Il mio cortile è molto grande, preceduto da un portico, affiancato dall’orto, chiuso da una muraglia su tutti i lati. E’ una specie di grande stanza all’aperto che assicura la lontananza da sguardi indiscreti, da intromissioni non necessarie, garantisce tanto silenzio. Sotto il portico sono posizionati un divano di vimini e tre poltrone, la voliera con gli inseparabili, uccellini graziosi, colorati e canterini. Sono cinque: la coppia di genitori e tre figli nati in due nidiate diverse. Avrebbero dovuto essere quattro, ma purtroppo uno è morto neonato, soffocato dai suoi fratelli. La natura è feroce e crudele, si sa. Il cancello che dà sulla strada è di ferro verniciato di verde. L’aveva voluto così mio nonno e così è rimasto. Il cortile è un po’ in pendenza, rasenta le mura della città medioevale che non sono lineari e presentano un dislivello importante. La strada che passa davanti al cancello è in discesa. Una discesa bella ripida, in bici si può scendere a velocità folle e divertirsi da matti, rischiando la pelle. Da matti, appunto.
In questi tempi di epidemia, il cortile è una grande risorsa, ti permette di stare all’aria aperta senza uscire di casa. Se mai qualche proprietario di cortile non avesse avuto chiara la sua fortuna, i tempi odierni gliel’hanno svelato in tutta la sua verità. Enrico, mio nipote, pedala con la sua bicicletta rossa verso il sole e non sa che è un bambino fortunato, lo percepisce a livello fisico, non razionalmente. A volte salta dalla bici al monopattino, un altro dei suoi mezzi da cortile e, altre volte ancora quando pensa che nessuno lo veda, si rotola per terra come un maialino. Corre felice nel cortile, verso il tempo della sua vita, verso un mondo di fiabe che solo lui conosce, verso la sua infanzia inviolata. Nel cortile non entra la peste. La malattia è chiusa fuori con tutto il suo fardello di morte. La peste non perfora il cortile, non lo attraversa con il suo odore putrido, con il suo mantello nero e viola. Enrico è piccolo, moro, con le gambe lunghe e un sorriso aperto. Parla e scrive, nonostante abbia quattro anni. Ama correre e saltare, vuole fare ginnastica con sua sorella. Come afferma Jean Piaget: “L’educazione dovrebbe avere come obiettivo la formazione di adulti creativi, pieni di idee e per niente conformisti”. Direi che con Enrico, siamo sulla buona strada.
Spesso mi chiedo come molti genitori educhino i lori figli. A volte non fermano delle abitudine malsane (guardare per ore tv, tablet e pc, usare continuamente il telefono, mandare messaggi all’universo, …), altre volte sgridano i figli perché non obbediscono al loro volere, qualunque questo sia. Spesso la disobbedienza che tradisce la volontà dell’adulto sfocia in punizioni legittimate da un generico: “lo faccio per il tuo bene”. Bene di chi? Dell’adulto che sfoga la sua rabbia o del bambino che imparerà che le punizioni, a volte anche le sberle, hanno una loro legittimità? Trovo questa questione dell’obbedienza davvero pericolosa. L’obbedienza a tutti i costi che non dipende dalla ragionevolezza della richiesta, ma dalla imposizione della volontà di un adulto su un bambino, è vicino a qualcosa che io chiamo prevaricazione. Non credo che un bambino debba fare quel che vuole l’adulto perché è quest’ultimo a chiederglielo, ma perché quello che vuole l’adulto è una richiesta ragionevole. E’ il bambino che la deve considerare tale. Questo dovrebbe essere il senso dell’educazione quotidiana che si perpetra ogni giorno nei nostri cortili, tra le mura delle nostre case. Spesso i genito non interrompono comportamenti ‘negativi’ dei figli, perchè non li vivono come forme acute di disobbedienza. E’ questo il vero nocciolo della questione, ciò che ciascuno di noi ingloba nella categoria ‘disobbedienza’, nel suo senso, nelle sue conseguenze. Tenendo conto che come tutte le categorie, è anche questa appresa (‘disobbedire’ dipende spesso da comportamenti imitativi di quelle che sono le figure di riferimento), gli adulti hanno una grande responsabilità. Tralasciano spesso di intervenire in situazione dannose per il semplice motivo che non dipendono dal seguente postulato: “io ti dico cosa fare e tu fai quello che io decido, perché la decisione è presa per il tuo bene”. Credo sia ora di abbassare la presunzione di possedere la verità e di poterla imporre. Per dirla alla Jean Piaget: “ L’educazione dovrebbe avere come obiettivo principale la formazione di donne e uomini capaci di inventare cose nuove, che non finiscano per ripetere semplicemente ciò che le generazioni precedenti hanno fatto. Donne e uomini creativi, inventivi e amanti delle scoperte, che abbiano uno spiccato senso critico, che verifichino senza prendere per buono tutto quello che viene detto loro”. E per dirla alla Don Milani: “L’obbedienza non è una virtù”. Condivido questo pensiero, lo sposo in pieno.
Enrico è un bambino curioso, sempre molto attento. Coltiva l’orto con la nonna, mia madre. Piantano insieme i piselli e ridono del loro lavoro. Cucinano anche in coppia, puliscono la verdura, preparano la cena. A volte fanno merenda con i succhi di frutta alla pera e cantano le canzoni di Natale, anche quando è quasi Pasqua. Nel cortile, in questi giorni, Enrico vive tutte le sue giornate. Non può andare altrove, non ci prova nemmeno più. Racconta alle sue macchinine che la gita dell’asilo quest’anno non si farà, che al parco giochi non si può andare perché là c’è un virus che fa ammalare le persone. E allora è meglio il cortile con tutte le sue risorse. Enrico corre con la sua bicicletta rossa verso il tramonto. Scompare quasi nel rosso e sembra un pomodoro maturo. Lo guardo allontanarsi e vedo i suoi folti capelli e il collo rosa. Quel cucciolo d’uomo sembra da lontano una piccola pantera. E’ veloce, scattante, flessuoso, attento. Lo guardo pedalare e penso che anche per lui un futuro ci sarà. Forse lui diventerà un adulto diverso. Dovrà essere forte e determinato, dovrà lavorare per gli altri, per la sua città e per tutti gli uomini della terra. Lui non sa cos’ha sulle spalle, un mondo intero che grava anche su di lui. Quel bambino è il cuore del mondo, è la sete che si sazierà, è il freddo che troverà il fuoco, è la nostra speranza per il futuro che verrà. Nel nostro cortile c’è un po’ del futuro di tutti. E’ quel bambino che gioca tutto il giorno, corre felice, si rotola, canta. E’ quel bambino che ruba le fragole dall’orto e sorride a tutti, come se in ciascuno di noi ci fosse almeno qualcosa di bello che vale la pena di essere scoperto e ricordato. In quel bambino vedo tutti i bambini del mondo con i loro occhi limpidi, perché più vicini di noi alla verità. In questo periodo il cortile è una grande risorsa, permette di preservare i bambini dal pericolo del male e di concedere loro un angolo sicuro dove giocare. Vorrei poter regalare a tutti i bambini un cortile. Questo fazzoletto di terra recintato è un grande antidoto all’invecchiamento precoce, è un libro vivo dal quale si possono imparare molto cose. Nel cortile ci sono i lacci per legare alla vita ciò che è e ciò che sarà, il tempo e il vento, il sorriso e le fragole. Sono contenta per Enrico, per com’è e per come diventerà. Poi resta il caso nefasto e la malattia mortale, ma questo nel cortile non ci sta.
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Costanza Del Re
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