità quando uscì la notizia che i banchieri del Vaticano avevano partecipato in grande stile al gioco d’azzardo internazionale, sia in borsa come nei casinò. Per non parlare dei sacerdoti e degli alti prelati, cattolici o protestanti che fossero, coinvolti in scandali sessuali e traffici di prostitute della più perversa natura.
‘Dio è morto’ divenne in quei giorni terribili lo slogan più popolare, insieme a una versione equivoca e molto banalizzata della filosofia del professor Uberzeit, i cui libri stavano riscuotendo grande successo. Qualcuno si spinse a tirarne fuori una canzonetta dal titolo ‘Dio è morto’.
L’esito finale di tanta confusione e di tanta improvvisa miseria poteva essere uno solo: carestie, epidemie di virus sconosciuti e pestilenze contagiosissime, guerre. Un rapido ritorno a tempi oscuri che si credevano archiviati tra le cronache di molti secoli prima. Ma questa, come si usa dire in mancanza di meglio, ormai è Storia.
(fine)
Prima parte [Vedi qui]
Seconda parte [Vedi qui]
Terza parte [Vedi qui]
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