IL FATTO
“Non vorrei dovermene andare dall’Italia”. Lettera aperta di una giovane musicista al ministro Franceschini
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E’ il ‘nostro’ ministro, perché Dario Franceschini è di Ferrara, e la città ne è orgogliosa. Ecco perché Marianna Musotto – trombettista 28enne palermitana, diplomata al Conservatorio di Trapani, laureata in Solismo a Siena, forte di corsi di perfezionamento all’Accademia di Santa Cecilia, a Roma – comparsa recentemente su diverse riviste nazionali con una esplicita richiesta al titolare del dicastero della Cultura di mostrare più attenzione per la musica classica, ha pensato di prendere le vie ‘estensi’. Non solo le scoccia un po’ essere stata ignorata – la lettera è del 5 marzo – ma soprattutto le ‘ruga’ perché dei giovani si parla sempre, dice, poi quando siamo noi a parlare… potremmo tacere. “Questa è la sensazione che riceviamo”. E a lei, giustamente, non sta bene. “Anche perché questo governo si è tanto riempito la bocca dei giovani poi nulla, col Jobs act siamo a posto”. Il suo discorso è semplice: “Capisco bene che il Ministro ha cose più importanti da fare che rispondere a me, ma a parte che un cenno si può dare, o fare dare, il punto è che io sollevo un problema reale – insiste – quello della perdita di identità del Paese su un fronte importante, la musica classica. E quello dei cervelli in fuga, che non tocca solo le discipline scientifiche. C’è anche gente, come me, che dall’Italia non vorrebbe proprio andarsene. E che in questo Paese, dove la musica classica è nata, vorrebbe rimanerci”. Tenace, Musotto ha recentemente fondato con il pianista Francois Agnello il Duo Vocalise. Insieme si sono dati una missione. “Divulgare la musica classica, che non è solo di nicchia, che non è solo per ‘vecchi’. Anzi, potrebbe offrire molto ai giovani”.
Ecco la lettera integrale, che FerraraItalia ha deciso di pubblicare.
Palermo, 5 marzo 2015
On. Dario Franceschini
Ministro Ai Beni e alle Attività Culturali e al Turismo
Gentil.mo Ministro,
mi chiamo Marianna Musotto, trombettista palermitana, ho 28 anni, un diploma al Conservatorio di Trapani, una laurea in Solismo a Siena, mi sono perfezionata con la Prima Tromba del Maggio Fiorentino, Andrea Dell’Ira, ho frequentato corsi alla prestigiosa Accademia di Santa Cecilia a Roma, ho fondato col pianista Francois Agnello il Duo Vocalise.
E vorrei non dovermene andare dall’Italia. Vorrei non dover nutrire la voce ‘cervelli in fuga’, vorrei stare qui, nel Paese in cui mi sono istruita, formata, che però troppo poco spazio lascia non tanto ai sogni, quanto a traguardi raggiungibili.
Amo la musica classica, come lei – ho letto anche i suoi libri – la narrativa. Eppure, in questo Paese, per la musica classica c’è troppo poco spazio.
Leggevo in questi giorni alcune sue dichiarazioni fatte a Bologna, a 3 anni dalla scomparsa di Lucio Dalla, in cui sostiene che i testi musicali, essendo vicini alla poesia, dovrebbero diventare materia d’insegnamento.
Ecco, nel condividerla, mi spingo oltre e le chiedo perché in Italia, dove nel 1501 è stata pubblicata la prima opera scritta su musica a caratteri mobili, c’è così poco amore e investimento verso questa disciplina.
Le parole d’ordine, anche sulla cultura, sono diventate ‘costi’ e ‘tagli’. Quasi che il grande contributo di entusiasmo, energia, professionalità che noi giovani possiamo dare, tornando a riempire i teatri, non possa tradursi in ritorno economico. Ci date una possibilità? Vi ricordate che ci siamo? La musica classica non è una sconosciuta, per nessuno.
Si vuole fare credere che è un genere di nicchia, ma non è così. Certo, va divulgata. Può essere accessibile a tutti. Deve diventare accessibile a tutti, magari portandola nelle piazze e nelle chiese. Tutti i cittadini hanno il diritto di usufruirne e tutti i giovani artisti di praticarla.
Io ho 28 anni e non vorrei andarmene da questo Paese, che è il mio. Sarebbe un fallimento.
Ma a che prezzo devo rimanere fedele a questa ‘etica’? Non ci sono audizioni, le grandi orchestre sono in crisi, non ci sono etichette di musica classica.
Si mercanteggia il business con la cultura.
Che futuro c’è? Anzi, c’è un futuro?
Io studio 5 ore al giorno, con pazienza e costanza, come me tutti i colleghi. Ma intravedere il traguardo è di una difficoltà immensa perché in realtà non c’è.
E non ne faccio una questione di genere, che sarebbe fin troppo facile, perché su questo fronte le penalizzazioni sono per tutti e sono semmai anagrafiche.
E tralascio, per evitare la ridondanza – le istanze vere, in questo Paese, vengono registrate come retorica – il discorso, completamente assente, della meritocrazia, che pare un ‘vezzo’ seppure anche il Governo di cui lei fa parte lo abbia posto tra i suoi obiettivi .
Oggi un artista, a meno che non pratici la musica leggera o abbia risorse economiche di diversa provenienza, non può vivere della propria arte.
E intanto, grazie a una produzione spropositata di talent, si consolida l’inganno sul concetto di talento, che non presuppone neppure più lo studio, se non parziale.
Io, però, a 28 anni sono stanca, sono esausta. Non voglio l’asciare l’Italia, non voglio andare in usufrutto ad altri Paesi, come la Francia, per fare un esempio, dove ci sono maggiori canali di realizzazione.
Parlate tanto dei benefici che porterà il Jobs Act, e se così sarà non posso che esserne contenta, per i miei coetanei soprattutto.
Ma anche la cultura è lavoro. Desiderare di praticare la propria arte, per cui si è investito tempo e denaro e sacrificio, non è un vezzo. L’artista, non è un mestiere di serie b.
L’arte, anche lei lo ha detto tante volte, è qualcosa che nobilita l’uomo e la società in cui vive.
Se anche noi giovani cediamo, se finiamo la benzina dell’entusiasmo, se andiamo altrove, cosa rimarrà della nostra identità? Dell’identità del nostro Paese?
Marianna Musotto
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