Al convegno preparatorio di Orvieto per la costituente del Partito Democratico del dicembre scorso, e nei momenti successivi, Pierluigi Castagnetti, l’ultimo segretario dei popolari, parlava di “meticciato” come della condizione indispensabile per mettere insieme le diversità di storie ed esperienze, di valori ed ideali, delle due principali forze politiche italiane, oltre ad altro naturalmente.
Le difficoltà dell’amalgama stanno nella tribolazione di questi cinque anni e oltre; soprattutto in periferia, nelle cento città e ottomila comuni, dove sovente, nelle salette dei circoli, fuori casa, ti sentivi in prestito, sopportato, a trazione unica. Ora quel “meticciato” non c’è più, si è esaurito, e si sta trovando l’uscita dal ‘900, anche se appaiono, ancora, gli ultimi resistenti “giapponesi”.
Se penso alla nostra città e al suo territorio, l’unica cosa che forse aiuta è quel passaggio della politica che va da viale Krasnodar a via Frizzi, un modo per abbandonare un “museo” senza ritrovare, per ora, nuove architetture. Di altri attori indigeni non se ne vede, se non in alcuni tavoli del nostro centro storico. Ed in questo nuovo quadro d’insiemi, possiamo dire che ora si assapori, anche trasversalmente, uno slancio sociale un po’ più aperto, per le ritrovate identità, e quindi che si possa intravedere l’accesso a quei profumi di conoscenze e di saperi, necessari per crescere come Paese e costruire un futuro di speranza.
Possiamo affermare che era necessario entrare nella “cristalleria” del ‘900 per darsi impronte di cambiamento, rimodellarsi e riposizionarsi nel nuovo che avanza, tra sviluppo, innovazione e nuovi umanesimi, per poter entrare nei processi di globalizzazione, senza perdersi e sciogliersi nei nostri localismi, ricchi di sfumature e scavati nelle profondità dei vissuti. Forse non è ancora finito
il tempo del rimodularsi, dello scomporsi e del ricomporsi da parte delle nostre forze politiche;
ma di certo sarà l’Europa a dettare i tempi nuovi e a segnare i tratti necessari per andare oltre questa crisi profonda (anche politica) che sembra non finire mai.
Ci saranno due grandi aree della politica in Europa, due nuovi centrali pilastri della convivenza democratica, oltre a pochi, limitati e disturbanti eccessi nazionalistici e regionalistici, sostanzialmente egoistici e populisti. Chi vorrà stare fuori dalla storia da costruire, si dovrà accomodare e rimanere ai margini dei tempi nuovi, i cui segni sono ormai evidenti e maturi. Ci saranno, sicuramente, delle resistenze, anche dure e durissime, ma il solco è ormai profondo e dentro si può solo morire, sciogliendosi.
E’ sufficiente stare qualche minuto tra i tavolini di un bar, in una paninoteca all’ora dell’aperitivo, tra gli scaffali di un ipermercato, in un polveroso centro per l’impiego, in un corridoio di ospedale, dietro ad un tornio, all’oratorio, nel sagrato di una Chiesa, nella curva ovest di uno stadio, in una associazione onlus, tra i banchi delle scuole superiori, per capire che la strada da percorrere è una sola, una sola e urgente, cioè la strada di una politica del cambiamento. Non abbiamo certamente sognato, non siamo vicini al paradiso, anche se ci piace prendere quel caffè sopra le nuvole di una bellissima pubblicità; però “lasciateci almeno la speranza” come invoca il cardinal Martini.
Aspettare una “nuova cristalleria” è quel cambio di passo che ormai tutti ci attendiamo.
Sostieni periscopio!
Enzo Barboni
Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it