IL FATTO
Scoprono una molecola che può combattere il cancro ma mancano i soldi per la sperimentazione
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Hanno scoperto, sviluppato e brevettato una classe di molecole potenzialmente in grado di combattere le cellule cancerogene. Tutta la serie è stata ottenuta modificando sinteticamente una molecola naturale, il maltolo (presente in vari alimenti), ottenendo così un nuovo composto. Secondo gli studi condotti da Mirco Fanelli, biologo, e Vieri Fusi, chimico, entrambi docenti all’università di Urbino, il maltonis (la molecola al momento in stato più avanzato di studio) avrebbe la capacità di contrastare le cellule responsabili dei tumori.
Le indagini di laboratorio e le successive prime sperimentazioni “in vivo” (topolini da laboratorio) hanno corroborato l’ipotesi scientifica, che ora però va posta al vaglio di nuovi e più probanti test. Sulla base delle prime risultanze la molecola messa a punto in laboratorio da Fusi e Fanelli ha ottenuto il brevetto italiano, il successivo accreditamento europeo ed è ora al vaglio delle apposite commissioni scientifiche per avere anche il riconoscimento degli Stati Uniti.
Si tratta con ogni evidenza di una ricerca importante che deve essere ora adeguatamente finanziata per poter verificare l’affidabilità e l’efficacia del rimedio. Un eventuale successo potrebbe imprimere una svolta decisiva alla lotta contro il cancro e aggiungere una nuova freccia all’arco delle strategie terapeutiche già disponibili. Le risorse che sarebbero necessarie al momento non sono nella disponibilità dei gruppi di ricerca interessati e, visto l’andazzo degli ultimi anni nei finanziamenti alla ricerca in Italia, non sarà certo semplice trovarle. E’ il solito paradosso ed è l’eterno dramma della ricerca scientifica.
“I finanziamenti, fra il 2001 e il 2012 – spiega con amarezza Mirco Fanelli – sono calati drasticamente. Si può ragionevolmente stimare in una riduzione di circa il 70% (da circa 125 milioni di euro siamo passati a 38 milioni). A conti fatti, quindi, quando si partecipa a un bando si ha meno dell’uno per cento di probabilità di essere finanziati. Aggiungiamo poi che i Prin (Progetti di rilevante interesse nazionale, ndr) non vengono banditi da due anni. E’ ovvio che, in un sistema sempre più povero, dove gli investimenti nella ricerca (personale, attrezzature, etc) non si fanno da troppo tempo, solo quei pochi centri particolarmente qualificati hanno la maggiore probabilità di essere sovvenzionati, gli altri si devono arrangiare con gli spiccioli che raccattano in giro… Può essere anche una scelta strategica, ma se è così va dichiarata”.
Frattanto continua a circolare, in rete e attraverso il circuito degli smartphone, un video prodotto da un sedicente giornalista che, celando la propria identità, denuncia il silenzio omertoso della stampa e la presunta congiura della lobby farmaceutica.
Ormai è una persecuzione – commentano in coro Fusi e Fanelli – è un anno che questa cosa gira, non sappiamo nemmeno chi sia questo signore che l’ha realizzata, non ci ha mai contattato. Il fatto che i nostri studi possano ledere gli interessi economici di qualcuno è una cosa che non si può né affermare né escludere. Non ci sono prove. Ma il punto non è questo. Il problema sono i finanziamenti, se non arrivano soldi per sviluppare la ricerca c’è poco da fare. Il rischio è che questo video alimenti speranze e illusioni. E questo non si può fare quando in gioco c’è la vita o la salute. Ci vuole tatto e prudenza. Ci hanno telefonato centinaia di persone malate e loro familiari. Questo perché si spaccia la nostra scoperta come se fosse già un farmaco pronto all’uso. Invece non è così. Dobbiamo ancora completare i test per verificarne la reale efficacia.
Però forse un po’ di visibilità mediatica non guasterebbe e vi aiuterebbe nella ricerca dei fondi necessari…
Non ho timore ad affermare che lo stesso progetto, presentato da un istituto più importante (e magari, con autocritica, da uno scienziato più titolato dei sottoscritti), probabilmente riceverebbe i finanziamenti necessari – afferma Fanelli -. Sono convinto che uno scienziato stimato in campo oncologico come il professor Umberto Veronesi sarebbe in grado di trovarle queste risorse… noi invece facciamo molta più fatica. Non è tutto nero però. La Fondazione Umberto Veronesi, appunto, quest’anno ha finanziato un anno di borsa di studio per un ricercatore del mio laboratorio (il dottor Stefano Amatori, 37 anni… classico esempio di precario della ricerca) proprio su questa progettualità. E’ la dimostrazione che lavorando bene si riesce a spendere la propria credibilità scientifica.
Ci può stare – commenta Fusi – che chi ha una credibilità consolidata sia trattato con riguardo, ma anche i giovani ricercatori andrebbero incoraggiati. Nella fase della ricerca pre-clinica, quella in cui ci troviamo noi, i canali di sostegno sono essenzialmente istituzionali. L’industria farmaceutica si muove solo dopo, a seguito degli eventuali risultati ottenuti nella fase pre-clinica, gli studi ad un livello precedente per loro non sono appetibili. Su questo fronte in Italia nessuno fa ricerca. Ci sono solo cinque o sei multinazionali farmaceutiche in grado di intervenire perché le somme da investire sono ben diverse. Per la sperimentazione clinica serve qualche milione di euro e a volte può non bastare. Ma l’industria farmaceutica può permetterselo per alimentare il proprio business.
Noi siamo ancora un passo indietro: dobbiamo allargare e approfondire la sperimentazione su modelli animali – precisa Fanelli -. So che il discorso è delicato ma, oggi, non si può prescindere dalla sperimentazione in vivo. Qualcosa infatti abbiamo già fatto e i risultati sono stati incoraggianti. Ora servono altre verifiche e i finanziamenti per svolgerle.
Ma di quanto avete bisogno?
In questa fase basterebbero alcune centinaia di migliaia euro – afferma Fanelli.
E non intravvedete alcuna concreta prospettiva?
Da un anno attendiamo una risposta dalla Regione Marche – dice Fanelli -. Siamo stati convocati in commissione Sanità, ci hanno espresso apprezzamento e gratitudine, c’è stata una promessa di impegno, la cosa è andata sui giornali… Poi è cambiato il presidente di commissione, con il quale ci siamo incontrati, ma al momento tutto tace. Ma la ricerca non aspetta, ci sono mille cose da fare… ed il rischio, senza risorse, è chiudere il progetto (sostenere i brevetti ha un costo e le Università italiane sono agli sgoccioli)…
Molti anni fa, quando il progetto era ancora allo stadio embrionale, ci siamo rivolti all’Associazione italiana per la ricerca sul cancro che non ci ha dato credito e lo ha respinto. Però è successo che quelle molecole che allora solo ipotizzavamo ora esistono e hanno mostrato anche una certa efficacia. Ma all’epoca non ci hanno creduto… Eravamo all’anno zero ed era lecita la loro scelta. Ma questo fa capire quanto è difficile ottenere finanziamenti.
E adesso?
Stiamo partecipando a un bando del ministero della Salute in staff con la clinica Ematologica di Ancona e con il San Raffaele di Milano che offre i modelli animali – conclude Fusi -. Siamo in attesa che il ministero pubblichi i risultati… per noi ha un’importanza quasi vitale, speriamo di conoscere presto il destino del nostro progetto.

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Sergio Gessi
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