IL FATTO
Dopo i furti sequestrato un oleodotto: l’Italia come la Nigeria
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Sequestrato l’oleodotto Civitavecchia-Fiumicino: una notizia per me sconvolgente, sembra che stia accadendo da noi quello che succedeva in Nigeria, ossia il furto di petrolio dagli oleodotti. Segno di un Paese oramai non recuperabile? Per molti si tratta di una delle tante notizie che passa spesso inosservata: su Repubblica di oggi si legge “ll gip del Tribunale di Civitavecchia, Massimo Marasca, ha disposto il sequestro dell’oleodotto Civitavecchia-Fiumicino, a novembre scorso oggetto di alcuni furti che ha procurato danni ambientali per lo sversamento di cherosene, “finché non saranno installati adeguati sistemi di controllo atti ad impedire ulteriori reati”. Il sequestro è stato effettuato dai carabinieri del Noe al termine dell’indagine avviata dal procuratore di Civitavecchia, Gianfranco Amendola. Il procedimento al momento è contro ignoti.”
Ho ripensato alle molte volte (dal 1997) in cui ho partecipato alla presentazione del Rapporto sulle ecomafie di Legambiente. Sul suo sito Legambiente scrive “ecomafia è un neologismo coniato da Legambiente che indica quei settori della criminalità organizzata che hanno scelto il traffico e lo smaltimento illecito dei rifiuti, l’abusivismo edilizio e le attività di escavazione come nuovo grande business in cui sta acquistando sempre maggiore peso anche i traffici clandestini di opere d’arte rubate e di animali esotici.” Insomma tutto.
Il Rapporto ecomafia 2014 dice che “29.274 infrazioni accertate nel 2013, più di 80 al giorno, più di 3 l’ora. In massima parte hanno riguardato il settore agroalimentare: ben il 25% del totale, con 9.540 reati, più del doppio del 2012 quando erano 4.173. Il 22% delle infrazioni ha interessato invece la fauna, il 15% i rifiuti e il 14% il ciclo del cemento. Il fatturato della criminalità ambientale, sempre altissimo nonostante la crisi, ha sfiorato i 15 miliardi.”
Pazzesco. Ma, soprattutto, gravissima è ancora la scarsa considerazione che attribuiamo ai danni ambientali perché i tempi sono spesso molto lunghi per verificare l’effetto del danno, spesso i danni non si verificano (le tre scimmiette: non vedo, non sento, non parlo) perché mancano gli strumenti di controllo, ma soprattutto dove il danno è troppo alto (e dunque non pagabile) spesso non si procede; infatti spesso si rileva il danno solo quando si riesce a trovare i colpevole (dove vi sono responsabilità diffuse spesso si tende a coprire).
Allora vediamo come siamo messi a livello normativo. Solo da febbraio 2014 si è fatto qualche passo, ma il Codice penale ambientale ancora non è operativo (siamo solo alla solita proposta di legge ferma). Prima comunque esisteva solo il Codice civile (art. 2043 e 2050) e si inizia a parlare di Danno ambientale solo dal 1986 art. 18 349/86 (che però non lo definisce); solo con il decreto Ronchi si introduce la responsabilità oggettiva e il Regolamento attuativo Dm 471, 25/10/98, ma solo in campo di applicazione e definizioni. Sui principi siamo bravi: il Danno è subito dalla Collettività e l’Ente territoriale è titolare del diritto al risarcimento. Chi viene colto in grave responsabilità però al massimo se la cava con qualche multa.
C’è molto, molto da fare.
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Andrea Cirelli
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