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Attorno al disegno di legge sulle coppie di fatto stanno nascendo (o meglio continuando) una serie di discussioni che riguardano alcune tematiche collaterali, spesso importantissime. Peccato che il clima di forte contrapposizione di questi giorni faccia sì che il confronto sia tutt’altro che ricco e fruttuoso.
Fra queste discussioni c’è quella riferita alla questione della stepchild adoption, che però assume una valenza più generale: se avere un figlio sia o meno un diritto ascrivibile a ogni individuo. Lascio una trattazione completa della questione ai professionisti della materia; osservo tuttavia che, se avere figli non fosse un diritto, sarebbe eticamente lecito ogni intervento cogente messo in atto, per esempio da parte di uno Stato, per limitare le nascite. Compresi quelli più drastici quali le sterilizzazioni forzose. Allo stesso modo non ci dovrebbe essere nulla da ridire se si decidesse che i bambini dopo la nascita venissero affidati non già ai genitori naturali, ma a coppie selezionate sulla base di un qualche criterio.
Naturalmente non si tratta di un diritto assoluto, come del resto non lo sono tutti quelli che una società democratica riconosce agli individui che ne fanno parte. Se qualcuno non fosse convinto di questa affermazione, pensi per esempio al diritto alla vita di cui ognuno di noi è portatore, tuttavia nessuno ha nulla da ridire se, in caso di aggressione armata da parte di qualche potenza ostile, alle persone viene tassativamente richiesto eventualmente di rinunciarvi per difendere la collettività. Discorso analogo vale il diritto di proprietà, ecc.
Quali sono quindi i limiti a cui il diritto di avere un figlio dovrebbe soggiacere? Per dirla in breve, tutti quelli che si manifestano quando questo diritto confligge con altri più rilevanti o lede quello di altre persone. Dove la misura della rilevanza è affidata alla legislazione e, caso per caso, al magistrato. Naturalmente non mi sfugge che in questo caso i diritti confliggenti potrebbero essere quelli del figlio, già nato o solo pensato. Si tratta peraltro di questioni che il diritto contempla da tempo e che consentono, per esempio, a un giudice di togliere ai genitori naturali o adottivi la potestà su un figlio minore se dovesse ritenere compromessi i suoi diritti fondamentali. Chiunque volesse impedire che una coppia omosessuale, in quanto tale, abbia o adotti dei figli dovrebbe dimostrare che questa situazione sarebbe sempre e comunque a detrimento dei diritti dei minori coinvolti. Pare però che tale evidenza, nonostante in molti paesi del mondo questa possibilità sia riconosciuta ormai da anni, non sia emersa. Anzi la stragrande maggioranza degli studi effettuati sembra dimostrare esattamente il contrario, al punto che tutti gli ‘esperti’ che si sono pronunciati contro hanno usato formule ampiamente dubitative al riguardo.
Quanto alla questione del cosiddetto ‘utero in affitto’ che viene agitata propagandisticamente come motivo sufficiente per impedire la stepchild adoption occorre rilevare che:
1. La questione eventualmente riguarderebbe, per motivi che dovrebbero essere ovvi a chiunque, esclusivamente le coppie omosessuali composta da due uomini;
2. I dati disponibili a livello mondiale relative ai paesi in cui la pratica è lecita (non l’Italia) indicano che, in un contesto in cui l’adozione per gli omosessuali è ampiamente diffusa, la stragrande maggioranza delle coppie che se ne avvale è eterosessuale;
3. Infine, anche se la questione non è all’ordine del giorno e non riguarda il disegno di legge sulle unioni di fatto, siamo così sicuri che si tratti di qualcosa che debba essere vietato in tutti i casi e non, come ad esempio si è deciso per le donazioni di organi, solo quando avviene in cambio di denaro?

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Raffaele Mosca



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