La distinzione fra destra e sinistra, prima ancora di essere una questione che riguarda dottrine politiche partiti e movimenti, attraversa le coscienze degli individui. Verrebbe quasi da dire che di sinistra (o di destra) si nasce, o comunque si diventa molto presto, e tali si rimane, quasi sempre, per tutta la vita. D’altra parte si tratta di una discriminante antropologica fortissima, forse addirittura archetipa in quanto connaturata con il suo contrario alla nostra specie. E’ di sinistra infatti chi ritiene che il bene della comunità sia più importante di quello dei singoli, da cui discendono inevitabilmente i principi di uguaglianza e di solidarietà, mentre è di destra chi pensa il contrario. Volendo si potrebbe persino azzardare che destra e sinistra rappresentino nient’altro che il modo peculiare di manifestarsi per la specie umana, rispettivamente, dell’istinto di sopravvivenza individuale e di quello della specie.
Si potrebbe dire che una definizione così ampia e per molti versi così indeterminata sia poco utile: è tuttavia l’unica che consente, al di là delle ideologie, ossia dell’idea che nel tempo l’essere di sinistra ha di sé, di trovare nella storia umana anche remota elementi di ‘destra e di ‘sinistra’ del tutto riconoscibili. Soprattutto, solo partendo da così lontano si capisce molto bene che parlare di un’unica sinistra non ha alcun senso, a maggior ragione in una fase storica travagliata come quella che stiamo attraversando, mentre invece occorrerebbe fare riferimento ad una pluralità di ‘sinistre’, che declinano i comuni valori di riferimento in modo diverso, ognuna cercando di ottenerne l’applicazione nel modo più efficace. Purtroppo al giorno d’oggi questo non accade quasi mai ed ogni raggruppamento, chi più chi meno, tende ad intestarsi l’esclusiva del marchio, diffidando addirittura altri dall’usarlo. Un muro contro muri che se non fosse tragico sarebbe persino un po’ comico, pienamente inserito in un solco ben tracciato in tutto il ‘900 che ha quasi sempre visto nel partito o movimento politicamente più prossimo il peggiore dei nemici. In queste condizioni il dialogo è nei fatti impossibile, perché per discutere proficuamente con qualcuno è necessario riconoscerne la legittimità: a sinistra oggi in Italia non si discute, ma ci si accusa reciprocamente di misfatti di ogni tipo, perché manca quasi del tutto quel riconoscimento.
E sì che di argomenti ce ne sarebbero. Uno su tutti: come conciliare un progetto riformista nel contesto dei vincoli legislativi ed economici del quadro europeo. Perché le varie sinistre, non solo in Italia, finora si sono accapigliate ragionando su uno scenario sostanzialmente tutto nazionale, che ormai non esiste più, tanti e tali sono i vincoli che ci pongono l’UE e la moneta unica. Come reagire alla globalizzazione e quale modello di sviluppo praticabile proporre, alla luce dei vincoli posti dal punto precedente che non consentono illusorie fughe in avanti e ipotesi di “socialismo in un sono Paese”. C’è chi dice che il mondo sia all’inizio della quarta rivoluzione industriale, quella dell’automazione pervasiva, che porterà alla scomparsa nel giro dei prossimi anni di milioni di posti di lavoro sostituiti da macchine sempre più intelligenti, non solo nelle fabbriche, come è stato finora, ma anche negli uffici e nei servizi. Come si risponde da sinistra a questo fenomeno, che, si badi bene non può essere contrastato e che comunque è lo strumento che progressivamente consentirà all’umanità”, ovviamente a patto che siano in piedi meccanismi adeguati di redistribuzione, di affrancarsi dalla “schiavitù del lavoro? Legato a questo, in un’ottica di prospettiva, osserviamo però che negli ultimi 30 anni nell’intero mondo occidentale la disuguaglianza sta aumentando vertiginosamente: sempre meno persone possiedono percentuali sempre più elevate della ricchezza dei singoli Stati. Un trend che non pare destinato ad arrestarsi e che ci porterà nel giro di qualche anno ai livelli di inizio ‘900. Per contrastare questo fenomeno, più che sulla leva fiscale, sarebbe necessario intervenire sui meccanismi di trasmissione intergenerazionale della ricchezza; come si costruisce un consenso ampio attorno a questo obiettivo? E poi i fenomeni migratori: come vanno gestiti per uscire dalla vuota proclamazione dell’accoglienza a cui non corrispondono interventi utili per realizzarla? Come è fatta una società multiculturale e quali limiti devono eventualmente essere imposti alle singole culture che la compongono? Ma anche, come contrastare i movimenti terroristici globali, certamente quasi sempre nati come conseguenza di politiche miopi quando non scellerate dell’occidente, ma che mettono violentemente in discussione alcuni dei principi fondamentali di libertà e di uguaglianza a cui non vogliamo rinunciare? E, ancora, la salvaguardia dell’ambiente, le risorse del pianeta, l’aumento della popolazione.
Tutte questioni di grandissima complessità, sulle quali non esistono, prima ancora che le proposte, analisi di merito condivise. La migliore sinistra, nelle sue molteplici articolazioni, si è sempre distinta dalla destra per il tentativo di produrre analisi approfondite della realtà dalle quali far derivare proposte politiche perseguibili. A tal fine, oggi, sarebbe necessario uno sforzo comune, senza assurde tentazioni di primogenitura, ma anzi dimostrando da parte di tutti la grande umiltà necessaria a fronte dell’enorme difficoltà del compito.
Si notano invece troppo spesso, oltre a grandi dosi di iattanza del tutto immotivata, accanimenti furiosi su questioni relativamente di poco conto, singole persone, frasi e citazioni al di fuori dal loro conteso, così come, di fronte alla complessità, tentativi di rinchiudersi in un illusorio ‘specifico nazionale’, del tutto avulso dalla realtà. Qualcosa che può essere definito solo con l’ossimoro di ‘nazionalismo di sinistra’ (cosa peraltro non nuovissima).
Da ultimo, come in quelle animazioni sulla storia del pianeta in cui l’uomo compare negli ultimi microsecondi, le incombenze immediate. Vale a dire, in sostanza, come raccordare con le grandi questioni appena enunciate il necessario processo di riforma da avviare in un Paese che già manifestava alla fine del secolo un grandissimo bisogno di innovazione a tutti i livelli e che è invece rimasto bloccato per ulteriori vent’anni di governo sostanziale della destra. Poi, certo, appena prima dei titoli di coda e se proprio non se ne può fare a meno, Renzi, Bersani, Fassina, Vendola, e chi altri vi pare.
Invitiamo i lettori a sviluppare il confronto, incardinato su alcuni nodi politici: cos’è diventata oggi la Sinistra, quali valori esprime, quale personale politico la rappresenta, a quali aree sociali fa riferimento, per quali obiettivi sviluppa il proprio impegno, quali sono la visione e il progetto di società che intende realizzare.
Il tentativo è di andare oltre l’analisi, spingendosi sul terreno della proposta.
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Raffaele Mosca
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