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di Chiara Marchesin*

E’ molto più comodo far finta di non sapere niente, perché la realtà è scomoda da accettare e la mafia si basa su una realtà percepita invece come comoda.
E’ una riflessione che nasce dall’incontro con Sabrina Pignedoli, giornalista che ha subìto intimidazioni da parte di persone coinvolte nell’operazione ‘Aemilia’, su cui ha scritto l’omonimo libro, vincitore del Premio Estense 2016. Sabrina documenta con estrema precisione un susseguirsi di fatti che hanno determinato l’espansione della ‘ndrangheta di Cutro fino a Reggio Emilia. Queste minacce tuttavia non l’hanno portata a rinunciare al suo lavoro, anzi, senza paura si è rimboccata le maniche e ha approfondito le ricerche perché “per limitare questi fenomeni la gente deve sapere, deve essere informata”.

Nulla di tutto quello che Sabrina Pignedoli rivela riguardo la ‘ndrangheta era conosciuto: dagli appalti vinti, agli stipendi di 50.000 euro mensili, alle false dichiarazioni dei redditi, allo sfruttamento degli operai, alla politica corrotta, ai media pilotati. Nessuno sapeva nulla. Nessuno aveva mai sospettato di nulla. Nessuno mai si era posto questo problema.
Al Sud i cittadini subiscono, al Nord sono compagni di affari, inconsapevoli che poi la mafia li porterà in situazioni negative. Inizialmente gli imprenditori possono infatti ricorrere al malaffare per sottrarsi a situazioni difficili, ma poi ‘tutti i nodi vengono al pettine’ e pagano il costo di queste azioni. E il conto è caro. La mafia si presenta con una struttura solida e immutabile, capace di piantare radici in qualsiasi luogo e attraversata da forti valori. I valori mafiosi sono molti, come primi quello dell’omertà e della forza. “È inutile tentare di incastrare nel penale un uomo come costui: non ci saranno mai prove sufficienti, il silenzio degli onesti e dei disonesti lo proteggerà sempre” scrive Leonardo Sciascia ne “Il Giorno della civetta”, libro che Sabrina Pignedoli ha scelto come ‘galeotto’ e dal quale ha tratto ispirazione. Questa citazione ci pone di nuovo davanti al problema del ‘silenzio degli onesti e dei disonesti‘ che proteggerà sempre i mafiosi e i loro affiliati.

Perché prendere posizione ed esporsi fa paura a tutti? C’è una forma di omertà innata nel genere umano che deriva dalla paura di ricevere un danno irrimediabile dall’esporsi, dalla denuncia di nomi o fatti, con conseguenze che potrebbero intaccare il quieto vivere di ciascuno. Però è proprio la rottura dell’omertà in genere che implica un diffuso solidarismo sociale, uno scarso potere di dominio del più forte sul più debole. Una ricerca di Giorgio Chinnici, autore che è stato consulente della Commissione Nazionale Antimafia nella XIV legislatura, ha ampiamente dimostrato come anche l’omertà abbia costituito uno stereotipo utile a relegare un carattere umano definito (omertoso) a un ambito regionale (Sicilia) quando, al contrario, la Sicilia, in termini di denunce, si colloca al di sopra degli standard medi nazionali (sfatando una concezione antropologica del siciliano).

L’allargamento del consenso contro l’imposizione del pizzo e la territorialità delle mafie lo dimostra.
Tutti dovremmo avere il coraggio di Sabrina che dopo un’intimidazione non ha cambiato nulla nel suo modo di lavorare, anzi, si è dimostrata ancora più determinata e infastidita verso chi volesse ostacolarla. La mafia crea lavoro e aiuta quando lo Stato non c’è, ma ruba costantemente a noi e al nostro futuro. Il coraggio vero sta nel togliersi la maschera dell’omertà e nel rischiare, credendo ancora nei valori di giustizia e legalità.

 

*studentessa del Liceo Ariosto di Ferrara

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Redazione di Periscopio



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