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Siamo in autunno e cadono le foglie. I miei tigli, come sempre, lo fanno all’improvviso, da un giorno all’altro, rovesciando sulla terra il loro regalo annuale di materia organica. Da anni ho smesso di accanirmi sulle foglie cadute e ho imparato ad accettare il loro disordine naturale come una risorsa. Non ho pratini-moquette da coltivare, quindi posso lasciarle ad ingrassare la terra; al limite, siccome sono così tante che se le lasciassi avrei un effetto pacciamatura controproducente anche per le margherite, ogni anno ne raccolgo dei mucchi e poi le distribuisco sotto le siepi, dove le lascio tranquille a decomporsi. Con questo sistema ottengo dell’ottimo terriccio e concimo le piante.
In pratica le foglie secche mi risolvono due problemi in un colpo solo: la pacciamatura e la produzione di compost. Di cosa sto parlando? La pacciamatura è uno strato di materiale che si mette sulla terra per impedire alle erbacce di crescere, riducendo i costi e i tempi per la manutenzione, e per mantenere un certo grado di umidità alla base delle piante. Si possono usare materiali inerti come la corteccia a scaglie, le palline di argilla o di pomice, oppure la ghiaia. La corteccia sarebbe materia organica, ma non si decompone tanto in fretta quindi la considero inerte. Per avere un effetto duraturo e significativo, lo strato di pacciamatura dovrebbe essere profondo almeno 15 cm. Per calcolare quanto ne occorre si moltiplica questo spessore per la superficie da coprire, se riduciamo lo strato si accorciano anche i costi e l’effetto, quindi, per economizzare si è diffusa una pratica, brutta da vedere e anche poco efficace, che è quella di stendere tra la terra e la pacciamatura uno strato di teli di varia natura, di solito si tratta di materiale plastico nero o verde, raramente di tessuto di iuta. Provate a guardare in giro, vi sembra bello vedere queste frange di plastica spuntare ai bordi delle aiuole? Ma questo è il minimo, trovo che sia diabolico mettere la pacciamatura per impedire alle erbacce di crescere e lasciare gli spazi liberi per l’impianto di irrigazione a goccia, perché dove i teli hanno dei tagli o delle aperture, la gramigna, irrobustita dall’acqua che bagna le piante ornamentali e ingrossata da metri di radice sotto traccia, cresce benissimo e per toglierla di solito si finisce per sollevare tutto lo strato di tessuto che era stato messo per impedirne lo sviluppo. Risultato: per economizzare sulla manutenzione ordinaria, che sarebbe il periodico diserbo manuale, abbiamo una serie di aiuole pubbliche e non, dove le piante sono soffocate da gramigna e stoppioni tanto robusti quanto brutti da vedere.
Nel settore pubblico proporre alternative è una battaglia persa, davanti allo scudo impenetrabile del controllo delle spese e alla necessità elettorale di far finta di essere amici dell’ambiente, con inutili aiuole e fioriere, non c’è logica o buon senso che tenga. Mi ripeto, ma il consiglio è sempre lo stesso, guardiamoci attorno, usiamo la testa e prima di lasciarci convincere dalla sirena “del tanto si fa così”, proviamo a pensare a soluzioni diverse, in questo caso, se la pacciamatura e l’impianto di irrigazione a goccia sono incompatibili, scegliamo quello che per noi è prioritario e per il resto si proceda manualmente, con la vanga o con l’innaffiatoio, oppure, possiamo valutare una pacciamatura di tipo naturale, per esempio sotto le siepi di confine, nelle aiuole dall’assetto più libero o nell’orto, usando paglia o foglie sane e friabili, come quelle dei tigli o di altri alberi e cespugli che abbiamo a disposizione, invece di buttarle nel cassonetto dell’umido.
Con la parola compost si indica, in modo generico, il prodotto della decomposizione di materiale organico vegetale che può essere utilizzato come ricco terriccio o concime. La natura si composta da sola grazie ai nostri amici batteri, che combinandosi con l’aria, fanno tutto il lavoro. Anche in questo caso, le mode creano delle abitudini stupide. La decomposizione puzza. Quindi siccome vogliamo fare gli ambientalisti ma non abbiamo voglia, tempo e pazienza, acquistiamo ai centri commerciali dei bidoni mimetici come un sommergibile nucleare e lo posizioniamo in giardino. L’entusiasmo porta a raccogliere scarti vegetali di ogni genere, l’ho fatto anch’io, con una specie di truzzara vecchio stile dove per qualche mese ho cercato di ammassare foglie e avanzi di cucina. Alla fine il mio giardino puzzava come una discarica e non avevo né tempo né voglia di arieggiare questo pattume rovesciandolo con il forcone per ringalluzzire i batteri, quindi l’esperimento è durato pochissimo.
Lasciamo perdere i bidoni e anche le polverine magiche che velocizzano il processo e aspettiamo che la natura faccia il suo lavoro per noi. Se abbiamo delle piante di rose o piante che durante l’estate abbiano avuto parassiti o malattie, raccogliamo tutte le foglie malate e invece di gettarle nel giardino del vicino portiamole nel cassonetto “varie ed eventuali”; con le foglie sane invece, facciamo dei mucchi, o stendiamole sotto le siepi, fra un anno il nostro giardino ci ringrazierà con uno strato morbido e profumato di terriccio fantastico.

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Giovanna Mattioli

È un architetto ferrarese che ama i giardini in tutte le loro forme e materiali: li progetta, li racconta, li insegna, e soprattutto, ne coltiva uno da vent’anni. Coltiva anche altre passioni: la sua famiglia, la cucina, i gatti, l’origami e tutto quello che si può fare con la carta. Da un anno condivide, con Chiara Sgarbi e Roberto Manuzzi, l’avventurosa fondazione dell’associazione culturale “Rose Sélavy”.

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