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L’occasione per questo atto d’amore mi è stata offerta dal mio amico e collega Giuseppe Quattrini e dal Liceo Ariosto di Ferrara, dove sono state organizzate ‘le giornate della Filosofia’ dedicate a varie tematiche e approcci al pensiero contemporaneo. Nel corso della conferenza ho potuto parlare del mio amore per Antonio Gramsci: da dove nasce, perché, chi è Antonio Gramsci oggi?

Il mio Gramsci è il frutto sempre fresco di una passione sorta grazie alla mia maestra delle elementari. Era lei che nella Bologna dei primi anni Settanta, ogni sabato ci leggeva Garcia Lorca, Lee Masters e le Lettere dal carcere di Gramsci. Da allora, ho continuato a leggerlo e rileggerlo, persino all’esame di maturità, scelsi il tema di storia su Gramsci e la questione meridionale. Divenuto professore di filosofia e storia in Sardegna ho avuto occasione di partecipare a un convegno internazionale a Cagliari, a cura dell’Istituto Gramsci nel sessantesimo anniversario della morte. Era il 1997.

Letto, studiato, amato in tutto il mondo, Gramsci in Italia si studia poco e male, neppure lo si veicola tra i giovani. Perché era comunista? Una volta crollata l’URSS, abbiamo buttato via il bambino e l’acqua sporca? Forse. O forse perché Gramsci parla alla coscienza critica degli italiani di oggi; una coscienza affievolita, apolitica, che si vergogna di essere stata comunista.

Ha una concezione della dialettica come dialogo, vaso comunicante e di reciprocità tra struttura e sovrastruttura che consente di comprendere come il ‘900 sia stato il “secolo americano”. Reinventa il concetto di egemonia non come comando, ma come percorso verso il consenso e una via nazionale per l’Italia post fascista e quindi democratica.

E chi ha il compito di costruire il consenso, l’egemonia? Gli intellettuali critici organici, capaci di rivolgersi alle masse. Non certo gli intellettuali chierici, servili dei Signori prima e dei Padroni poi. Gli intellettuali che pure dichiarano di essere di sinistra ma che disprezzano il popolo e la cultura popolare. Quelli che preferiscono frequentare i salotti televisivi e benpensanti per promuovere se stessi e i propri libri, nel più acclarato impulso narcisistico.

Il mio Gramsci ha capito che il Nord ha colonizzato il Sud con la collaborazione dei ceti intellettuali e agrari meridionali in Italia, non senza un appoggio esterno all’Italia. Mentre il blocco industriale del Nord è legato agli interessi semifeudali e mafiosi del Sud. Per questo la questione meridionale resta perennemente all’ordine del giorno, senza una vera azione governativa di contrasto all’emigrazione, all’abbandono degli studi, al vivere di lavoretti in nero, alla disoccupazione femminile etc. etc.

Il ‘mio Gramsci’ aveva ben chiaro lo stretto rapporto tra politica e cultura e quindi aveva compreso come il Fascismo fosse una delle tante rivoluzioni passive che hanno segnato la penisola italica prima e l’Italia unita poi. Riprendendo il pensiero di Cuoco ciò significa che l’Italia ha subito quasi sempre delle Restaurazioni mascherate da Rivoluzioni nelle quali le masse non hanno avuto veramente un ruolo se non la subalternità. Ma cosa rende i subalterni dei subalterni?

La propaganda, l’ideologia, il consenso tutte operazioni culturali messe in atto dal potere dei partiti e dai loro intellettuali di riferimento che illudono i subalterni. Cosi fu per il Fascismo con la piccola borghesia che appoggiò Mussolini, credendo di fare la storia e invece ne fu totale strumento di bieco conformismo: agente bianco della controrivoluzione diceva Gramsci. E oggi che il quinto stato vota a destra? E i partiti di sinistra trovano consenso nella borghesia?

Occorre sempre tenere presente che struttura e sovrastruttura si influenzano e che i ceti meno abbienti trovano la loro voce nella propaganda egemonica della destra reazionaria e populista. Sovranista e nazionalista se non regionalista, secondo una retorica che tende all’egemonia del denaro e del conformismo. Se non dell’indifferenza.

Io odio gli indifferenti – scrisse Antonio Gramsci – essi sono la gramigna della coscienza collettiva. Oggi direbbe che la sinistra ha abdicato al suo compito, ingurgitata dall’ennesima operazione trasformista, portandola ad essere il salvacondotto della buona borghesia. Incapace di parlare agli operai, agli emigrati, alle vittime del caporalato, frequentatrice di banche e banchieri, più che di precari e giovani disoccupati.

Caro Antonio quanto sono stati belli e sofferenti i tuoi amori! Tu che lavavi i piatti, unico uomo a farlo alle riunioni di partito. Le donne a cominciare da mamma Peppina ti hanno accompagnato e tua sorella Teresina, Giulia la madre dei tuoi due bambini, Tatiana sua sorella (vicina a te in carcere) ti portava il meglio possibile. Amore e rivoluzione. Cuore e pensiero. Sono strettamente connessi. Quando la tua vita è volata via di notte, Tania ti ha accompagnato alla grigia tomba nel cimitero, dove giaci coi fiori spenti dall’arido silenzio della memoria dei più.

 

 

 

 

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Roberto Dall’Olio

Bolognese da sempre ancora prima di nascervi. È nomade cosmopolita. Scrisse poesie da anni otto circa. E non smise più. Pubblica libri in versi. Ritiene la poesia una forma di stoviglia, detta alla Gozzano. Ah, poeti di riferimento: Italiani: Roberto Roversi mio maestro e amico Antonia Pozzi Alfonso Gatto Guido Gozzano Stranieri: Neruda Lorca Salinas Yanez Piznik Brecht Prevert Plath Sexton Seifert Cvetaeva Ritsos Pasternak Saffo


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