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Il 10 novembre Non Una Di Meno – Ferrara è scesa in piazzacome in tutta Italia per chiedere il ritiro immediato del ddl Pillon.

Da: Non Una Di Meno Ferrara

Consideriamo questa proposta in perfetta continuità con il decreto sicurezza e la mozione antiabortista cittadina che mirano adindebolire l’autodeterminazione delle donne italiane e migrantinella propria definizione di soggetto libero dal patriarcato, dal razzismo e dal neoliberismo. Infatti, tutti questi attacchi istituzionali alla nostra libertà sono complici nell’ostacolare in maniera subdola il divorzio, nel diffondere notizie falsate sull’interruzione di gravidanza e fuorvianti rispetto ai reali problemi connessi con la maternità, nell’impedire, con il pretesto della sicurezza, di fornire degna accoglienza e assistenza a tutti i migranti e le migranti, in particolare alle donne vittime di violenza.

Nello specifico:

Pretendiamo il ritiro del ddl Pillon perché promuove un modello di giustizia privata che rappresenta un arretramento per le libertà e i diritti di tutte e tutti. Il ddl Pillon infatti: nega l’accesso alla giustizia per coloro che non possono sostenere le spese legali; limita la libertà di educare i figli e le figlie con l’imposizione della figura del coordinatore genitoriale a titolo non gratuito; impone un modello di regolamentazione delle attività genitoriali precostituita ed obbligatoria che impedisce di prendere in esame ogni caso specifico, valutando l’interesse dei e delle minori.

Pretendiamo il ritiro del ddl Pillon perché impone la mediazione familiare obbligatoria non gratuita in tutte le separazioni in cui siano coinvolte figlie e figli minorenni. Il ddl Pillon rappresenta la complicità dell’apparato statale con il patriarcato laddove trascura l’ipotesi che una separazione possano scaturire da violenza fisica, sessuale, psicologica o economica. Le donne che cercano di sottrarsi a questi soprusi attraverso il divorzio, vengono costrette a trattare con il loro stesso aggressore. In questi casi la mediazione obbligatoria è inapplicabile come previsto dalla Convenzione di Istanbul a cui l’Italia ha aderito. In generale, la mediazione ha un costo e può gravare in particolare sulla parte più debole economicamente delle coppie che in Italia sono le donne. Al danno si aggiunge la beffa se si considera che il Senatore Pillon possiede uno studio di mediazione familiare.

Pretendiamo il ritiro del ddl Pillon perché presuppone l’esistenza della sindrome da alienazione parentale. Il ddl Pillon prevede che il bambino o la bambina che sceglie di non restare con uno dei due genitori sia allontanata dalla sua casa, collocata presso un parente o inviato in una “apposita struttura specializzata”, la cosiddetta casa-famiglia. Di nuovo, si ignorano i possibili casi di violenza assistita che viene misconosciuta nel testo della legge. Il legislatore si pone in una relazione punitiva nei confronti dei e delle minori limitando la loro libertà di manifestare sentimenti e bisogni.

Pretendiamo il ritiro del ddl Pillon perché strumentalizza l’errata sovrapposizione di conflittualità e violenza intra-familiare. Il ddl Pillon introduce un pesante ricatto per scoraggiare la denuncia di violenza subita dal marito. Infatti, se la donna sarà sospettata di manipolare i figli contro il padre, rischia di perdere la «responsabilità genitoriale». Le donne dovranno trattare col proprio aggressore e lasciare che i figli lo frequentino fino al passaggio in giudicato di una condanna penale definitiva. Il ddl Pillon è esemplare della natura patriarcale dello stato e mette a rischio l’incolumità psico-fisica delle donne e dei e delle minori che subiscono violenza.

Pretendiamo il ritiro del ddl Pillon perché in nome della bi-genitorialità, favorisce la condotta del genitore abusante. Il ddl Pillon prevede che il 50% del tempo venga passato con ognuno dei genitori. Anche in questo caso, le e i minori vengono trascurati: la stabilità psicologica dei/delle bambini/e viene minata dall’assegnazione di un doppio domicilio. Anche in questo caso, la violenza domestica viene ridotta al grado di lite coniugale rendendo la frequentazione dei genitori obbligatoria anche in caso di condotte violente. Anche in questo caso, la situazione economica femminile è resa ancora più precaria dall’assenza dell’assegno di mantenimento sancita dalla bigenitorialità perfetta.

Pretendiamo il ritiro del ddl Pillon perché arma padri violenti.Finché la violenza domestica non è “comprovata” bambini e bambine saranno costretti ad avere rapporti con il padre violento, in tutela della cosiddetta «bigenitorialità». In Italia la giustizia penale è più lenta di quella civile, perciò il/la minore in attesa del giudizio in sede penale dovrà obbligatoriamente frequentare la casa del genitore violento.

Pretendiamo il ritiro del ddl Pillon perché sostituisce l’assegno di mantenimento con il mantenimento diretto. Il ddl Pillon abolisce l’assegno di mantenimento: chi si trova in una situazione di maggiore dipendenza economica e povertà – quasi sempre le donne – sarà sottoposta a un vero e proprio ricatto economico, affronterà la separazione o il percorso di liberazione dalla violenza domestica al prezzo di una crescente precarietà. Non si tiene inoltre in nessun conto il gap salariale di genere e il fatto che una donna su 4 perde il lavoro dopo la maternità.

Pretendiamo il ritiro del ddl Pillon perché è uno strumento di controllo sociale. In nome della «bigenitorialità», bambine e bambini non avranno alcuna possibilità di scelta e dovranno sottostare al «piano genitoriale» redatto (a pagamento) da un «mediatore familiare»: obbligate/i a vedere entrambi i genitori per almeno 12 giorni al mese, potranno essere costrette/i a un trasloco costante da una casa all’altra. Ogni attività del/della minore sarà inserita nel piano genitoriale, riducendo la libertà educativa di ogni genitore. Il piano genitoriale ripristina la potestà genitoriale in luogo della responsabilità genitoriale.

Pretendiamo il ritiro del ddl Pillon perché rappresenta un modello familiare unico, tradizionale, patriarcale ed eteronormato. Il ddl Pillon prende a modello la famiglia mononucleare eterosessuale di matrice patriarcale e lo impone a tutte e tutti. Reintroduce la patria potestà del capofamiglia e la subordinazione della figura femminile; limita il riconoscimento dei diritti di bambine e bambini; rende separazione e divorzio un lusso per poche e pochi. Quello immaginato dal ddl Pillon è un mondo in cui tutti gli uomini sono padri, mariti e padroni e tutte le donne devono essere madri e mogli subordinate.

Pretendiamo il ritiro del ddl Pillon perché opprime doppiamente le donne migranti. La scelta di libertà sarà resa ancora più pesante per le donne migranti il cui permesso disoggiorno è legato a quello dei mariti. In questo senso, il ddl Pillon è in perfetta coerenza con la xenofobia istituzionale nel nostro paese e rappresenta un valido alleato del decreto sicurezza.

Pretendiamo il ritiro del ddl Pillon perché utilizza la dipendenza economica come leva del comando patriarcale. Il ddl Pillon si pone in continuità con le politiche di precarizzazione del governo grillo-leghista e di tutti i precedenti. Così come il reddito di cittadinanza rappresenta uno strumento per obbligare al lavoro gratuito, per abbassare i salari ed irrigidire le gerarchie razziste della società, i provvedimenti del ddl Pillon che ignorano le disparità lavorative, retributive ed economiche tra uomini e donne in Italia rafforza l’ordine patriarcale di subordinazione femminile.

Pretendiamo il ritiro del ddl Pillon perché considera la violenza come uno strumento legittimo per garantire l’equilibrio familiare. Il ddl Pillon replica l’approccio del decreto Salvini per il quale gli stupri subiti dalle donne migranti durante il viaggio non sono più considerati ragione per concedere un permesso di soggiorno. La violenza maschile e di genere diventa quindi uno strumento legittimo per impedire l’autodeterminazione delle donne e la libertà di movimento. In linea con il decreto Minniti e il piano nazionale per la fertilità, questo governo attacca per prime donne e migranti perché si rifiutano di abbassare la testa.

Pretendiamo il ritiro del ddl Pillon perché promuove stereotipi e pregiudizi di genere. Il ddl Pillon presume che le donne accusino falsamente i partner di violenza, che utilizzino le e i minori contro i padri e che strumentalizzino il contributo economico del mantenimento. In questo senso, rappresenta solo una faccia della medaglia del patriarcato che dall’altro lato vuole che le donne siano madri e sole. Come dimostra il mancato rifinanziamento al congedo paternità previsto dalla Manovra 2019 che relega la cura dei figli alle donne, limitando la loro possibilità di mantenere un lavoro e rendendoli dipendenti economicamente dal partner in un circolo vizioso di sottomissione e subordinazione.

Pretendiamo un piano femminista antiviolenza contro la violenza domestica e l’oppressione familiare, contro i ruoli e le gerarchie di genere. Pretendiamo educazione sessuale diffusa, contraccezione gratuita e libera e aborto sicuro contro gli attacchi ripetuti alla nostra libertà di abortire da parte dello Stato o delle istituzioni locali come a Ferrara. Pretendiamo un reddito di autodeterminazione senza vincoli morali e di cittadinanza, universale ed incondizionato contro lo sfruttamento e la subordinazione del capitale. Pretendiamo un permesso di soggiorno europeo svincolato da lavoro, reddito e matrimonioperché crediamo che la libertà di movimento praticata ogni giorno dalle migranti e dai migranti sia la condizione della nostra libertà. Siamo in stato di agitazione permanente verso la manifestazione nazionale del 24 novembre a Roma e lo sciopero globale femminista dell’8 marzo.

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Riceviamo e pubblichiamo



PAESE REALE
di Piermaria Romani

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)