di Mauro Marchetti
Nel dibattito apertosi sui “voucher” in agricoltura, che ha visto i sindacati confederali reagire con insolita e nervosa asprezza all’intervento di Alcide Mosso (che se non altro ha avuto il merito di gettare un sasso nello stagno sonnolento della nostra provincia) “sento” riemergere la stessa ostilità che fu riservata al progetto di riforma ideato da Marco Biagi nonché alla sua stessa persona.
La stessa ostilità che ha colpito Matteo Renzi quando si è permesso di “ritoccare” l’art.18 dello Statuto dei Lavoratori (legge n.300/70).
Certe sensazioni sono come il profumo del mare. Quando ci sei vicino lo “senti”, anche se non lo vedi.
Certo, sarebbe bello che tutti avessero un contratto a tempo indeterminato, con retribuzioni elevate, numerosi benefit e la garanzia di non poter essere licenziati, ma il mondo della realtà è un po’ diverso dal mondo dei sogni.
E scambiare i due piani porta sempre ad epiloghi disastrosi.
C’era un tempo un mercato del lavoro ingessato, nel quale esisteva,di norma, la “chiamata numerica” (senza possibilità di scelta da parte del datore di lavoro) e un imprenditore poteva assumere un dipendente a termine solo in precise e dettagliatissime circostanze. Se no, fioccavano le sanzioni. Poi si fecero piccoli passi, ma poco significativi.
Ci trovavamo insomma di fronte a quello che Marco Biagi definiva “il peggiore mercato del lavoro in Europa”. Un mercato spezzato in due, tra “garantiti” e “non garantiti”. E qual era il desiderio – spesso volutamente ignorato – del grande giuslavorista? Combattere la precarietà e insieme allargare i confini dell’occupazione attraverso una maggiore flessibilità del lavoro.
Marco Biagi (come tanti altri prima di lui nella sanguinosa stagione degli “anni di piombo”) venne criminalizzato perché non solo aveva ragione, quanto perché aveva dimostrato che “un’alternativa era possibile”, che si poteva perseguire con governi e maggioranze di diverso orientamento e che si poteva portare sia pur gradualmente a compimento.
Un pericolo certamente insopportabile per i conservatori di qualsiasi tipologia, per i sacerdoti laici della rigidità riservata a chi già era garantito,per i nostalgici della lotta di classe.Biagi dava molto fastidio perché si era spinto avanti, quasi da navigatore solitario, nel “mare magnum” del diritto del lavoro,cercando di sprovincializzare il dibattito e aprire le finestre verso una complicata modernità che era stolto e alla fine impossibile ignorare, sciogliendo da lacci e lacciuoli un mercato del lavoro frenato e bloccato che non invogliava ad assumere e danneggiava soprattutto i più deboli, veri fantasmi di cui nessuno si occupava seriamente.
Aggiungo che pure da morto Marco Biagi è stato demonizzato e denigrato come “l’inventore della precarietà”, quando invece il suo progetto unitario e complessivo prevedeva maggiori tutele al precariato, alla mobilità lavorativa e al processo di reinserimento veloce nel mercato del lavoro, non frenato dalle pastoie burocratiche che ancor oggi, in periodo di Coronavirus, stiamo sperimentando.
Il percorso riformista (che Biagi desiderava caratterizzato da un’impronta cristiana di fondo) è sempre difficile : perché esplora sentieri inediti, perché presuppone mente aperta e rigore intellettuale, perché si scontra inevitabilmente con le resistenze corporative,con gli interessi stratificati nel tempo, con i conservatorismi di ogni risma e di ogni colore, non esclusi quelli sindacali, di cui la CGIL è stata spesso capofila.
Auspico dunque che la sorda e acrimoniosa ostilità sindacale nei confronti del ripristino dei “voucher” quale strumento “smart” da utilizzare – almeno temporaneamente – in agricoltura, venga meno e lasci il posto ad un sereno dibattito in cui nessuno si stracci le vesti e si possano contemperare, nell’interesse di tutti, le esigenze degli imprenditori e quelle dei lavoratori che operano nei campi e nelle imprese agricole.
Un pubblico dibattito su questo tema, che organizzazioni sindacali e imprenditoriali del mondo agricolo potrebbero mettere in cantiere a Ferrara, sarebbe il miglior omaggio a un grande giuslavorista che ha pagato con la vita il suo impegno a trasformare il mondo del lavoro con il fine di renderlo più equo e più ricco di opportunità per tutti.
Riceviamo e pubblichiamo
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