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C’è chi dice che nel nome delle persone si nasconda il loro destino, per Marie-Joseph-Rose Tascher de la Pagerie, nata a Trois-Ilets in Martinica nel 1763, si può dire che in parte si sia realizzato. Rose era una creola, nata da ricchi latifondisti francesi nelle colonie caraibiche. La sensualità dei luoghi deve aver lasciato un’impronta in questa donna che, già da ragazzina, veniva descritta come dotata di un fascino e di una capacità di sedurre, ben superiori alla sua bellezza. Rose lasciò la Martinica come giovane sposa di un aristocratico ufficiale scelto dai genitori, ma non fu un matrimonio felice, nonostante la nascita di due figli, i due si separarono. Travolti dalla Rivoluzione, l’ufficiale finì ghigliottinato e Rose in carcere per mesi. Dopo essere stata scagionata e liberata, riuscì a recuperare parte delle ricchezze del marito e un posto in società. Il suo fascino non passò inosservato, di lei si innamorò un giovanissimo generale, che dopo una lunga corte, ottenne la sua mano. Il nuovo marito decise di cambiarle il nome in Josephine, troppi amanti l’avevano chiamata Rose. Nonostante l’amore per la moglie, il giovane dovette seguire il suo di destino che lo portò a combattere lontano da Parigi.

Fu così che Rose-Josephine decise di acquistare una proprietà di campagna in cui realizzare una sua idea: creare un giardino straordinario, la più grande collezione di rose dei suoi tempi. Altre dame francesi avevano la sua stessa passione, ma solo lei era la moglie di Napoleone Bonaparte e questo le aprì le porte di altre collezioni e di orti botanici, ma soprattutto le permise di mandare, al seguito dell’esercito del consorte, botanici e orticoltori, travestiti da soldati, in grado di scoprire e conservare le rose sparse per l’Europa e il Medio Oriente, e trapiantarle nel suo giardino alla Malmaison. Uno di questi era proprio il curatore del giardino di Josephine, un “certo” Etienne Soulange-Bodin che diventò, in tempi di pace, uno dei botanici più famosi di Francia, fondatore della prima Società di orticoltura francese e creatore della incantevole Magnolia soulangeana.

Nonostante il loro potesse sembrare un matrimonio pieno di licenze, Napoleone amò profondamente Josephine, e amò la Malmaison che fu una vera casa per il suo animo inquieto, quindi non ebbe difficoltà ad assecondare la moglie e il suo desiderio di collezionare il fiore che più rispecchiava la sua femminilità. Un giardino di rose è un sogno, una malattia, un impegno che ti ruba undici mesi all’anno per un mese di meraviglia assoluta. Amiamo le rose da sempre, la rosa è la rosa, l’unico fiore che viene chiamato con lo stesso nome ovunque, una pianta a cui chiediamo l’impossibile: la rifiorenza, il profumo, la bellezza. Cose che siamo riusciti ad ottenere dal fiore, ma non dalla pianta, che una volta sfiorita ritorna ad essere quello che è, un anonimo cespuglione pieno di spine. Josephine ne era consapevole, come era consapevole della fragilità di un giardino legato al suo creatore, per questo affidò a un virtuoso dell’illustrazione botanica, il belga Pierre-Joseph Redouté, il compito di fermare sulla carta la bellezza dei fiori delle sue rose. La collezione di Marie-Rose-Josephine Beauharnais Bonaparte non esiste più, in Francia altre collezioni, come il roseto de l’Haÿ [vedi], fanno rivivere oggi la sua magnificenza, ma il potere della bellezza delle immagini disegnate da Redouté, riprodotte ancora oggi su cartoline e calendari, ci permette di avere un’idea del sogno di Josephine e dell’importanza, storica e scientifica della Malmaison, nella diffusione della rosa come la vera regina dei giardini.

[immagine in evidenza tratta da: George Cruikshank, Napoleon, When First Consul & Madam Josephine (His First Wife) in the garden at Malmaison, 1824. Rosenbach Museum & Library. 1954.1880.1673]

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Giovanna Mattioli

È un architetto ferrarese che ama i giardini in tutte le loro forme e materiali: li progetta, li racconta, li insegna, e soprattutto, ne coltiva uno da vent’anni. Coltiva anche altre passioni: la sua famiglia, la cucina, i gatti, l’origami e tutto quello che si può fare con la carta. Da un anno condivide, con Chiara Sgarbi e Roberto Manuzzi, l’avventurosa fondazione dell’associazione culturale “Rose Sélavy”.


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