NOTA A MARGINE
Il design in Italia oggi, fra modelli ingombranti e troppi luoghi comuni
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Tracciare un profilo ben definito del designer contemporaneo oggi risulta difficile. Farlo in casa nostra, l’Italia, da sempre considerata patria del buon gusto, dell’estetica, del tanto inneggiato ‘made in Italy’, è paradossalmente ancora più complicato. Qual è allora lo stato del design italiano?
A questa difficile domanda ha provato a rispondere il corso di laurea in Design del prodotto industriale del dipartimento di Architettura di Ferrara, organizzando un seminario dal titolo “Design in Italia oggi. Luoghi comuni e mestieri speciali”, tenuto da Chiara Alessi.
Giornalista, saggista, collaboratrice per riviste come “Domus”, “Interni”, “Klat” e il “Fatto Quotidiano”, dove tiene un blog, Chiara Alessi si occupa prevalentemente di design in ambito giornalistico, con una particolare attenzione al rapporto tra il design stesso, la critica e la società. Negli ultimi due anni ha pubblicato per Laterza due saggi (“Dopo gli anni zero. Il nuovo designi italiano ”, 2014, e “Design senza designer”, 2015), entrambi frutto di approfonditi lavori sul campo per delineare una mappatura circa la situazione odierna di questo settore lungo la penisola.
Introdotta dal coordinatore del corso di laurea Alfonso Acocella e dal professor Dario Scodeller, la giornalista ha subito chiarito come come il cosiddetto ‘anno zero’ del design sia “un anno che circoscrive un’epoca critica, dato che viviamo in tempi in cui la nostra generazione dà per scontate un’infinità di cose, finendo poi per perdere di vista i filtri e il contatto con la realtà del mondo che ci circonda”. Il quesito necessario da porsi è quindi di che cosa stiamo parlando davvero: esiste ancora il concetto di design nel nostro Paese? Alessi risponde ammonendo che “all’estero si critica tanto il design italiano perché i primi a criticarlo siamo noi stessi” e, scorrendo numerose citazioni di personaggi illustri di questo settore, aggiunge quanto “sia necessario trovare un nuovo punto di partenza e staccarsi dall’epoca dei grandi maestri, oggi diventata troppo ingombrante per le nuove generazioni in cerca di stimoli diversi. Io ho avuto la fortuna di girare l’Italia da Nord a Sud e posso assicurare che esistono tante potenzialità, tante idee e interessi da valorizzare”.
Il problema è quindi uno sguardo rivolto indietro verso un grande passato che si manifesta in un’arretratezza diffusa: “quando si entra nella sala d’ingresso del tempio del design italiano, il Politecnico di Milano – continua Alessi – le gigantografie dei principali designer italiane sembrano quasi dire ‘noi siamo la storia, voi ora datevi da fare…’”. Inoltre, le riviste specializzate non hanno più il ruolo di un tempo quando erano considerate “veri e propri laboratori di lavoro e orientamento, fucine di idee alle quali si prestava particolare attenzione”. Problemi da ricercare anche in alcuni equivoci inerenti il mondo delle aziende: “oggi si pensa erroneamente siano divise in quelle che lavorano in maniera tradizionale e quelle che producono in maniera più innovativa, ma in realtà le aziende italiane sono ibride e queste due caratteristiche convivono benissimo da tempo”. I mercati poi, secondo la giornalista, “si sentono contrastati da internet e dall’e-commerce, dimenticando che l’online è in realtà una risorsa che rende il mercato più innovativo e competitivo”.
Chiara Alessi ha poi illustrato il profilo del designer degli anni 2000, professione che “per la prima volta può dirsi davvero tale”, fino a quindici anni fa non aveva nemmeno una facoltà universitaria; oggi invece ha iniziato ad “avere una sua autonomia, nonostante fatichi ancora dal punto di vista economico, dato che in media i designer dichiarano di ricavare soltanto il 30% del fatturato dal loro prodotto”.
Un mondo in continua evoluzione e difficile da analizzare. Ecco perchè Alessi ha cercato di individuare alcuni punti stilistici chiave della ‘poetica del design’: ci sono il punto esclamativo (che sorprende) e la fiction (narrazione di realtà alternative), il realismo, il ready made e la performance, passando per alcuni dualismi quali unico-irripetibile, assenza-presenza, produzione-autoproduzione. Realtà nelle quali “è difficile orientarsi, ma che convivono bene tra loro, poiché la cosa che più le contraddistingue è appunto l’eclettismo stilistico”.
Spazio infine per qualche aneddoto circa la sua pubblicazione più recente, un lavoro che capovolge le modalità di ricerca della precedente. In proposito, l’autrice afferma che “oggi ci si potrebbe chiedere se siamo tutti designer, visto il sempre più facilitato accesso a mezzi di produzione e creazione, ma nonostante tutto per me qualcuno è sempre più designer di qualcun altro. La vera abilità del designer di oggi – ha continuato Chiara – non è più nel disegno o nell’autoproduzione, ma nell’essere capaci di individuare le persone giuste, instaurare le relazioni migliori. Insomma, sapere un po’ di tutto”. E poi bisogna sfatare alcuni luoghi comuni tra i quali: il ruolo salvifico del ‘made in Italy’ sempre più ricercato non solo dagli utenti, ma anche aziende straniere; la filosofia de ‘il futuro è artigiano’, se presa per vera, da noi vale almeno cinquant’anni; il contrasto tra retail ed e-commerce, sbaglia chi crede che il secondo affosserà il primo, basta guardare il caso Ikea; e l’annunciata fine dei distretti e della critica.
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Andrea Vincenzi
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