Il caso singolare di Gian Pietro Testa e del suo nuovo libro
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Il giornalista Gian Pietro Testa arrivò per primo quel 5 giugno 1975 sul luogo dove fu ammazzata la brigatista Mara Cagol. Con questo ricordo si apre Il caso singolare di Gesù e della cagnetta Evaristo, edizioni La Carmelina, con prefazione dell’attore Giuseppe Gandini, un libro che vorrei fosse Gian Pietro a raccontare perché ogni suo ricordo è un pezzo di storia d’Italia, di giornalismo e di umanità. In questo breve libro, parla Fraschenor, cioè Giuseppe Mazzini, un personaggio che accompagna Testa nei suoi romanzi da diversi anni e che, dopo avere scelto di non parlare più arroccandosi solo nel suo pensiero, o meglio, in un pensiero che pensa di pensare, tornare a parlare, vivere, ricordare, soprattutto interrogarsi.
Ma c’è un ghiribizzo, un pensiero bizzarro e dittatore senza capo né coda che dialoga con Fraschenor Mazzini, gli si pone di fronte e prende il largo, si chiede se la Madonna avesse abortito cosa sarebbe successo: “non ci sarebbe stato tutto quel guazzabuglio di scontri, di balle, di guerre, non ci sarebbero stati i 76 Papi, no quelli sarebbero esistiti, forse non vestiti di bianco, ma pur di comandare avrebbero indossato un paio di calzoni blu e una camicia rossa, e forse ciò non è avvenuto per la semplice ragione che il soldato italiano si sarebbe confuso con quello vaticano”.
Giuseppe Gandini, che una quindicina d’anni fa portò a teatro Lettera semiseria di un comunista a signore Dio illustrissimo di Gian Pietro Testa, firma la prefazione di quest’ultima pubblicazione parlando di ballata, di uno scritto intriso di misticismo materialista. Gian Pietro Testa, che rimane uno dei giornalisti e degli intellettuali più lucidi del nostro tempo, va ancora una volta letto per quello che racconta e per come lo racconta.
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Riccarda Dalbuoni
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