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Il 2 giugno, a margine dei festeggiamenti per la Repubblica, a Roma si sono avvicendati su un palco allestito alle spalle del Circo Massimo parlamentari e ministri pentastellati, Davide Casaleggio e, in chiusura, Beppe Grillo, che ha dato la sua personale interpretazione del futuro prossimo.

I parlamentari che si sono dati il cambio sul palco, senza presentarsi, senza dire il loro nome, hanno lanciato un messaggio: il protagonista è il programma e non le persone chiamate ad attuarlo. Il Movimento è in un periodo di transizione, esisterà fino alla realizzazione del progetto, poi ci sarà altro. Non sono loro i protagonisti, ma quello che stanno facendo e lo hanno sintetizzato molto bene in un susseguirsi di proclami che molti definiranno populisti. Hanno tracciato il solco dai loro: quelli che hanno spremuto l’Italia come un limone, a partire dai tempi delle grandi svendite di Prodi e compagni fino ad arrivare alle ‘cordate’ e ai ‘capitani coraggiosi’ di berlusconiana memoria, che alla fine sono serviti solo ad arricchire i soliti noti. Dall’altra parte il noi: il popolo, le persone ingannate dalla retorica del potere, dalla macchina succhia soldi e risorse che toglie ai poveri per dare ai ricchi.
Uno stop all’Europa degli interessi e la voglia di ripartire dall’Italia e dagli italiani, dalla difesa dei nostri confini non come chiusura ottocentesca e oscurantista, ma come ricerca di un’ancora o di un porto sicuro da cui partire perché anche in un mondo aperto, solidale e multiculturale si ha bisogno di radici definite. Del resto, a cosa serve difendere il lavoratore cingalese se in Sicilia siamo costretti a distruggere le arance prodotte oppure paghiamo un lavoratore a 1 euro all’ora sul nostro territorio?

Il nuovo concetto di democrazia, per la cui realizzazione è stato approntato addirittura il Ministero per la Democrazia Diretta, che parte dal superamento dei partiti  – che per definizione “tutelano solo una parte, dall’etimologia latina pars” – per approdare alla rappresentanza generalizzata e a una vera giustizia sociale. Attraverso la conoscenza, l’informazione e dando importanza a una scuola attenta all’individuo e che superi ovviamente la Buona Scuola renziana. Il richiamo all’unità, alla partecipazione, uno vale uno, alla condivisione degli sforzi tra chi è sul palco e chi è dietro le transenne, che è chiamato al controllo e all’iniziativa. Il taglio dei privilegi che è già stato iniziato con l’abolizione degli affitti d’oro, le spese di viaggio agli ex parlamentari, le assicurazioni per le punture di insetti e che proseguirà con il taglio dei vitalizi attraverso un progetto di legge già confezionato e consegnato al Presidente della Camera.

I ministri, emozionati e semplici nel loro presentarsi alla folla. Persone di cui si percepiva la voglia di cambiare le cose, a tratti increduli, che facevano fatica a chiamarsi Ministri della Repubblica e tantomeno a sentirsi tali. Ognuno di loro però deciso a dare dignità al Ministero di competenza, all’ideale e agli uomini che sono stati chiamati a rappresentare. Il ministro della Giustizia vuole che finalmente il principio “la legge è uguale per tutti” trovi un suo fondamento nello snellimento dei processi; mentre il ministro dell’Ambiente dichiara da subito guerra a coloro che hanno creato le varie terre dei fuochi. Il ministro della Difesa rivendica la dignità degli uomini in divisa e il ministro della Sanità dichiara di voler partire dall’ordinario perché è proprio quello che in gran parte della sanità italiana manca. Il Ministro della democrazia diretta ricorda che Gianroberto Casaleggio aveva detto che il M5S era nato per andare al Governo e poi sparire, diventare qualcos’altro. Quindi tutto è processo, transizione, fatto per uno scopo e ciascuno stadio perde la sua ragion d’essere una volta che l’obiettivo venga raggiunto. Migliorata l’Italia si assolve allo scopo e poi non si ha ragione di rimanere, di ancorarsi alla posizione. Noi abbiamo al potere ancora gente che ha realizzato le pessime riforme degli anni Ottanta e Novanta, quindi questo vuol dire che non sono stati in grado di assolvere allo scopo oppure che lo scopo non era risolvere i nostri problemi ma i loro. La democrazia diretta si propone di realizzare il governo di tutti, la partecipazione e il controllo dei cittadini sul processo democratico, la cittadinanza attiva insomma. Gli strumenti che vengono proposti per il suo conseguimento sono: la legge di iniziativa popolare a data certa e togliere a questa e ai referendum il quorum. Questo per impedire che le proposte popolari trovino spazio solo nei cassetti del dimenticatoio e che si invitino i cittadini ad andare al mare invece di andare a votare.

E infine è arrivato Beppe Grillo, ringraziato da tutti al pari di Gianroberto Casaleggio. Il Beppe nazionale con una visione del futuro innovativa, seria e comica a tratti. A cui non siamo abituati in tali contesti istituzionali, ma di certo più realistica e condivisibile di quella del Casaleggio giovane. Un invito a guardare avanti, a non arroccarsi su posizioni oramai fuori dalla storia. A cosa vale difendere la produzione di acciaio o le fabbriche che producono ciò che oramai rappresenta il passato come le auto a carburante, quando già ci sono paesi che producono milioni di auto elettriche? Il lavoro si crea guardando all’innovazione, alla tecnologia. E il lavoro del futuro non sarà più schiavitù, ma dovrà essere ben pagato, dignitoso e, soprattutto, concederà più tempo libero. Un invito, quello di Grillo, a guardare a noi stessi e in maniera più solidale: “Quando fai qualcosa per gli altri allora sei libero”, ha detto. Partecipazione, condivisione e disponibilità a essere “statisti”, cioè a guardare oltre il quotidiano e a immaginare la nostra vita tra trent’anni o a come sarà quella dei nostri figli e nipoti. Non ha chiesto un sacrificio come quelli che finora sono stati chiesti dalla Fornero oppure da Monti, Draghi e Cottarelli, non sacrifici finanziari, ma di abbandonare le convinzioni che ci impediscono di immaginare un futuro migliore, con meno energia fossile e più rinnovabili, ma anche con più condivisione che competizione.

Sul palco di Roma c’erano tre mondi diversi anche se tutti si professano abitanti dello stesso pianeta. C’erano ragazzi cresciuti insieme alle loro idee di rinnovamento, alla loro capacità genuina di immaginare caparbiamente un futuro migliore per tutti e non per pochi. Un futuro in cui si possa superare non le Istituzioni, ma la parte delle istituzioni che blocca l’inventiva, la partecipazione, l’innovazione democratica. Il tutto partendo da basi sicure, dall’affermazione dell’italianità, del territorio, dalla temperata difesa dei valori costituzionali, dei confini intesi come struttura saldante gli interessi economici nazionali e la contemporanea apertura al mondo multiculturale con una particolare attenzione all’innovazione tecnologica. E c’era Grillo che salda quest’attenzione alla tecnologia, che per lui vuol dire robot che liberano dal lavoro, non sostituiscono l’uomo ma lo aiutano e fanno quello che l’uomo del futuro non sarà più costretto a fare. La tecnologia regalerà tempo e per questo dobbiamo sforzarci di ragionare almeno a 25-30 anni in avanti, svincolarci dalle catene del pensiero ancorante, che rallenta il processo di immaginazione. Grillo è un comico, non un politico e nemmeno uno statista. Un visionario, e quando parla a volte blatera, ma in mezzo ai suoi discorsi c’è sempre qualcosa da cogliere e molti dei parlamentari e dei ministri sul palco lo hanno colto agli albori del Movimento. E a sentir parlare la maggior parte dei parlamentari su quel palco si comprende che hanno colto il messaggio senza però perdere il contatto con la realtà come invece Grillo può permettersi di fare, avendo scelto di rimanere fuori dal Parlamento. Davide Casaleggio, il terzo mondo, invece preoccupa e sembra fare discorsi fuori dal tempo non per preveggenza, ma per contenuti hard. Preoccupa l’ossessione della rete che va a cozzare con la centralità reale dell’essere umano che si concretizza nella quotidianità e sul territorio, sulle differenze, sul multiculturalismo. La rete ci ha dato tanto e di sicuro continuerà a farlo ma la sfida, almeno per quanto mi piace pensare, dovrebbe essere la difesa della vita reale, la percezione della rete come strumento tecnologico atto a migliorarci la vita e non a inglobarci. Le parole di Casaleggio, come sempre, mettono dunque un po’ paura, un futurismo che si fatica a immaginare, l’uomo messo al centro, ma attraverso l’ossessione della rete, la connessione virtuale che più che libertà ricorda il controllo totale e asettico. Casaleggio rappresenta il mondo ‘altro’ del fenomeno grillino, di cui non sarei troppo sicuro che i pentastellati abbiano realmente bisogno. Al di là della riconoscenza che continuamente i Cinque Stelle gli dimostrano a parole, non si vede una chiara volontà ad addentrarsi nelle oscurità dei ragionamenti della ditta Casaleggio, e questo mi sembra un bene.

Il Movimento Cinque Stelle, una novità assoluta nel panorama politico e oggi al Governo di un Paese in difficoltà non tanto per mancanza di inventiva, produttività, know how, ma per cattiveria e distacco dalla realtà del popolo da parte di quella cerchia di intellettuali, politici, industriali e banchieri che sono diventati l’élite dell’Italia e l’hanno condotta a un futuro di sottomissione agli interessi finanziari e trans-nazionali. Un piccolo concentrato di persone avulse dalla realtà, che dalle loro ville faraoniche e fine settimana ai tropici ci parlano di austerità da condividere, supportati da conduttori tv con stipendi milionari, intellettuali pagati a presenza ed economisti incapaci di vedere la differenza tra uno Stato e una famiglia, ma chiaramente interessati al proprio bilancio personale e alle proprie rendite di popolarità. Una novità assoluta, sebbene si percepisca dalle parole e dai movimenti impacciati una certa impreparazione, la mancanza di quella furbizia e di quel ‘saper fare’ a cui siamo abituati. Ma davvero questo ci potrà sembrare peggio della presenza di Renzi, della Boschi e dell’inutilità delle parole di Martina o della Boldrini sempre a caccia di un nemico immaginario, dei fascisti o dei razzisti? Magari, invece, siamo tutti un po’ stufi di Tajani, di Junker, dei francesi e dei tedeschi, che ci richiamano alle nostre responsabilità rinfacciandoci la nostra pochezza, e del fatto che nessuno gli risponda per le rime. E magari, forse, siamo anche stanchi delle narrazioni ufficiali sulla storia dal dopoguerra a oggi e ci viene voglia di aprire qualche libro e di ascoltare voci diverse. Di smettere di dare consenso a coloro che ci hanno regalato lavoro precario e scuole fatiscenti.

È una sfida, è richiesto coraggio, ma anche incoscienza, visione e poca paura del vuoto. Pazienza, perché in fondo 5 anni passano in fretta, e un pizzico di riconoscenza, perché senza il M5S ci sarebbero state le sicurezze del Pd, la paura del debito pubblico e l’austerità, che forse cominceranno a segnare il passo. E per i più timorosi, ricordiamoci che di questo Governo fa parte la Lega, che può vantare almeno un ventennio di partecipazione, a vario titolo, alla vita politica italiana, Salvini non è il primo ministro dell’Interno che il partito ha prodotto e questa volta può contare su un Bagnai, un Borghi, un Savona e su tante nuove competenze oltre che su uomini navigati, sia per esperienza che per anagrafica. Insomma, diamoci una possibilità, i tempi non sono mai stati così maturi per aspettarsi qualcosa di nuovo.

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Claudio Pisapia

Dipendente del Ministero Difesa e appassionato di macroeconomia e geopolitica, ha scritto due libri: “Pensieri Sparsi. L’economia dell’essere umano” e “L’altra faccia della moneta. Il debito che non fa paura”. Storico collaboratore del Gruppo Economia di Ferrara (www.gecofe.it) con il quale ha contribuito ad organizzare numerosi incontri con i cittadini sotto forma di conversazioni civili, spettacoli e mostre, si impegna nello studio e nella divulgazione di un’informazione libera dai vincoli del pregiudizio. Cura il blog personale www.claudiopisapia.info


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it