di Maurizio Olivari
Apertura ore otto, orario continuato fino alle ore diciannove. Domenica chiuso.
Sempre uguale, da quando con mio marito abbiamo aperto un laboratorio di lavasecco e stireria. Trentacinque anni di camicie, pantaloni, gonne, giacche, maglioni , praticamente il guardaroba famigliare.
Prima di iniziare, abbiamo valutato la zona della città che era meno servita da una simile attività, fino a scegliere una semiperiferica ad alta densità abitativa.
La partenza non è stata semplicissima e come si prevedeva, non è stato facile ottenere la fiducia della gente, magari già abituata a servirsi da altre lavanderie.
Oggi possiamo dire di essere contenti. Molti clienti, sono diventati nel tempo quasi amici, con lo scambio di piccole confidenze, l’informarsi della salute e vari commenti sui fatti quotidiani.
Guardo con piacere gli stendini, messi in file parallele nello spazio attrezzato nell’ingresso, con appeso, in ordine di numero di lavorazione, tutto l’abbigliamento lavorato da consegnare ai clienti. Li guardo con simpatia ma anche con un po’ di preoccupazione, pensando che i clienti sono pigri nel venire a ritirare i capi lavati e stirati o sono furbi lasciandoli in deposito da noi, per tenere più spazio nei loro armadi. Capita così che in Luglio e Agosto abbiamo ancora una fila di cappotti, giacche a vento e maglioni che verranno ritirati ai primi freddi di stagione. Oggi è una giornata tranquilla, pochi clienti a portare e pochi a ritirare e ho l’occasione per soffermarmi a guardare gli indumenti appesi, ognuno con una storia che potrebbe essere raccontata. Ne sono a conoscenza, attraverso le confidenze che il cliente mi fa, affidandomi il capo da lavare e stirare, come l’abito della signora Esperia, una signorina vicina agli ottant’anni, ancora molto in gamba, vispa e di mente lucida. Mi porta una volta la settimana l’abito che ha indossato la domenica , quando va a ballare il liscio al centro anziani del rione dove abita, chiedendomi di rinfrescarlo, dopo la sudata causata dai balli fatti. Suo fratello è stato un noto batterista e lei lo ha sempre seguito dove si esibiva con la sua orchestra, prendendo passione per la musica e il ballo.
Un lunedì mentre mi consegna l’abito della domenica di ballo, mi svela il motivo della sua frequentazione al centro anziani.
Prima di iniziare le danze, viene estratta una tombola con premi gastronomici e a chiamare i numeri c’è un distinto signore, anche lui oltre i settanta anni, ben portati, con una bella voce impostata , che denota , quella che era stata da sempre la sua passione. Il presentatore di spettacoli.
La signora Esperia lo aveva conosciuto cinquant’anni prima, appunto durante una serata dove il fratello suonava e il bravo presentatore intratteneva il pubblico. Entrambi giovani si erano piaciuti e frequentati. Oggi si direbbe un flirt, allora un fidanzamento dove il massimo delle effusioni era qualche bacio e poco più.Lui era molto innamorato, lei con qualche anno in più era un po’ titubante sul proseguire il rapporto.
Si erano poi lasciati, lui in giro per l’Italia a presentare spettacoli, lei impegnata nel suo lavoro e nell’accudire gli anziani genitori.
Lo aveva rivisto dopo cinquant’anni, mentre chiamava i numeri della tombola al circolo anziani.
Lui non l’aveva ancora notata e riconosciuta. Lei non si era ancora avvicinata per farsi riconoscere. Non ne aveva il coraggio, temeva la sua reazione, dopo tanti anni di lontananza e il timore di non essere riconosciuta.
Un lunedì, quando mi portò un abito pieno di lustrini da lavare, le ho chiesto notizie sul presentatore, se si era fatta riconoscere. Mi ha risposto – Sì, avevo fatto terno e mi sono avvicinata a lui per il controllo della cartella. Mi ha guardata e ha gridato al microfono “complimenti, terno per la signora Esperia”.
– Domenica prossima torno a ballare, prendo cinque cartelle e spero di fare tombola, così gli andrò vicino e lui dirà ancora il mio nome, perchè mi aveva riconosciuto.
Questo racconto mi ha incuriosito e adesso aspetto la prossima settimana per sapere dalla signora gli sviluppi di questa bella storia d’amore.
Nello stendino accanto vedo la serie di giacche e pantaloni del signor Alfonso, un distinto uomo di mezza età, funzionario in un istituto bancario cittadino.
La particolarità degli abiti del signor Alfonso, è che sono tutti di colore grigio, con al massimo qualche sfumatura nella tonalità. Vedendoli mi ricordano il discusso libro e relativo film sulle “50 sfumature di grigio”. Non credo che il signor Alfonso sia da paragonare all’interprete del romanzo. Anzi.
Così curiosa come sono, un giorno ho chiesto il motivo della scelta del grigio per il suo abbigliamento.
– Semplice, – mi ha risposto – sono daltonico e per me tutto è grigio, i suoi occhi, il colore delle piante, del cielo, tanto vale che i miei abiti siano del colore che io normalmente vedo, poi il grigio è anche elegante e quindi ecco il perché.
Scorro lo sguardo e incrocio i jeans del giovane Filippo, tutti sbrindellati e tagliati. Un tempo si diceva poverini ai ragazzi così vestiti ed ora per questa moda, i jeans costano anche di più. Povero mondo. Vicino ai pantaloni, le gonne di Giulia, sedici anni, bella come il sole, più che gonne sono mini-minigonne. Giulia se lo può permettere, con quelle splendide gambe da pin-up.
In un angolo della sala abbiamo messo lo stendino con le camicie, ben appese per consegnarle senza pieghe ai clienti. C’è una bella storia da raccontare con interprete una camicia.
Un pomeriggio entra un signore mai visto prima. Bell’aspetto, circa quarant’anni, mi porge una camicia e con un evidente imbarazzo mi chiede di lavarla, indicandomi un punto preciso sul colletto. C’era una macchia di rossetto.
Lo guardo, lui accenna ad un sorrisetto malizioso, io non indago e gli dico di tornare il giorno successivo. Questo rituale continuò a ripetersi ogni settimana.
Il lunedì portava la camicia con macchia di rossetto.
Col passare delle settimane e dei lavaggi, si crea una piccola confidenza ed un lunedì provo a dirgli che la moglie potrebbe usare un rossetto che non macchia, ora in vendita in tutte le profumerie, o provare a smacchiare in casa con un prodotto che potevo consigliargli, anche se era contro il mio interesse.
Mi risponde arrossendo un po’ – Non posso, è una scappatella…
Un giorno, si presenta una signora con un pacchettino di ricevute della mia lavanderia e in modo deciso mi dice – Ho trovato nella borsa di mio marito tutte queste ricevute della sua lavanderia , con la dicitura “Camicia € 4,00”.
Io rispondo – Trova il prezzo troppo caro?
No signora – risponde la donna un po’ alterata – voglio sapere quale macchia vuole togliere mio marito, che io non possa fare a casa… Sa, lui fa il rappresentante di commercio, è sempre in giro tutta la settimana… Non vorrei… mi capisce…
Resto basita e dopo un attimo di titubanza dico – Sugo, signora, sugo di pomodoro, sempre pomodoro e qualche volta vino, vino rosso…
– Davvero? Lo dovevo immaginare, si vergogna a dirmelo, io lo sgrido sempre quando andiamo al ristorante, ogni volta si sporca camicia o cravatta!
La donna se ne va soddisfatta e io penso di aver fatto un’opera buona.
Il lunedì successivo arriva l’uomo con la camicia sotto braccio.
– Le consiglierei di evitare di lasciare le ricevute del lavasecco in casa e quando incontra la “scappatella”, si tolga la camicia. Io perderò un cliente ma lei non perderà la famiglia.
– Guardi signora – risponde lui – questa camicia è l’ultima che le porto, perchè la mia scappatella mi ha lasciato. Eravamo a cena al ristorante e all’improvviso ha detto che non voleva più vedermi. Stavo mangiando delle pennette al sugo e con il sobbalzo che ho fatto, mi sono macchiato la camicia di sugo di pomodoro.
Non ho più rivisto il signore della camicia, che ha unito la sua storia a tutte quelle legate agli indumenti, parte integrante della vita dei miei clienti.
Dopo questa esperienza, ho deciso di mettere in bella evidenza sul banco di consegna, un cartello con scritto: Non si lavano camicie sporche di rossetto.
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Redazione di Periscopio
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