Dopo una giornata passata all’università, Ozgecan Aslan, studentessa turca, prese il minibus del college per tornare a casa. A ogni fermata il mezzo si svuotava dei suoi passeggeri, fino a quando la ragazza non fu l’unica rimasta con l’autista, un ragazzo ventiseienne che, dopo aver tentato di stuprarla, l’ha rapita, le ha amputato le mani, l’ha bruciata e ha buttato i resti del cadavere in un fiume. Il peperoncino che la ragazza gli ha spruzzato negli occhi, in un vano tentativo di difesa, bruciava meno dell’orgoglio ferito e, per riconquistare la virilità perduta, l’ha pugnalata. Poi ha chiamato un amico e il padre per nascondere il corpo. Quando il corpo è stato trovato e l’uomo identificato, si è difeso affermando di essere stato provocato dalla ragazza, perché indossava una gonna.
Gli abitanti di Mersin, luogo dell’accaduto, hanno reagito con rabbia, creando una campagna social per gridare al mondo ciò che accade, per far sì che la morte di Ozgecan Aslan non sia dimenticata, come tante altre donne uccise, un numero in crescente aumento.
Le donne hanno proibito agli uomini di toccare di nuovo il corpo della giovane vittima e di sedersi nelle prime file al funerale, hanno guidato il corteo funebre e urlato giustizia. Ma anche gli uomini vogliono giustizia, vogliono mostrare che non sono tutti brutali assassini e stupratori, e, per raccontare la triste storia di Aslan, hanno creato una campagna sociale online con l’ashtag #ozgecanicinminietekgiy, tradotto “Indossa una gonna per Ozgecan”, sono state pubblicate più di 15 mila fotografie in cui gli uomini, islamici e non, hanno indossato una minigonna, affermando che, se quel particolare indumento equivale ad un invito allo stupro, anche indossata da loro aveva lo stesso significato.
Il messaggio è chiaro ed è sempre lo stesso: le donne non devono avere paura di vestirsi e uscire, ma sono gli uomini che, fin da bambini, devono essere educati al rispetto. Per noi occidentali questo è un concetto già consolidato (almeno nella teoria), ma molte donne lottano ancora per ottenere dignità, per essere considerate al pari degli uomini. C’è chi contesta questa modalità d’espressione, affermando che una campagna online può sembrare utile in Occidente, ma in questi Paesi non ha forza.
Il problema non è legato alla marginalità di classi sociali disagiate, ma esteso a tutta la società. Basti pensare che il presidente Erdogan ritiene che le donne debbano affidarsi agli uomini per essere protette dagli stupri, e che la parità di genere è “contro natura”.
Una foto su un social network non sarà la strategia migliore, ma Ozgecan Aslan è diventata il simbolo di un mondo stanco di subire, di avere paura anche solo di uscire di casa. Migliaia di persone si riuniscono a Mersin come ad Istanbul, marciano insieme uomini e donne vestiti di nero, uniti contro la violenza sulle donne, perché lo stupro è un crimine contro l’umanità. Nella speranza che, domani, le ragazze possano tornare senza timore dall’università, dal lavoro o da una passeggiata, senza dover stringere tra le mani un (talora vano) spray al peperoncino.
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Chiara Ricchiuti
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