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CAPITOLO V – Il segreto di Jacques

La mattina successiva Juan era già al lavoro quando i due esploratori si svegliarono. Nella gola rocciosa l’aria era particolarmente fredda e umida, e i raggi del sole avrebbero impiegato ancora qualche ora prima di lambire il fondo del pozzo. Fu necessario buttare altra legna sul fuoco per mantenere il bivacco al caldo. La legna però, inumidita durante le ore notturne e una volta a contatto delle braci, produsse un fumo denso e lattiginoso che invase tutto l’emiciclo e che non ne voleva sapere di disperdersi verso l’alto. Era un fumo pesante e intriso di vapore che rese l’aria del pozzo irrespirabile. I tre furono costretti a ripararsi in un anfratto dell’imboccatura del tunnel che conduceva alle grotte e lì attesero che il fumo si diradasse.
Finalmente le fiamme iniziarono a crepitare e il fuoco riprese vigore. La legna, ormai completamente asciutta, cominciò ad ardere illuminando e riscaldando le pareti di roccia circostanti. Ora, nonostante nell’aria vi fosse ancora l’odore acre del legno carbonizzato, il fumo era ridotto a una colonna verticale e rarefatta che puntava velocemente verso l’alto.
Greenstone e gli altri poterono così risistemarsi attorno al fuoco.
Stava iniziando il terzo giorno da quando i membri della spedizione avevano lasciato il villaggio, e fino a quel momento tutti quanti avevano sostenuto sforzi fisici ben superiori a quelli di un qualunque borghese di Londra o Parigi, certamente più abituato alle rassicuranti comodità della vita di città.
Soprattutto loro, i tre scesi nella gola, avevano dovuto subire ogni genere di avversità in un ambiente quanto mai ostile. Un luogo che in quel breve lasso di tempo aveva già palesato buona parte delle difficoltà che di lì a poco avrebbero dovuto affrontare.
Tutto questo si leggeva, manco a dirlo, sul viso stravolto di Jacques Verdoux, che si sforzava di nascondere all’amico scozzese le sue ormai pessime condizioni di salute.
«Jacques come vi sentite? Non mentitemi, lo vedo che non state bene… Se siete mio amico dovete dirmi la verità!» chiese Sewell preoccupato.
«Ma no, che dite! Amico mio, sono solo molto stanco… Queste ultime giornate movimentate mi hanno dato del filo da torcere… Vedrete che mi riprenderò!» s’affrettò a garantire il paleontologo, ostentando una finta sicurezza.
Sewell fissò Verdoux negli occhi. Quest’ultimo accennò un mezzo sorriso imbarazzato e distolse subito lo sguardo. Poi, frugando nella sua borsa di cuoio, estrasse una bottiglietta contenente un liquido verde smeraldo e ne bevve due sorsate.
A quel punto Sewell parlò di nuovo: «Diavolo d’un francese! Nascondete dell’assenzio, ve lo portate appresso in mezzo alla giungla… e non l’offrite nemmeno ad un amico?»
Jacques Verdoux non colse il tono ironico dello scozzese.
«Vedete Joseph, questo non è assenzio… È un preparato di un mio vecchio amico medico, mi serve per curare una dannata ulcera che mi tormenta da parecchi mesi, tutto qui… E poi ha un saporaccio!»
L’espressione di Sewell si fece seria. «Caro Jacques, dimenticate chi avete di fronte? Anche se vado in giro per il mondo in cerca di strani animali sono pur sempre un biologo. Mio padre, come ben sapete, era farmacista… io sono cresciuto tra provette e alambicchi… Insomma dovreste saperlo! I distillati non hanno segreti per me e quello è assenzio… e dall’aroma direi di ottima qualità!»
Sewell fece una pausa aspettandosi un’obiezione del francese che invece rimase ammutolito, poi continuò: «Ieri sera vi eravate addormentato da poco e dalla vostra borsa stava per cadere quel flacone da cui avete appena bevuto, così l’ho raccolto e ho annusato il suo contenuto… Absinthium non c’è dubbio! E capisco anche perché lo bevete di nascosto… Forse per via del laudano che ne è disciolto? Siate sincero con me Jacques, da quanto tempo assumete laudano?»
Verdoux si rese conto che era inutile continuare a nascondere la verità all’amico, non gli rimase che ammettere la sua dipendenza dal laudano. Ma lo fece in modo inaspettato.
«Sto morendo Joseph! Il mio sangue è malato… Ho un cancro! Già un anno fa i medici mi avevano dato pochi mesi di vita, quindi il mio tempo è quasi scaduto… Quando mi parlaste del vostro viaggio e mi diceste che probabilmente sarebbe stato l’ultimo. Quando mi offriste di unirmi a voi… Ebbene in quel momento sentii che avrei potuto dare un senso a quel poco che ancora mi restava da vivere. Non avrei aspettato passivamente la morte, le sarei corso incontro a testa alta in un’impresa che sarebbe stata ricordata anche dopo di me! Il laudano serve solo ad alleviare il dolore, niente di più.»
La sorpresa di Sewell fu evidente e la sua reazione fu istintiva. «Diavolo Jacques! Avreste dovuto dirmelo, io avrei capito… Invece mi avete ingannato! Mi avete nascosto la verità e ora la vostra condizione manderà all’aria l’intera missione! Dovrò portarvi a Lima perché qualche dottore possa prendersi cura di voi… Eravamo a un passo… e non avrò più un’altra occasione!»
«Joseph, non me ne vogliate… Io non tornerò indietro! Ho deciso che rimarrò qui e lo farò con o senza il vostro permesso!»
Il volto del francese appariva più disteso, aver nascosto la verità per tutto quel tempo era stato un fardello troppo pesante. Finalmente se n’era liberato e ciò gli permise di parlare all’amico con franchezza: «Il mio viaggio qui in Perù è un viaggio di sola andata. Sapevo che non avrei avuto un’altra opportunità per vivere un’avventura come questa… Joseph, vi ho nascosto la verità è vero! Ma ho già rimediato…»
«Che intendete dire?»
«Come ben sapete, a Parigi ho una buona reputazione. Ho speso tutta la mia vita dedicandola al Centro di Paleontologia, e il Museo Verdoux mi ha dato tante soddisfazioni e un discreto guadagno. Sono un uomo ricco, sapete bene anche questo… E sapete che ho solo e sempre avuto il mio lavoro. Non ho famiglia, quindi nessuno che possa rivendicare alcunché dopo la mia morte. Prima di partire ho dato incarico a un mio legale di fiducia di trasferire tutte le mie sostanze al vostro Dipartimento di Ricerca di Cambridge, con il vincolo che foste voi l’unico amministratore nonché beneficiario!» Dopo un accenno di sorriso il francese continuò: «Inutile dire che, comunque vadano le cose quaggiù, il vostro rettore, Mr. Hackett, vi accoglierà a braccia aperte quando ritornerete. E anche se questa missione non dovesse dare i risultati sperati avrete abbastanza fondi per finanziarne altre a vostro nome… Comunque sono sicuro che questa spedizione sarà un successo. Lo sento!»
Sewell rimase in silenzio. Le parole del francese avevano lasciato un solco profondo nel suo animo. Un misto di collera, imbarazzo, riconoscenza, ma soprattutto una profonda tristezza lo prostrarono rivelando il lato più nascosto e sensibile del suo carattere. «Jacques, io non so, non so che dire… Non dovevate… Non posso permettere che moriate quaggiù, lontano dalla vostra casa, dalla gente che ha stima di voi…»
«Di stima mi basta la vostra, amico mio… sempre che ne proviate ancora…» s’affrettò a dire il paleontologo, «Ad ogni modo non sono ancora morto mi pare, mi reggo ancora in piedi e sento che aver vuotato il sacco mi ha fatto bene direi… Quando arriverà il mio momento sarete il primo a saperlo. Intanto che ne dite di spiegare a me e a Juan cosa avreste deciso di fare per oggi?»
«E’ difficile adesso… Lasciatemi un po’ di tempo per riordinare le idee. Siete un vecchio pazzo testardo! Però siete anche l’amico migliore che potessi incontrare…»
Sewell si girò e si allontanò, non voleva che l’amico s’accorgesse del subbuglio di emozioni che stavano mettendo a dura prova il suo abituale autocontrollo. Camminò fino all’ingresso della volta arborea e si fermò a riflettere. Guardava dritto verso il fondo del tunnel per scorgere gli ostacoli che avrebbero dovuto superare di lì a poco, ma la vista si era offuscata. Fu allora che con una mano si asciugò le lacrime.

Alle dieci e mezzo del mattino i tre uomini si avviarono nel tunnel della gola diretti alla grotta principale dell’enorme complesso sotterraneo di Arauna. Si erano equipaggiati a dovere: indossavano giacconi di tela grossa trattata con cera d’api e olio di lino per renderla impermeabile. Sotto i giacconi delle maglie di alpaca li avrebbero tenuti al caldo, mentre come attrezzature si portarono corde, picconi, strumenti per la raccolta di eventuali reperti e le indispensabili lanterne.
Greenstone fu l’unico a portarsi un’arma da fuoco: il suo Winchester 1876. Juan invece aveva con sé un Bowie da caccia che, anche se lo considerava un semplice attrezzo da lavoro, nelle sue mani poteva diventare un’arma micidiale.
Poco prima l’indio aveva udito le parole dei due scienziati standosene in disparte, in fondo lui era lì unicamente per svolgere le mansioni per cui era stato assunto. Durante il cammino tuttavia, quando si trovò ad affiancare lo scozzese, sentì il bisogno di dire qualcosa: «Sir Joseph, non preoccupatevi per Monsieur Verdoux. La forza di volontà può fare miracoli, ed egli vuole continuare la missione… Non si arrenderà facilmente! E poi lo terrò d’occhio, quindi state tranquillo!»
Sewell fece un cenno d’assenso senza dire nulla, lo sguardo fisso in avanti esprimeva tutto il suo disagio.
Greenstone era un uomo ancora giovane. Aveva compiuto da poco trentasei anni, ma aveva vissuto una tale quantità di esperienze in giro per il mondo che si era ormai temprato ad affrontare e superare ogni tipo di avversità, o quasi. Era abituato a valutare e risolvere le situazioni accorpando tutto sotto il suo esclusivo controllo. Non si fidava granché del prossimo e fino a quel momento i fatti gli avevano dato ragione.
Ma quella mattina, la confessione dell’amico l’aveva spiazzato.
Era successo tutto all’improvviso e in uno dei momenti forse più delicati dell’intera spedizione. Si rendeva conto che la situazione non era più sotto il suo controllo, anzi. La morte dell’amico era dietro l’angolo e non poteva farci nulla. Non c’era un nemico da cui difendersi, non c’era una scappatoia al destino, era soltanto questione di tempo.
Per uno come lui era una sensazione d’impotenza quasi insopportabile. Lo scopo stesso della missione che l’aveva portato fin lì rischiava di finire in secondo piano.

Dopo la confessione di Verdoux i due scienziati non si erano più scambiati una parola. Il cammino procedeva di buon passo e Greenstone aveva impartito le istruzioni per l’esplorazione della grotta a voce alta, evitando di guardare in faccia i due compagni. Il suo disagio era evidente, ma non riuscì a trovare nessun modo per superarlo se non quello di rinchiudersi in un silenzio meditabondo. Jacques Verdoux, dal canto suo, si era tenuto in coda al gruppo limitandosi a osservare l’ambiente circostante con apparente noncuranza.
Una volta giunti all’imboccatura della grotta, il francese si portò al fianco di Sewell e gli afferrò un braccio bloccandolo. «Joseph, ho bisogno di sapere se vi fidate ancora di me!» disse con tono quasi implorante. «Ditemi dunque, vi fidate ancora di me?»
La veemente quanto improvvisa iniziativa del francese sortì l’effetto insperato di scuotere Greenstone dal suo isolamento. Lo scozzese si voltò, fissò l’amico con un’aria di sincera riconoscenza e dichiarò: «Jacques, non ho mai smesso di avere fiducia in voi… Come potrei? Mi avete sempre dimostrato di credere in me anche quando tutti i nostri stimati colleghi, da Parigi a Londra, ridevano del sottoscritto. Ricordate? Avete messo in gioco la vostra reputazione per sostenermi! Ora scopro pure che siete mio benefattore, mettendomi nel vostro testamento…» fece una breve pausa poggiandogli una mano sulla spalla. Poi aggiunse: «Sarò sempre in difetto con voi, lo sapete Jacques… E sono onorato che abbiate deciso di affrontare questo difficile momento con me al vostro fianco… E in ogni modo, per quel che ne so, in questo dannato posto abbiamo tutti quanti una discreta probabilità di lasciarci la pellaccia!»
I due risero e si abbracciarono.
Anche Juan, di solito imperturbabile, accennò un sorriso, poi disse: «Sir Joseph, col vostro permesso io accenderei le lanterne…» ficcò una mano nella bisaccia estraendovi un acciarino e un paio di radici sbucciate di manioca, si avvicinò allo scozzese e gliene porse una, «Tenete, è yuca dolce. Stamane non avete ancora mangiato nulla!»
Greenstone accettò volentieri, addentò la radice e s’inoltrò oltre il buio della caverna.
I suoi due compagni fecero altrettanto.

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Carlo Tassi

Ferrarese classe 1964, disegna e scrive per dare un senso alla sua vita. Adora i fumetti, la musica prog e gli animali non necessariamente in quest’ordine. S’iscrive ad Architettura però non si laurea, si laurea invece in Lettere e diventa umanista suo malgrado. Non ama la politica perché detesta le bugie. Autore e vignettista freelance su Ferraraitalia, oggi collabora e si diverte come redattore nel quotidiano online Periscopio. Ha scritto il suo primo libro tardi, ma ha intenzione di scriverne altri. https://www.carlotassiautore.altervista.org/


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it