“D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.” (Le città invisibili, Italo Calvino)
Come conciliare turismo urbano, attività produttive e commerciali e valorizzazione di quel patrimonio artistico culturale e ambientale che è la cifra distintiva delle città italiane ed europee? La risposta data durante le 13° Giornate europee del commercio e del turismo urbano, tenutesi nel Salone d’Onore della Pinacoteca nazionale a Palazzo dei Diamanti il 19 e 20 aprile, organizzate da Confesercenti e Vitrines d’Europe, sembra essere il dialogo e la collaborazione fra tutti questi settori, con l’obiettivo di una continua ricerca di proposte di qualità che distinguano ciascuna città e territorio per le proprie peculiarità.
Se ciò che chiedono i turisti, in particolare gli stranieri provenienti dai mercati emergenti, è sempre più un’esperienza dell’identità culturale dei luoghi che visitano, così diversificata in particolare in Italia, l’unica strategia vincente è uscire dalla concezione della città-museo o della città-vetrina, pensando alla cultura nel significato più ampio del termine: un modo di vivere che privilegia qualità, bellezza e socialità, e quindi rende migliore la qualità della vita, un sistema che parte dai luoghi fisici – edifici, vie e piazze – per arrivare a ciò che si mangia, si guarda, si ascolta, fino alla rete di relazioni sociali che ci circonda.
“Le città non possono essere imbalsamate e mummificate – ha affermato Stefano Bollettinari, presidente di Vitrines d’Europe – devono rimanere vive e vitali, attive, accessibili” e, aggiungiamo noi, il più possibili inclusive e sostenibili. E devono essere tutto ciò prima di tutto per i propri cittadini, che sono i loro primi ambasciatori nel mondo reale e in quello virtuale oggi altrettanto importante, e poi per i turisti, che “non sono altro che cittadini temporanei”, ha concluso Bollettinari.
Il turismo urbano e culturale è un’opportunità che soprattutto un Paese come l’Italia, caratterizzato da un patrimonio diffuso e puntiforme su tutto il territorio, non può permettersi di perdere. I dati parlano di un processo di desertificazione urbana in atto in Italia, con oltre 100.000 chiusure di imprese commerciali negli ultimi due anni. È perciò evidente la ricaduta economica che potrebbero rappresentare i 54 miliardi del Pil del turismo culturale, il 33% dell’intero Pil turistico nazionale. È il direttore scientifico del Centro studi turistici di Firenze Alessandro Tortelli a raccontare in cifre cosa significhi il turismo nelle città d’interesse storico e artistico: 38.000 esercizi (24% del totale in Italia), 875.000 posti letto, quasi 39 milioni di arrivi e 103 milioni di presenze, con il 61,8% di turisti stranieri. Ma non è tutto: dal 2010 al 2014 gli arrivi sono sempre in crescita, così come la domanda proveniente dall’estero, sono 11,9 i milioni di euro spesi in vacanze culturali o in città d’arte (36% della spesa complessiva) e chi viaggia per motivi culturali spende in media il 25% in più rispetto agli altri viaggiatori.
Che la cultura sia un driver di primaria importanza per lo sviluppo territoriale è ormai un fatto acquisito, o almeno così si spera. La questione è come il tema viene affrontato da istituzioni locali e attori economici: un progetto culturale, infatti, non ha in automatico ricadute sociali ed economiche importanti. Il rapporto tra dimensione culturale, sociale ed economica deve essere progettato coinvolgendo gli operatori della società civile e del mondo economico, componendo visioni, disponibilità ad agire e interessi diversificati. Questa sinergia, non facile e non scontata, potrà favorire quel capovolgimento di visione che permetterà di concepire il denaro per la cultura un investimento e non una spesa.
Ferrara, almeno per questa volta, sembra essere un passo avanti. Non solo perché il sindaco Tiziano Tagliani, presente alle Giornate di Vitrines d’Europe insieme all’assessore alla cultura e al turismo Maisto, ha parlato di un “investimento forte” che la città sta facendo “nella valorizzazione delle peculiarità cittadine” e di “un’alleanza” fra commercio e attività produttive e amministrazione locale “per una migliore qualità della vita cittadina”. Ma anche perché, come ha sottolineato Tortelli, Ferrara è uno dei sette case studies virtuosi citati dal Rapporto 2014 “Io sono cultura” elaborato da Fondazione Symbola e Unioncamere. Ferrara città di cultura, con un patrimonio urbano e monumentale che può vantare allo stesso tempo uno dei centri medievali più estesi e uno dei primi esempi di pianificazione moderna con l’addizione erculea rinascimentale. Ferrara città di eventi e di festival, “continuativi, diversificati, ramificati e diffusi”, come ha affermato il vicesindaco Maisto: dalla grande arte di Palazzo Diamanti al Salone del restauro, da Ferrara sotto le stelle ai Buskers, dal festival di Internazionale a quello di Altroconsumo, fino alla imminente Festa del libro ebraico. L’assessore non nega che il modello che si sogna di raggiungere è Edimburgo. Ferrara città della creatività e dei mestieri creativi, che recuperano e a volte reinterpretano antichi saperi e mestieri. Senza dimenticare l’opportunità offerta dal turismo sostenibile sul Delta del grande fiume. Il prossimo passo è Ferrara città partecipata, proprio perché è dai ferraresi che bisogna partire per recuperare il concetto antico della polis, dove i cittadini partecipavano attivamente alla vita collettiva e nella costruzione del bene comune. Anche in questo caso ci sono attività in itinere, Ferrara Mia, le Social street come via Pitteri e i Future lab sono alcuni esempi. Per una volta è il caso di dire: stiamo lavorando per noi!
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Federica Pezzoli
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