IL FATTO “Dieci anni per sanare le ferite del sisma. I nostri amministratori? Rassegnati”
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“Avevo previsto servissero 10 anni per ripristinare i danni del sisma alle chiese di Ferrara, ora non so se basteranno…”, dice un battagliero don Stefano Zanella, che non nasconde il suo fastidio. “Completeremo l’opera il giorno della resurrezione dei morti”, gli fa eco, sarcastico, Aniello Zamboni. E’ stato scoppiettante l’incontro in biblioteca Ariostea organizzato da Ferraraitalia per fare il punto sulla ricostruzione post-terremoto. “Avere demandato al commissario regionale la gestione del procedimento è stato un autogol”, sostiene il presidente provinciale di Italia nostra, Andrea Malacarne. E spiega: “I problemi attuali sono in parte dovuti al terremoto, in parte al precedente degrado”. E siccome il commissario ha mandato solo per liquidare i rimborsi relativi al sisma, insufficienti per fare fronte alla situazione, la palla torna a Roma con significativa perdita di tempo.
In sostanza, le chiese (in particolare) e parte del patrimonio monumentale cittadino era già in stato di cattiva manutenzione prima del terremoto e l’evento sismico ha evidentemente peggiorato le cose. Ma le perizie distinguono fra i danni del 2012 e quelli preesistenti, così la trafila burocratica si complica e i tempi si allungano.
“C’è da piangere – ha affermato sconsolato Zamboni, direttore dell’ufficio Beni culturali dell’Arcidiocesi, introducendo il suo intervento – la situazione è tragica“. E poi ha snocciolato il rosario delle chiese in agonia: “Ancora ben lontane dal ripristino San Paolo, Santa Maria in Vado, Santo Spirito e San Domenico dove sono stati realizzati solo interventi preliminari. A San Benedetto i lavori non sono ancora iniziati nonostante il progetto sia stato approvato. Nella cattedrale la situazione è stata solo tamponata in attesa degli interventi veri e propri. E poi c’è la bellezza sfigurata delle Stimmate, di San Francesco, di Sant’Agnese, di San Giuseppe santa Rita e santa Tecla, l’oratorio dell’Annunziata… Non avrei mai immaginato che la permanenza di opere d’arte nei saloni arcivescovili, ove sono state temporaneamente depositate, si sarebbe prolungata per tanto tempo”.
Lo sconforto è grande, ma non lascia spazio alla rassegnazione: “Mi appello alle associazioni culturali e alla società civile affinché faccia sentire la propria voce e solleciti le istituzioni a intrervenire”. Il fatto di essere riconosciuti patrimonio Unesco non agevole le cose? domanda qualcuno fra il pubblico. “Posso ridere? – replica Zamboni – non godiamo di alcun privilegio, il patrimonio ecclesiastico è l’ultimo a essere considerato”.
Se possibile ancora più caustico è apparso don Zanella, vice del medesimo ufficio Beni culturali. Lucidissima la sua analisi: “Il ferrarese medio non ha riportato grossi danni dal sisma e non si è reso conto di quel che è accaduto. Qualcuno si è spaventato solo quando, dopo due anni e mezzo, è stata decisa la chiusura del duomo. Allora non era sicuro? si sono detti i nostri concittadini. No, non era sicuro. Ma lo abbiamo scoperto in ritardo, perché i primi soldi per fare analisi serie sono arrivati nel 2014″.
“Dobbiamo dire che non è vero che non abbiamo avuto danni importanti – esorta don Stefano – e dobbiamo considerare che le chiese non possono essere trattate alla stregua dei capannoni, la storia va rispettata“. Certo Ferrara rispetto al modenese, al bolognese o al mantovano ha patito meno crolli e meno vittime, ma questo è accaduto – spiegano in coro Zanella e Malacarne – “perché qui già dopo il terribile terremoto del Cinquecento si è costruito con criteri antisismici“. I danni, dunque, non sono risultati appariscenti, non ci sono stati crolli, ma molti edifici risultano comunque gravemente compromessi“.
“Le difficoltà maggiori in questi tre anni sono state causate dalla burocrazia – afferma con schiettezza Zanella – E quando dico burocrazia intendo procedure lunghe e tortuose, inefficienza…”.
Il ripristino è iniziato dalle chiese meno danneggiate: 11 su 14 sono state sistemate. Ora ce ne sono altre 22 da curare. Sono stati presentati 18 progetti, mancano quelli del duomo, del palazzo arcivescovile, delle chiese di Porotto e Viagarano Mainarda che necessitano ancora di verifiche”. “Bene, dei 18 progetti presentati sapete quanti ne sono stati approvati? Uno! Quello di Santa Maria Nuova e San Biagio. Se senti la Regione la colpa è dei tecnici che sono imprecisi, se senti i tecnici dicono che la Regione è puntigliosa. Io per non sbagliare dico che la colpa è di tutti. Risultato? Dei 21 milioni stanziati come anticipazione sul piano per la ricostruzione, per ora sono arrivati solo 900 mila euro“.
“Nonostante le buone tecniche costruttive adottate dopo il terremoto del Cinquecento che hanno evitato i crolli, Ferrara ha comunque patito danni consistenti e diffusi”, ha confermato Andrea Malacarne presidente di Italia nostra. “La situazione delle chiese è particolarmente grave, ma la progettazione – lamenta – poteva essere fatta in sei mesi, invece sono passati tre anni ormai…”. Che fare? “Gridare ovunque che Ferrara è stata terremotata e va aiutata, dallo Stato e dalla Regione. Pretendere che si mantengano le procedure emergenziali , scongiurare il rischio che si piombi nella gestione ordinaria perché tempi e procedure ci sarebbero avversi”. I nostri amministratori sono sul pezzo? “No, sono troppo timidi e rassegnati“.
Cosa attendersi in futuro in funzione della riprogettazione che farà seguito al ripristino del patrimonio storico? “L’ampliamento della biblioteca Ariostea con l’integrazione di casa Nicolini e casa Minerbi” spiega ancora Malacarne. “E poi il pieno recupero di palazzo Schifanoia e palazzo Massari. Italia nostra vigilerà e solleciterà“. Ma Malacarne sollecita giustamente anche un salto di qualità nella progettazione: “Non basta ripristinare, bisogna ragionare in grande, osare, come si fece ai tempi delle Mura…” . Roberto Soffritti, presente in sala fra il pubblico, gongola… “L’anno prossimo ricorre il cinquecentenario rossettiano, Italia nostra ha lanciato un progetto sulle basiliche ideate da Biagio Rossetti, potrebbe essere un volano attrattivo per il turismo”.
In apertura di incontro, di turismo aveva parlato la coordinatrice delle guide ferraresi, Virna Comini, lamentando la latitanza delle istituzioni: “Dopo il terremoto, per un anno e mezzo di turisti a Ferrara non ne sono arrivati. Ci siamo sentite abbandonate a noi stesse. Abbiamo il contatto diretto con chi visita Ferrara, ma il Comune non ci consulta mai, né per avere valutazioni né per condividere la progettazione”. E’ stato fatto poco per propiziare una ripresa, dice in sostanza. Lamenta l’assenza di un percorso di visita delle chiese, ormai quasi tutte chiuse per lavori. E riferisce delle lamentele dei turisti per la presenza sulla piazza e sul corso del mercato del venerdì, che condiziona negativamente il godimento dei monumenti.
A margine del dibattito sul patrimonio monumentale, è stato riservato uno spazio di intervento per registrare la significativa testimonianza di uno sfollato centese, Massimo Vignola, che ha riportato il dramma delle famiglie che hanno vissuto sulla propria pelle gli effetti del terremoto. “La mia casa è stata resa inagibile dalla scossa, sono stato costretto a vivere per oltre due anni in un container di metallo. La situazione non è risolta. Secondo una perizia la mia abitazione è da abbattere, secondo un’altra ha un danno da 15mila euro…”. La burocrazia non risparmia nessuno. Ma dietro il mondo delle scartoffie c’è qualcuno che paga e soffre davvero.
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Sergio Gessi
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