Il corpo racconta: a villa Mensa yoga e prove di recitazione nello spazio mistico della tenda
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“Il Teatro rappresenta sul palco l’essenza dell’uomo, riflette ciascuno nei personaggi. Ed è proprio questo l’spetto più faticoso del Teatro che va amato e non capito.” Gabriele Lavia
Ricetta: Tenda Summer School. Ingredienti: una tenda di medie dimensioni, un giardino di un edificio rinascimentale nel ferrarese, un sogno di fare l’attore, tre bravi insegnanti, sé stessi, fantasia e creatività q.b. Preparazione: mescolate il tutto delicatamente, ma con energia, e il gioco è fatto.
E’ una ricetta semplice, ma particolarmente deliziosa, quella che ha preparato per noi Foné Scuola di Teatro, in collaborazione con la Escuela de Artes Escènica di Santiago di Compostela e la compagnia scozzese Teatro Replico: la Tenda Summer School. A parte il percorso in sé e il tema, molto stimolanti e interessanti per i giovani fra i 14 e i 22 anni (perché a loro è indirizzata questa scuola estiva), quello che mi ha maggiormente incuriosito è l’uso della tenda e il ricorso allo yoga.
La simbologia della tenda è varia e complessa, non vogliamo farne una storia, che lo sarebbe già di per sé, ma solo ricordarne alcuni riferimenti alle pagine evangeliche, alla tradizione degli scout, al suo ruolo nella cultura nomade mongola della steppa o nella vita quotidiana e avventurosa degli indiani d’America, per citarne alcuni. Gli studiosi del Vangelo ritengono che la tenda possa essere il simbolo dell’avventuroso rapporto tra Dio e l’umanità. Stabile e fragile insieme. Percepibile e no, oggi qui e domani là, misterioso sempre. Se, invece, ci soffermiamo a riflettere sulla tenda nel mondo scout, eccoci davanti al simbolo di una vita all’aperto, a contatto con la natura. Anche qui i gruppi scout spesso richiamano la Bibbia, se ci si ricorda della tenda e della vita all’aperto è più spontaneo pensare che tutte le nostre doti non ci appartengono ma che vanno messe al servizio degli altri. Allo stesso tempo, la tenda rappresenta la libertà, le prime notti passate fuori casa, nelle vacanze con gli amici del gruppo, il contatto puro e vero con la natura, una prova di coraggio e, magari, di critica alla società consumistica. Nella tenda si può anche essere soli con sé stessi, a contatto solo con il nostro io. In momenti preziosi di silenzio. La leggerezza di questo abitare temporaneo, efficiente, economico e facilmente trasportabile, era stata voluta e percepita da molti popoli, a partire dai nomadi della steppa del condottiero e sovrano mongolo Gengis Khan (1162-1227), fino ad arrivare agli indiani d’America nel XV secolo, che vivevano in tende chiamate “tepee” (da “te”, abitare e “pee”, usata per) fatte di pelle di bisonte conciate e dalla forma circolare. La storia sarebbe lunga (tutti da bambini abbiamo avuto una tenda colorata, soprattutto indiana) e, per rimanere alla nostra ricetta iniziale (e non portarvi troppo lontano solo con la tenda), abbiamo parlato con (il poliedrico e creativo) Massimo Malucelli, presidente di Foné Scuola Teatro e del Centro di Preformazione Attoriale, per soddisfare alcune nostre curiosità. Subito gli abbiamo chiesto come è nata l’idea della Tenda Summer School (4-8 agosto 2015) e perché si è voluto fare riferimento (e uso) proprio alla tenda.
L’idea, ci ha detto, nasce per dare continuità estiva all’attività del Centro di preformazione attoriale (www.centropreformazioneattoriale.it) che ha suscitato grande entusiasmo nei ragazzi, i quali hanno richiesto di poter fare analoga esperienza durante il periodo estivo. La scuola (sette ore al giorno per 5 giorni) vuole fornire grammatiche, tecniche e approfondimenti della didattica per la scena e strumenti pre-professionalizzanti e orientativi, allenare o ‘liberare’ le proprie capacità espressive e soprattutto fare un’esperienza creativa che prepari ad affrontare la dimensione del palcoscenico. E’, dunque, pensata per offrire ai ragazzi il giusto mix tra studio e divertimento. Gli allievi avranno infatti la possibilità di lavorare con un team di docenti internazionale e contemporaneamente di svagarsi approfittando dello spazio-ricreativo e rilassante, che favorisce la condivisione e la socializzazione fra i protagonisti dell’esperienza. Perché la tenda? La tenda ha un fascino straordinario e permette di condividere con i propri compagni di corso le emozioni e le scoperte fatte durante le giornate di studio. In questo modo, si entra in una dimensione di totale immersione e magia dell’esperienza che si sta vivendo, una condivisione che passa per il contatto umano diretto, lontano, per una volta e per un periodo, dalla dimensione di condivisione spesso forzata dei social network. Ci sono poi tende e tende…
Vista la sua dimensione internazionale, il corso sarà tenuto in inglese? E come è caduta la scelta sulla splendida location rinascimentale di Villa Mensa?
Il corso sarà tenuto in italiano, con traduzioni in inglese e spagnolo, quando necessario.
La location ci è stata proposta e l’abbiamo accettata volentieri. Come hai detto tu stessa, è bellissima, in effetti, lo scenario è davvero unico: Villa Mensa, delizia estense, campagna ferrarese, nel comune di Copparo. Edificio rinascimentale voluto nel 1480 dai Della Rovere e costruita nel 1480 dal vescovo Bartolomeo della Rovere, diventa residenza di villeggiatura vescovile dell’epoca. Ospitò Tommaso Ruffo e Ippolito d’Este. La Villa è ubicata sulla sinistra del Po di Volano, vicino a Sabbioncello, in località San Vittore, piccola frazione a otto chilometri da Copparo, sulla strada verso Formignana. E’ un complesso monumentale di grande importanza, dove soggiornarono i vescovi di Ferrara fino al tempo delle soppressioni napoleoniche (1797). La grande villa fu fatta costruire da Bartolomeo della Rovere, nipote di papa Sisto IV e fratello di papa Giulio II, tra il 1474 ed il 1495.
La facciata, rivolta ad occidente, si prolunga con due muraglie merlate che immettono nei cortili di servizio ai lati della villa; la muraglia verso la strada termina con una piccola cappella. Dal portone centrale ci si immette in un cortile nel quale si prospetta il porticato di sei archi, con colonne e capitelli; sul lato sinistro si eleva la torre di scolta, destinata a colombaia alla fine del XIX secolo. Da vedere). Le tende egli alunni saranno adagiate nel giardino interno, a guardare il cielo, la luna e l’antico loggiato.
“Dalla commedia dell’arte alla comicità contemporanea”, questo il titolo del corso, come mai questa scelta?
Il tema è un mio pallino. Sto partendo, infatti, per l’Università di Vigo, in Spagna, per tenere una conferenza-spettacolo e un master sul tema. Qui presenterò vari esempi di personaggi tradizionali che, legati al cinema, alla commedia e alla televisione di oggi, sono figli della commedia dell’arte. Penso a Charlot, Totò o Peter Sellers, versione moderna di Pantalone e di altri personaggi della commedia dell’arte, archetipi fondativi della nostra possibilità di raccontare storie. Credo che la comicità, e in generale il grande spettacolo, cinema compreso, si fondi su archetipi universali che affondano le radici nella commedia dell’arte. Ricordo che la commedia dell’arte è nata in Italia, nel XVI secolo. Si trattava di una diversa modalità di rappresentazione teatrale, non di un genere, si basava su canovacci o scenari, ed era tenuta, inizialmente all’aperto, con pochi oggetti a scenografia. Si parlava spesso anche di “commedia improvvisa” o “a braccio”. La definizione di commedia dell’arte si ritrova, però, per la prima volta, nel 1750, nella commedia “Il teatro comico” di Goldoni. Partire dalle radici di quella che era conosciuta, all’estero, come “commedia italiana”, e studiare quegli archetipi significa affondare in un terreno ricco di stimoli e di potenzialità per le creazioni contemporanee e dar vita a personaggi attuali forti e profondi. Dovendo tenere il corso a una facoltà di lettere, tradizionalmente più legata alla teoria di quanto non lo sia ovviamente io, partirò dal canovaccio inteso come la struttura in cui si muove il personaggio e che porta avanti la storia. Il filo conduttore. Ho dovuto proporre un compromesso. Per me resta fondamentale far comprendere come ogni personaggio rappresenti una condizione umana con il suo terrore della fine (della morte), e come il comico ribalti questo in vitalità… Ciò che davvero importa è che la commedia non scada a fenomeno di tipo folcloristico o che corrompa in una versione che non corrisponda alla sua natura originaria. La commedia è immaginazione che si fa concreta. Il corpo è la dimensione interconnessa con il pensiero, non si può prescindere da questo legame indissolubile, una distinzione che in realtà non esiste. E’ difficile perché siamo tutti mentali, molto testa e ragione.
Quando l’attore entra in scena, spesso basta un gesto per definirlo nel suo intero, attraverso il corpo si manifestano i prodotti della fantasia. Il corpo deve diventare qualcosa di più di un semplice strumento meccanico, mai si deve dividere tra anima e corpo. Vale la pena riprendere un concetto del regista e teorico del teatro russo, Kostantin Stanislavkskij, quello del “come se io fossi”. Sebbene Stanislavkskij fosse il teorico del metodo e del rigore (per questo mi si potrebbe prendere per un “eretico” nel fare un accostamento tanto azzardato), con poco spazio lasciato alla recitazione istintiva, il suo ruolo lasciato all’immaginazione, a una fantasia attiva e allenata e alla domanda che l’attore si deve fare “se io fossi in quella situazione”, sono un reale e importante insegnamento. Perché la libertà intellettuale creativa è nel mezzo, nel grigio. Sono grande partigiano, quindi, avrai capito, dell’unione fra le cartesiane res cogitans e res extensa. Galimberti diceva che il sorriso non è solo un insieme di muscoli, conta l’intenzione al sorriso. In questa senso la connessione fra attori e yoga. Anche quando scrivo ho sempre bisogno di visualizzare la situazione, devo vedere la scena. La Vita è fatta di eccezioni e di fluidità e il fantastico non ha limiti purché sia fisico.
Ci piacerebbe saperne qualcosa di più sul gruppo di docenti, ci incuriosisce la portata internazionale…
A parte me, presidente di Foné e del Centro preformazione attoriale e insegnante internazionale di commedia dell’arte (aggiungerei laureato in filosofia con tesi sul canovaccio nella commedia dell’arte, sceneggiatore, autore teatrale, regista, attore e direttore artistico), vi saranno Marcos Grande Pazos, docente spagnolo e direttore artistico dell’Escuela de Artes Escènicas Pabulo di Santiago de Compostela [vedi] e Joe Gallagher, specialista di teatro shakespeariano, direttore della compagnia scozzese Teatro Replico [vedi].
Marcos insegna “espressione corporale” e cerca di far apprendere agli allievi come incarnare un personaggio, come mettersi nella sua pelle, come crearlo, capirlo, essere lui. A partire dalla sua maniera di muoversi, fino al suo pensiero e al suo carattere. Il corpo è lo strumento di lavoro dell’attore, bisogna allora conoscerlo, esplorarlo, capirlo, guidarlo, modellarlo, dominarlo nel suo movimento, nella sua capacità espressiva. Perché il corpo comunica, ognuno in maniera diversa (non c’è un modello universale), ognuno con il suo, ciascuno con specificità e espressività differente.
Joe ha una vasta esperienza come attore classico, avendo lavorato con molti di primi attori e registi scozzesi. Con Teatro Replico ha prodotto presentazioni e risorse online di qualità, volte a sostenere lo studio del dramma inglese nelle scuole e nei college. E’ laureato all’University College London e ha oltre 25 anni di esperienza in teatro, tv e radio.
Molto interessante l’inizio del programma con alcune ore di yoga. Essendo yogi convinta (anche se da poco) mi piacerebbe capire perché, quale il legame…
Noi raccontiamo storie con il corpo. Tutto ciò che aiuta a percepirci come potenziale espressivo, capace di far vivere, concretamente, l’immaginario che si contrappone al nostro comune concetto di corpo versus anima (tipico del nostro Occidente dissociato), aiuta la nostra arte. Anzi, le fornisce proprio il “materiale creativo”. Ben vengano dunque yoga, Tai Chi, danza. Il ritmo è quello che conta. Gli storici delle religioni pensano poi che il termine yoga derivi dalla radice “yuj-“, unire. Ci siamo già spiegati…
Avete adesioni ad oggi e da dove? E come sta reagendo Ferrara, all’esperienza della scuola in generale?
Oltre ai nostri allievi, abbiamo già varie adesioni dall’Italia, dalla Spagna e dall’Inghilterra.
Ferrara sta reagendo molto bene, abbiamo il pieno supporto delle istituzioni a partire dal Comune. Anche la cittadinanza è partecipe; quest’anno abbiamo 22 allievi giovani per un totale di 40. Ammetto che il passaparola sta funzionando bene, il pubblico ci sta conoscendo sempre di più, anche grazie al ruolo di un mio ex allievo, oggi collaboratore, Stefano Muroni, che dalle mie aule è partito con il sogno di diventare come Benigni e che sta facendo una brillante carriera. Stefano, con il quale ho portato avanti questo progetto, ha sempre riconosciuto l’importanza dell’improvvisazione che ha sviluppato studiando con me. Brillante allievo del Centro sperimentale di cinematografia di Roma, mi ha “convinto”, dicendomi, di fronte al mio tentennamento iniziale dovuto ai tempi attuali di crisi, che questa scuola serve proprio a evitare quello che questa crisi ha portato, l’impedimento sognare. A questi giovani bisogna ridare la possibilità di farlo, con la consapevolezza che può non andare bene ma che si può e ci si deve provare. I giovani ferraresi stanno comprendendo questo messaggio, e con la scuola stanno già avendo molte opportunità: chi parte per lo stage di Marcos Grande Pazos, spesato dalla scuola stessa, e chi farà parte della giuria del Giffoni Film festival. Altri hanno già avuto esperienza con Telestense.
I giovani partecipanti alla summer school, invece, per tornare a essa, potranno produrre scene originali che saranno filmate e consegnate su Ddv, il che sarà per loro anche un buon curriculum, una sorta di provino, un capitale utile a proporsi in seguito. Le cinque migliori saranno subito presentate da Telestense, una buona occasione per vedersi e rivedersi. Una riconoscibilità mediatica che possa portare materiale da spendere in audizioni, provini, pagine web e presso compagnie e altri circuiti televisivi. Un buon inizio. Per parte nostra, solo un augurio sincero, allora: buon sogno!
I corsi inizieranno il 4 agosto e si concluderanno, con le riprese finali, l’8 agosto. Dureranno 5 giorni con il seguente orario: dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 19 L’ultimo giorno sarà organizzata una serata di festa e spettacolo, con la presentazione dei personaggi creati, in forma di “work in progress” . In alcune delle altre sere vi sarà la proiezione di film inerenti il lavoro svolto e sulla dimensione della comicità (La Commedia dell’Arte nel cinema italiano e nella comicità contemporanea). Iscrizioni entro il 30 Maggio.
Foné Scuola di Teatro e il Centro di preformazione teatrale sostengono la campagna di crowdfunding “Una redazione condivisa per Ferraraitalia” [vedi], partecipa anche tu! Vedi la clip di Massimo Malucelli girata da Luca Pasqualini per il crowdfunding di Ferraraitalia cliccando qui.
Per maggiori informazioni sulla Tenda Summer School, visita il sito del Centro di preformazione teatrale [vedi] e la pagina Facebook [vedi].
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Simonetta Sandri
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