L’esercizio della memoria è un qualcosa che va coltivato giorno per giorno. Proprio da questa idea nasce l’esigenza di riportare oggi questo “racconto”: una conversazione avuta con una delle firme più autorevoli di questo giornale, Gian Pietro Testa, il 25 aprile del 2019, nell’anno del cinquantennale della strage di Piazza Fontana. A farlo siamo stati in due, lo scrivente, e Simone Buonomo, studente dell’Università di Bologna, con l’intento di recuperare la testimonianza di un giornalista che per primo raccontò la strage e che per primo si dichiarò contrario a percorrere la “pista anarchica”, cercando di capire anche quale fu il rapporto proprio della stampa con la narrazione della strage che avrebbe cambiato per sempre le sorti dell’Italia post bellica.
I fatti
12 dicembre 1969, ore 16.37. Una bomba esplode all’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano uccidendo 17 persone, ferendone 105. Ciò segnerà per sempre la storia della Repubblica Italiana. Quello che poteva sembrare un gesto omicida isolato, rappresenterà una commistione di intenti che porteranno all’inizio di quel momento storico in cui si attuò la “Strategia della Tensione.” Anni dopo, in fase processuale, si proverà la partecipazione dei servizi segreti e di membri del Governo unitamente a gruppi di estrema destra nel compimento di alcuni attentati.
Tra i primi ad entrare come giornalista ci fu proprio Gian Pietro Testa.
“Un pomeriggio milanese”
Giampietro, come ricorda quel giorno?
“Era un pomeriggio alla milanese. Io avevo la febbre e avevo avvertito la redazione che non sarei uscito di casa. Casualmente abitavo nei pressi di Piazza Fontana. Mi chiamarono dal giornale parlandomi di un incidente nella Banca dell’Agricoltura e corsi a vedere cos’era successo. Arrivato sulla piazza incontrai un mio collega de “Il Giorno”, il quale mi disse che c’era stato uno scoppio, dovuto dalle caldaie. Riuscii ad entrare facendomi largo tra la polizia, ero il primo giornalista a introdurmi nel luogo della strage e capii subito che non potevano essere state le caldaie ed infatti, chiedendo ad un pompiere, costui mi disse ‘ma quali caldaie? È stata una bomba’. Sotto il tavolone in mezzo alla sala circolare c’era il buco, il cratere dov’era scoppiata. Il Prefetto di Milano, Libero Mazza, intervenne immediatamente addossando le responsabilità del gesto agli estremisti di sinistra e agli anarchici. La stampa iniziò a cucire sulla pelle degli anarchici la storia della strage a partire da quelle affermazioni. Insomma bisognava trovare un colpevole e subito, per tranquillizzare l’opinione pubblica, ed i media non ci misero molto a tessere queste tele che coinvolgevano gli anarchici: erano coloro che avevano, per le loro rivendicazioni ideologiche un identikit perfetto per essere i colpevoli che andavano bene a tutti”.
Probabilmente Piazza Fontana rappresenta lo spartiacque per la Repubblica italiana, ma come si arrivò a questo?
“La strage di Piazza Fontana non è arrivata improvvisamente, era nell’aria da tempo. C’erano stati attacchi furibondi all’Italia. Si è arrivati alla strage perché si voleva fare un’azione propedeutica ad un’azione politica. L’avanzata della sinistra, soprattutto con i giovani, aveva portato all’esasperazione le vecchie strutture mentali del paese. C’era questa situazione incredibile. Prima della strage, nel 1962, bisogna ricordare il primo attacco alla democrazia con la bomba che uccise Enrico Mattei, amministratore dell’Eni, vicenda mai del tutto chiarita. Sette anni lunghissimi, fino al ’69, di attesa, ma l’aria era satura. L’Italia era maciullata dagli scontri politici. Tra l’altro, nel 1969, a causa delle manifestazioni di piazza si era creato un aspro conflitto tra i giovani dell’università e le forze di polizia, e di attentati e crisi della democrazia si parlava spesso. Bisogna ricordare anche gli attacchi degli altoatesini che hanno creato molta confusione. La questione dell’Alto Adige, alla fine degli anni ’50, aveva visto un’escalation di violenza che vide protagonisti i gruppi secessionisti germanofoni. Questa situazione portò a numerosi attentati, come la strage di Cima Vallona il 25 Giugno del 1967. Ci fu una serie continuativa di attacchi che si protrassero addirittura fino al 1988.”
Si parlava spesso di stragi sui giornali?
“Si parlava di attentati tutti i giorni. Erano cominciate le stragi e quella di Piazza Fontana fu solo la prima di un periodo lungo cinque anni fino all’Italicus, in questo periodo nel quale fu attuata la cosiddetta “Strategia della Tensione” si viveva in uno stato di incertezza.”
La stampa e le “piste”
Prima di proseguire con le parole di Testa, bisogna ricordare come la stampa, per la gran parte, seguì la pista degli anarchici, i quali cercarono di difendersi dopo i primi arresti. Quest’ultimi fecero una conferenza stampa il 17 dicembre, in cui fornirono la loro versione dei fatti. Dicevano, sostanzialmente, di essere innocenti sia per quanto riguardava l’attentato alla Fiera Campionaria, avvenuto il 25 aprile dello stesso anno, sia per quanto riguardava la strage di Piazza Fontana.
Rispetto alla bomba alla Fiera Campionaria, poi, possiamo trovare ben due elementi di congiunzione con la strage di Piazza Fontana: in primis le indagini sull’attentato del 25 Aprile 1969 furono assegnate al Commissario Calabresi, lo stesso protagonista delle indagini sulla strage di Piazza Fontana, ed anche in questo caso, Calabresi, puntò sulla pista anarchica. Solo successivamente si scoprì che si era trattato di una strage ordinovista. Il secondo elemento di congiunzione è un articolo del “The Guardian”, pubblicato il 6 dicembre sempre del ’69, nel quale si preannunciavano una serie di eventi terroristici successivi alla fiera e denunciava rapporti tra i gruppi fascisti italiani e i Colonelli Greci. Questo articolo fu quasi del tutto ignorato in Italia, tranne che da pochissime testate, tra le quali proprio “Paese Sera” dove lo stesso Testa ha lavorato.
Tutta la stampa, comunque, iniziò a percorrere la pista anarchica. Anzi, quasi tutta tranne Idro Montanelli, il quale a poche ore dalla strage rilasciò un’intervista a Tv7 nella quale diceva che gli anarchici erano innocenti, e proprio Gian Pietro testa, il quale dopo essere stato sul luogo scrisse l’articolo “Un Infame provocazione” aprendo l’ipotesi della pista nera.
Perché scrisse quell’articolo?
“Ricordo la conferenza stampa che fece in Prefettura l’allora Presidente del Senato Amintore Fanfani, il quale ad un certo punto disse: ‘Come lor signori sanno, noi non smetteremo mai di cercare i colpevoli’. Io lo guardai e gli dissi ‘ma non si vergogna di dire una cosa del genere? Sono anni che abbiamo stragi e voi non avete fatto niente e non fate niente’. Lui voltò le spalle e se ne andò silenziosamente. Comunque io ero convinto che fossero stati i fascisti. Alcuni giornalisti seguirono immediatamente la pista anarchica e spesso si ritrovarono ad essere d’accordo con ciò che dicevano la polizia e le autorità. Io ho visto con i miei occhi l’attentato. Non mi tornava niente di quello che si diceva con le accuse agli anarchici e ho scritto un articolo come provocazione, che poi si è rivelata esatta. Il 13 Dicembre, all’indomani della strage, vennero fermati gli anarchici del gruppo ’22 Marzo’ che furono accusati per la strage. Nelle ore successive la Questura di Milano cercò le prove e interrogò i componenti del gruppo: tra questi c’era anche Giuseppe Pinelli, che poche ore dopo l’arresto morirà precipitando dal quarto piano della Questura. Caduta che non ha trovato mai un vero colpevole.”
Quale fu il ruolo della stampa nella costruzione della figura di colpevole addossata a Pietro Valpreda invece?
“Pietro Valpreda era un anarchico che apparteneva al gruppo ‘22 Marzo’. Da anni veniva seguito come uomo socialmente pericoloso ed era in stato di massima sorveglianza, quindi si conoscevano tutti i suoi spostamenti e tutti sapevano che il 12 Dicembre era stato convocato in Tribunale a Milano e che l’11 dicembre aveva viaggiato in treno per recarsi in città. Hanno creato un mostro con Valpreda. Fu una creazione giornalistica, mediatica. Ed anche lui non aveva fatto assolutamente niente. Alcuni colpevoli sono stati costruiti sulla carta. Per esempio, mi viene in mente il caso del ‘Corriere della Sera’, il cui direttore Di Bella diceva, anche a distanza di qualche anno: ‘È stato lui, è stato Valpreda. È stato Pinelli’. E così buona parte della stampa italiana. Dovevano trovare un colpevole e così hanno fatto. Tanto è vero che Valpreda fu riconosciuto forzatamente dal tassista Cornelio Rolandi: in mezzo ad alcuni volti rassicuranti c’era anche Valpreda, riconoscibile nel suo stile anarchico. Rolandi disse ‘È lui’, al che gli chiesero ‘Sei sicuro?’. Rolandi disse: ‘Se non è lui, qui non c’è’. Una frase mai riportata dai verbali.”
Con gli appartenenti ad ordine nuovo va ricordato, a questo punto, che la stampa si comportò in maniera diversa rispetto a come descrisse Valpreda e gli anarchici. Attivò la macchina del fango contro i primi. Successivamente, con le svolte processuali, non si trova la stessa reazione nei confronti degli appartenenti ad ordine nuovo. Non si capisce se il motivo è da ricercare nel fattore temporale, e cioè nella non “mediaticità” della notizia, dopo molti anni dai fatti, o perché non si voleva ammettere che alcuni comparti dello Stato avevano partecipato attivamente alla costruzione di questo disegno stragista.
Giuseppe Pinelli
Va ricordato, ora, però, chi fu la “diciottesima” vittima della strage, gettato dalla finestra della Questura di Milano e come fu raccontato dalla stampa. Anarchico, ferroviere, tra i fondatori del Gruppo “Ponte della Ghisolfa”. Marcello Guida, il Questore di Milano all’epoca, organizzò una conferenza stampa il giorno della caduta di Giuseppe Pinelli dal quarto piano della Questura, alla quale parteciparono anche il dott. Antonino Allegra e il Commissario Luigi Calabresi. La prima versione che fu data alla stampa fu quella che raccontava di un Pinelli incapace di convivere con la responsabilità delle morti causate dalla bomba nella banca, una colpa così grande da decidere di suicidarsi. Fu una versione che la stampa accettò costruendo, sull’onda delle responsabilità degli anarchici nella strage, la personalità pericolosa di Pinelli. Solo a seguito delle contro-inchieste del gruppo anarchico di Pinelli e delle Brigate Rosse, fu riconosciuta la sua estraneità nella strage di Piazza Fontana. La sua morte segnò la storia delll’Italia, non solo per le circostanze misteriose, ma anche perché legata indissolubilmente all’omicidio di Luigi Calabresi e del presunto coinvolgimento dei servizi segreti.
Su tutto questo quale fu la sua idea?
“Io fui convinto da subito che Pinelli fosse stato buttato giù dalla finestra. Il racconto di Calabresi non era credibile. Ricordo la conferenza stampa che fece Calabresi. Venne su nell’ufficio del Questore e cominciò a parlare e dire che era stata tutta colpa di Pinelli ed è iniziata questa storia nella storia. Pinelli fu preso perché erano convinti che i colpevoli fossero gli anarchici, ma non c’entravano nulla in realtà. Bisognava, però, difendere la versione della Questura. Calabresi si tradì l’anno successivo, quando in un’intervista disse che Pinelli era innocente e che da lì a poco sarebbe stato mandato a casa perché non c’erano motivi per trattenerlo. Da questo momento si attivò una macchina del fango mediatica nei confronti di Calabresi che fu accusato, grazie all’intromissione dei servizi segreti, di avere rapporti con la Cia. Calabresi e Pinelli sono i figli della tragedia nella tragedia: entrambi innocenti, ma entrambi vittime di un sistema che stava crollando e che viveva una confusione nella costruzione politica. Mi è dispiaciuto ed è stato un errore uccidere Calabresi, un errore tragico. Calabresi sapeva come stavano le cose, ma non le ha dette e questa è la sua colpa. Gli anarchici lo hanno ammazzato, ma è stato sciocco farlo”.
Ordine nuovo
Arriva, così, il 27 febbraio del 1979. A distanza di dieci anni dalla strage, dopo che il processo fu spostato a Catanzaro per incompetenza territoriale di Milano, la corte d’Assise condanna all’ergastolo: Franco Freda, Giovanni Ventura e Guido Giannettini.
Quale fu la sua idea sullo spostamento del processo e sull’inserimento nello stesso degli ordinovisti?
“Farlo a Bologna e Milano sarebbe stato una provocazione che non si è voluta seguire. Erano momenti di assoluta confusione mentale, con le forze dello Stato particolarmente in difficoltà. Questa era la situazione e si optò, quindi, per il trasferimento a Catanzaro del processo. Le Br, unitamente ai gruppi anarchici, non si fermarono un minuto per trovare i veri responsabili e il Governo si cautelò istituendo la Commissione Stragi. Da lì fu scoperta la verità. La Commissione Parlamentare d’inchiesta sul terrorismo e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi indagò e ha una durata di quattro legislature dal 1988 al 2001.”
La vicenda di Piazza Fontana, però, è difficile da analizzare dal punto di vista giuridico. Ci sono stati tanti risvolti e molti episodi successivi che appartengono alla strage, un evento che è iniziato nel 1969 e le ricerche non si sono mai fermate. Si può provare a riassumere così:
- Prima l’arresto degli anarchici e la responsabilità data a Valpreda;
- Poi la confusione delle dichiarazioni di Rolandi, il tassista, e la tesi che a mettere la bomba fosse stato Antonino Sottosanti, meglio conosciuto come “Nino il Fascista”, il quale era un infiltrato fascista nei gruppi anarchici, cosa molto diffusa in quegli anni. Ipotesi, però, mai riscontrata.
- Nel 1974, a Catanzaro, ci fu il primo processo agli ordinovisti e furono condannati all’ergastolo dalla Corte d’Assise Giovanni Ventura, Franco Freda e Guido Giannettini.
- Freda nel 1978 scappa durante il processo e inizia la sua latitanza in Costa Rica. Sarà trovato l’anno successivo. Per la prima volta Pietro Valpreda fu assolto dall’accusa di aver piazzato la bomba.
- Nel 1987 la svolta: la Cassazione assolve tutti gli imputati per mancanza di prove. Nonostante varie riaperture delle indagini, le piste ipotizzate che portavano a Stefano Delle Chiaie, fondatore di Avanguardia Nazionale, ci fu sempre un’assoluzione per mancanza di prove.
- Il Processo si riaprì nel 2000 e si concluse nel 2005: questa volta le inchieste del Giudice Guido Salvini si incentrarono sulle dichiarazioni di Carlo Digilio, ex neofascista di ordine nuovo. Digilio sosteneva di aver ricevuto una confidenza in cui Delfo Zorzi, altro ordinovista, gli confidava di aver piazzato materialmente la bomba, ribadendo le responsabilità di Franco Freda e Giovanni Ventura nella costruzione della strage.
- Nel processo del 2000 furono condannati all’ergastolo Delfo Zorzi, come esecutore della strage; Carlo Maria Maggi come organizzatore e Giancarlo Rognoni come basista.
- Il 12 marzo 2004 furono cancellati gli ergastoli per mancanza di prove.
- Franco Freda e Giovanni Ventura, insieme al gruppo fascista ordine nuovo, furono riconosciuti come ispiratori ideologici della strage di Piazza Fontana, ma non più processabili perché erano stati assolti definitivamente dalla Cassazione nel 1987 per lo stesso reato.
Come commenta la vicenda processuale sulla strage di Piazza Fontana?
“Le ricerche effettivamente sono state molto difficili. Ricordo che Giovanni Ventura mi telefonò più volte per un’intervista che non gli ho mai concesso perché in quegli anni era bene non fidarsi, in quanto c’era da credere a tutti e a nessuno e a mio avviso era un personaggio pericoloso, perché aveva le mani sporche di sangue. Alla fine nessun processo ha evidenziato la persona che materialmente posizionò la bomba. Si è evidenziata solo la cellula che aveva organizzato il tutto, ma sicuramente non da sola.”
Ricostruire la strage di Piazza Fontana, come si legge, è difficile. Alla fine a pagare con la propria vita sono state le vittime innocenti ed è proprio per loro, unitamente alla memoria dell’anarchico Pinelli, che deve essere continuato il racconto della strage del 12 dicembre del ’69 e di tutto quello che ne seguì.
Coloro i quali sono stati riconosciuti colpevoli dall’iter giudiziaro hanno avuto altri destini, invece. Tra questi c’è la storia particolare di Franco Freda, il quale, tra l’altro, nel 2012, nonostante non si fosse mai pentito del suo passato dove si era definito “nazimaoista”, fu chiamato dall’allora direttore Maurizio Belpietro a tenere una rubrica sul quotidiano Libero, chiamata, stranamente, “L’Inattuale”.
Cover: Diapositiva della strage piazza fontana (da: resistenzeintenzazionali.it)
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Jonatas Di Sabato
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