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Oxford, 26 aprile 2020
L’ANPI di Copparo mi ha chiesto di fare un video di due minuti su cosa significhi il 25 aprile per me. Per ricordare questa data, il mio personalissimo rito laico consiste nel riprendere in mano un libro straordinario, Lettere di condannati a morte della resistenza europea, pubblicato per la prima volta in Italia da Einaudi, nel 1954. L’epistolario contiene alcuni dei testi politici e morali più eloquenti che siano mai stati scritti: alcuni da persone “che hanno letto un milione di libri” (De Gregori), la maggioranza da chi non aveva mai scritto nulla prima di allora. Sono testi immediati, spesso scritti poche ore prima della fucilazione, che raccolgono l’essenza di una vita, del proprio credo politico o religioso, dignitosi, fermi, struggenti, ma senza rimpianti. Non è certo la quantità e qualità di istruzione, oppure altre variabili socio-economiche, che distinguono coloro che si sono opposti al nazifascismo. Rischiare la propria vita per difendere la libertà è una scelta etico-morale difficilissima, ma cui non possiamo sottrarci se vogliamo continuare ad essere persone degne di questo nome, ci dicono i condannati a morte della resistenza europea.

Questo libro mi accompagna sin da bambino. Quando l’ho visto per la prima volta sugli scaffali della biblioteca di mio padre, nell’edizione originale con la copertina rossa, nella collana dei Saggi. Lo ritrovavo poi sugli scaffali di moltissime case che mi capitava di frequentare da adolescente, a Ferrara come a Firenze, a Viareggio come Roma. Questo testo è la mia coscienza, una voce che non è sempre facile ascoltare, ma che mi ricorda quello che conta al momento giusto. Ovviamente ne ho possedute molte copie, sparse oggi nei luoghi dove ho vissuto negli anni che mi separano dalla mia infanzia ferrarese. Oggi leggo Lettere in un’edizione tascabile, del 1995, che per fortuna ho nella casa inglese, dove sono in quarantena.

A pagina 515 si trova la biografia di Pietro Benedetti, ebanista di 42 anni, militante politico antifascista, commissario politico della Zona I di Roma dopo l’8 Settembre, processato due volte nel 1944, prima condannato a 15 anni e poi a morte in un processo farsa, che snatura l’essenza del diritto e della legge, condotto dalle SS e durato pochi minuti. Benedetti viene fucilato il 29 aprile 1944 da un plotone di esecuzione della polizia italiana.
Nella lettera, struggente, Ai miei cari figli, datata 11 aprile 1944, Benedetti esorta ad amare lo studio e il lavoro. Scrive: “una vita onesta è il miglior ornamento di chi vive.” E poi aggiunge: “Amate le libertà e ricordate che questo bene deve essere pagato con continui sacrifici e qualche volta con la vita.” La frase che più mi ha colpito quest’anno è la seguente:
“Dell’amore per l’umanità fate una religione e siate sempre solleciti verso il bisogno e le sofferenze dei vostri simili …Amate la madrepatria, ma ricordate che la patria vera è il mondo, e ovunque vi siano vostri simili vi sono vostri fratelli.”

Ecco, per me questa è l’essenza del 25 aprile nell’anno 2020: la solidarietà che supera i confini, le classi sociali, i luoghi di appartenenza, i generi. È la solidarietà nella lotta contro un nemico comune, un valore che alla fine salverà il mondo.
In questo periodo stranissimo, con molti di noi confinati a casa e altri che lavorano in ospedali e servizi pubblici, questo messaggio è fondamentale. Contro ogni razzismo, ogni nazionalismo gretto, contro slogan come ‘Italians first’ o financo ‘Ferraresi first’, contro principi che privilegiano il luogo di nascita al bisogno (vedi la vicenda dei buoni spesa a Ferrara), la solidarietà mondiale è il bene supremo. Questa lettera ci ricorda che la resistenza non è solo un evento storico, ma ha un significato universale. Nella fine di quelle donne e di quegli uomini è il nostro principio. Lettere di condannati a morte della resistenza europea continua ad essere il libro politico fondamentale per la nostra epoca.

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Federico Varese



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