Skip to main content

IL FATTO
Notizie recenti dell’occupazione tedesca nel ferrarese

Articolo pubblicato il 22 Novembre 2014, Scritto da Federica Pezzoli

Tempo di lettura: 3 minuti


La conferenza tenuta ieri mattina nell’aula didattica Alfonso I del Castello Estense dagli storici Davide Guarnieri e Andrea Rossi per gli studenti delle classi quarte e quinte del Liceo Sociale Carducci è la dimostrazione di quanto ci sia ancora da scoprire e da studiare negli archivi italiani e non solo. Guarnieri, che da molto tempo ormai si occupa delle vicende del ferrarese durante la Seconda guerra mondiale, e Rossi, che è uno storico militare, hanno illustrato ai ragazzi e a tutti i presenti il periodo dell’occupazione tedesca nel territorio ferrarese e le sue caratteristiche, sottolineando come per molti versi si tratti di acquisizioni e di notizie abbastanza recenti: fino a pochi anni fa “non avremmo potuto dirvi molte delle cose che state sentendo”, ha specificato Rossi.
Per esempio è stata a lungo un’opinione diffusa che fra ’43 e ’45 nelle zone occupate le violenze sommarie e gli arresti venissero compiuti dalle truppe occupanti tedeschi e in molti casi è stato così: come dimenticare i tanti episodi sull’Appenino tosco-emiliano, da Sant’Anna a Montesole, o ancora la strage di Meina sul versante piemontese del Lago Maggiore. Non è stato così nel ferrarese, qui si contano solo due episodi in cui a operare furono direttamente le truppe occupanti: l’eccidio del Caffè del Doro, il 17 novembre 1944, e la precedente ritorsione di Filo di Argenta, l’8 di settembre, per vendicare la morte di un soldato tedesco. Tutte le altre azioni nel nostro territorio furono condotte da italiani contro italiani, spesso ferraresi da entrambe le parti, e anche tutti i cittadini ferraresi di origine ebraica furono arrestati da italiani. Tanto che “una percentuale così alta di azioni italiane rispetto a quelle tedesche credo non ci sia in nessuna altra provincia”, ha ipotizzato Davide Guarnieri. Per citare un episodio concreto: nel dicembre 1944, come ritorsione per un’azione di un gruppo di partigiani, a Codigoro e nelle zone circostanti furono arrestate fra le 250 e le 280, tutti i fermi furono fatti da fascisti appartenenti alle brigate nere o alla milizia repubblichina.
È curioso anche come molti ignorino che il Castello di Mesola fu “il perno per controllare l’area dall’Adige fino alla Linea Gotica”: attraversato dal Po e con accesso diretto al mare, il ferrarese era una posizione strategica fondamentale e doveva essere difesa da possibili sbarchi alleati. Il Castello di Mesola, sede del 676° battaglione al comando del Maggiore Saggau, fu anche il luogo dove i militi repubblichini veneti e ferraresi si scambiarono i prigionieri e spesso li torturarono, come avvenne a Walter Teggi. Anche la Caserma di via Bevilacqua o il Carcere di Piangipane, i principali luoghi di tortura e di violenza nella città di Ferrara, erano strutture italiane. Dunque se, come ha affermato Andrea Rossi, “quello che i tedeschi volevano per questa zona era la tranquillità” per poter svolgere “in maniera organizzata lo sfruttamento economico” del territorio, è anche vero che non importava come questa tranquillità venisse raggiunta.
La cosa forse più sorprendente, però, riguarda l’ultima fase dell’occupazione tedesca, quando alla fine del 1944 la linea del fronte passava sul Sennio, e quindi Ferrara e il suo territorio si trovavano nell’immediata retrovia. Oltre ad essere il momento di maggiore presenza dei tedeschi nel ferrarese, Rossi e Guarnieri, analizzando le carte del Bundesarchiv-Militärarchiv di Friburgo, hanno scoperto una cartina militare che mostra come, dall’autunno 1944 alla primavera 1945, il comando di tutte le truppe della decima armata e del territorio compreso fra Comacchio e Bologna si trovava a Sabbioncello San Vittore. “È incredibile come di questo non sia rimasta praticamente traccia nella memoria della popolazione”, hanno sottolineato i due storici.

sostieni periscopio

Sostieni periscopio!

Tutti i tag di questo articolo:

Federica Pezzoli



Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani