IL CASO
Il preside dell’Ipsia: “Diamo dignità ai ragazzi che seguono la vocazione al lavoro”
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2. SEGUE – L’Ipsia, “Ercole I d’Este”, Istituto professionale per l’industria e l’artigianato di Ferrara, è nel pieno di un processo di grande rinnovamento che coinvolge tutta la scuola. Dopo aver attraversato qualche periodo di difficoltà, che abbiamo raccontato nella prima parte dell’intervista [vedi], un gruppo molto motivato di docenti, il preside Roberto Giovannetti e il vicepreside Gianluca Rossi, stanno trasformando l’istituto attraverso una progettazione innovativa. In particolare, quest’anno hanno avviato un Progetto Sperimentale triennale che mira a coinvolgere i ragazzi con strategie e con attività motivanti come la realizzazione di laboratori espressivo-creativi rivolti alle classi prime (teatro, musica rap e videomaker), attività di tutoraggio degli studenti del triennio, l’attivazione di un gruppo studentesco che si occupa della cura degli ambienti e delle relazioni. Il progetto rientra nell’ambito del Protocollo d’intesa per la prevenzione del bullismo e delle devianze giovanili che vede coinvolti, tra gli altri Promeco, Provincia, Prefettura, ufficio minori della Questura e l’Università di Bologna.
Abbiamo incontrato il dirigente scolastico Roberto Giovannetti e il vicepreside Gianluca Rossi, coinvolto nel gruppo tecnico del progetto sperimentale insieme alle professoresse Guglielmetti e Santoro, tra gli artefici del rinnovamento dell’Istituto, per farci illustrare il progetto e capirne la portata.
Come nasce il progetto sperimentale che avete avviato con la Prefettura e in cosa consiste?
Abbiamo attivato tre laboratori: uno di teatro, uno di musica, uno di video-interviste. Questo progetto nasce da una rinnovata sensibilità alle esigenze degli studenti che ho trovato in un gruppo di insegnanti particolarmente attenti e motivati, quando sono arrivato all’Ipsia tre anni fa. Pieni di idee, avevano messo in campo energie incredibili che faticavano però a concretizzarsi, ciò che mancava loro era soltanto quel supporto che solo un dirigente può garantire. A volte hai la fortuna di incrociare lo sguardo di chi la pensa come te. Questo incontro ha generato un effetto volano che ha poi messo in moto tutte le risorse umane e professionali presenti nella scuola. Non abbiamo inventato nulla di nuovo, abbiamo solo messo a sistema e coordinato tutta una serie di attività, processi e iniziative che esistevano già (l’attenzione alle regole civili, i progetti con Promeco, con operatori esperti, etc.), ma con uno spirito di fiducia reciproca. Questo saldatura interna delle componenti della scuola ha trovato all’esterno, presso Prefettura, Questura e Promeco, una grande attenzione e capacità di ascolto rispetto alle nostre problematiche. Dopodiché, questo insieme di adulti motivati hanno formulato un progetto nato per avere i caratteri della sistematicità e un respiro a lungo termine, il progetto infatti è triennale.
Qual è l’obiettivo del progetto?
L’obiettivo principale è cercare di rivalutare le risorse umane presenti all’Ipsia, in particolare far sentire ai ragazzi di non essere arrivati nella scuola peggiore della provincia, ma in un luogo dove si fanno esattamente le stesse attività che si fanno nelle altre scuole, dove gli adulti credono in loro e che in ognuno c’è qualcosa di estremamente positivo da far emergere. Vogliamo che sia chiaro che iscriversi a questo istituto non rappresenta l’ultima chance per ottenere il diploma, ma che la scelta scolastica dei nostri ragazzi nasce da una vocazione al lavoro e ha la sua dignità. In sostanza, l’obiettivo è far sentire agli studenti un senso di appartenenza a questa gloriosa istituzione scolastica, una delle scuole più antiche di Ferrara, che ha formato persone che ricoprono nelle varie attività produttive ferraresi ruoli di prestigio, che ha pari dignità delle altre. Quando il ragazzo capisce che si trova in una scuola che non è diversa dalle altre, se non nell’offerta formativa, e che questa non è un luogo dequalificante dal punto di vista umano, ecco che avviene un riallineamento quasi naturale a tutti i livelli.
Ci illustra il progetto?
Noi cerchiamo di coinvolgere i ragazzi con strategie diverse e con attività motivanti, in modo che riescano ad esprimersi, a comunicare il proprio disagio, a manifestare le proprie emozioni ed interagire tra loro, non per niente per questo progetto abbiamo scelto di puntare a linguaggi come il teatro, la musica rap e i video. Naturalmente si spera che questo si traduca anche in atteggiamenti più corretti in classe e in una maggiore dedizione allo studio.
Il progetto sperimentale coinvolge tre prime complete (80 ragazzi circa) che a gennaio hanno iniziato tre differenti percorsi espressivo/creativi: una prima segue il laboratorio di teatro guidato da Massimiliano Piva con il Metodo Cosquillas; una il laboratorio di musica rap/hip hop guidato dal rapper Simone Salvi e dai docenti Toscano e Santoro, gli studenti scriveranno il testo di una canzone in stile rap, in italiano e in inglese; l’ultima classe prima sta seguendo un laboratorio per realizzare interviste video con la guida di operatori dell’Area giovani del Comune: i ragazzi impareranno l’utilizzo di semplici applicazioni per smartphone per girare video; poi prepareranno delle video-interviste a studenti e personale dell’Ipsia per un sondaggio su come stanno a scuola; parte dei video saranno inoltre dedicati al backstage dei laboratori delle altre classi. A fine anno scolastico, il tutto si dovrebbe tradurre in uno spettacolo rivolto agli altri studenti dell’istituto e alle famiglie, ma stiamo pensando anche a qualche cosa di più… ma non anticipiamo troppo.
I laboratori creativi sono destinati solo alle classi prime, perché?
Abbiamo puntato sulle prime per motivare i ragazzi più giovani, per farli sentire bene e per portarli avanti con un’altra idea di scuola, in modo che si facciano in prima persona testimoni del rinnovamento dell’istituto e che possano trasmettere agli amici un’opinione positiva della propria scuola, con un semplice “passaparola”. Ed è anche un modo per far capire loro, fin dall’inizio, che noi insegnanti desideriamo che stiano bene a scuola. Puntare sulle prime ci può garantire di continuare il lavoro con una certa continuità, contribuendo con noi a cambiare il clima della scuola nei prossimi tre anni; i ragazzi di prima sono il capitale umano su cui stiamo investendo. Ma nei laboratori sono coinvolti anche alcuni ragazzi più grandi, gli studenti tutor del progetto accoglienza, che fanno da supporto ai più piccoli e gli operatori.
I ragazzi lo sanno di essere così importanti per il futuro della scuola?
I ragazzi la vivono con spontaneità com’è giusto che sia, sono del tutto inconsapevoli di essere le ‘cavie’ del progetto e non ne conoscono le finalità nel lungo periodo. Loro si sono iscritti senza sapere che avrebbero partecipato al progetto, non sanno di essere i primi a testarlo e la vivono come una normale attività scolastica perché è cominciata a inizio anno come tutte le altre.
Come stanno andando i laboratori?
I ragazzi sono molto coinvolti nei vari laboratori e rispondono bene, cominciano a pensare di valere qualcosa. Si tratta di ragazzi che in diversi casi hanno situazioni difficili alle spalle, problemi familiari, personali e fallimenti scolastici e che finalmente si ritrovano coinvolti in attività stimolanti ritagliate su di loro.
Il caso del coltello trovato nello zaino di uno dei vostri ragazzi a gennaio vi ha proiettato al centro delle cronache…
Quando un ragazzo porta a scuola un coltello non è un fatto da nascondere, non si può tacere, non si può far finta di niente, occorre prendere atto del problema e riflettere insieme agli studenti, spiegando che è un problema di incolumità, di sicurezza, di legalità, di fiducia, e creare occasioni di confronto con le forze dell’ordine per far capire ai ragazzi che scuola e forze dell’ordine sono due realtà che si integrano. Davanti a problematiche come la tossicodipendenza, la violenza, il bullismo, il mio approccio in generale è molto chiaro: occorre coinvolgere tutti gli attori che si occupano di educazione e formazione dei ragazzi, perché questi aspetti vanno letti considerandoli all’interno di un territorio, di una società nel suo complesso. Direi molto serenamente che dobbiamo parlarne, confrontarci, non nasconderlo, non vergognarci e cominciare a pensare che se alcuni diaframmi formali vengono abbattuti qui, probabilmente verranno abbattuti poi in altre scuole e di nuovo bisognerà cominciare a ragionare a sistema.
Molti progetti simili al nostro si attivano nel momento parossistico, ossia quando si verifica un evento clamoroso e si interviene sull’urgenza. Noi invece lo abbiamo messo a sistema senza attendere fatti di cronaca, e il caso del gennaio scorso non ci ha trovato impreparati: con il nostro progetto abbiamo avviato una collaborazione con le forze dell’ordine fin da settembre, molto prima del caso del coltello.
A quando un primo bilancio dei risultati?
Da qui a un anno, capiremo l’effetto di quest’attività quando confronteremo il loro comportamento con quello di chi li ha preceduti e ne vedremo la differenza, in termini di motivazione, rendimento, comportamento, profitto e abbandono scolastico. Insegnanti e operatori dicono che il bilancio dei primi mesi è molto positivo e che il miglioramento sta già emergendo. E’ chiaro che il percorso è lungo, per riposizionarci a livello territoriale ci vorrà un po’, ma grandi passi si stanno già facendo. Gli elementi ci sono tutti, è solo questione di tempo.
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Sara Cambioli
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