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“La clinica ‘Ferrara Day Surgery Srl’, dove lavorano decine di medici, ha ricevuto un’interdittiva antimafia. Il rischio che la clinica possa essere condizionata dalla criminalità mafiosa è confermato anche dalle recenti sentenze del Consiglio di Stato e del Tar”. Ad affermarlo è Elia Minari, coordinatore dell’associazione culturale antimafia Cortocircuito, autore di inchieste sulle mafie in Emilia. “Alla base – spiega – ci sono per esempio i rapporti economici intercorsi tra la famiglia proprietaria dell’impresa medica e persone ritenute dalla Prefettura contigue alla criminalità organizzata di stampo mafioso. Inoltre nelle sentenze (del Tar e del Consiglio di Stato) si legge che la famiglia proprietaria della clinica ha utilizzato ingenti quantità di contanti per acquistare immobili. Secondo i giudici amministrativi sono state violate le norme sulla tracciabilità dei flussi finanziari. Nelle stesse sentenze si legge che alcuni dipendenti dell’impresa “Services Group”, che controlla il 100% della società della clinica di Ferrara, “risultano avere rapporti di stretta parentela con soggetti detenuti per associazione di tipo mafioso e ritenuti comunque contigui a cosche di ‘ndrangheta”; inoltre altri dipendenti “risultano segnalati nella banca dati delle forze dell’ordine”.
Ecco a cosa si riferisce Elia Minari, coordinatore dell’associazione culturale antimafia ‘Cortocircuito’ quando parla di negazione della realtà. Come ormai è ben chiaro a tutti sono lontani i tempi in cui ‘mafia’ era sinonimo di Sicilia e di uomini con la coppola in testa. Da molti anni la piovra ha allungato i suoi tentacoli in zone d’Italia un tempo considerate immuni: Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Piemonte…

Quali sono le attività più soggette ad infiltrazioni di stampo mafioso?
Ormai non c’è settore che possa dichiararsi completamente estraneo, ma gli ambiti privilegiati sono edilizia, autotrasporto, slot machine e ristorazione. Il problema maggiore è che non si tratta di “attività soggette ad infiltrazioni”, dato che numerosi imprenditori emiliani cercano loro gli uomini della ‘ndrangheta. E non il contrario. È dimostrato anche dalle intercettazioni telefoniche della Direzione distrettuale antimafia di Bologna. Molti imprenditori del nord ogni giorno richiedono i ‘servizi’ delle mafie: smaltimento dei rifiuti, manodopera sottocosto, ingresso nei subappalti, false fatturazioni, recupero crediti, soldi freschi per prestiti facilitati.

Un’associazione culturale di Reggio Emilia che si occupa di criminalità organizzata di stampo mafioso: come mai?
‘Cortocircuito’ nasce nel 2009 come giornalino studentesco di alcuni licei della città di Reggio Emilia. Quando abbiamo iniziato, realizzando alcune semplici interviste, non ci saremmo aspettati che emergessero casi così preoccupanti. Ma non ci siamo fermati: da otto anni approfondiamo, con video-inchieste e reportage, la penetrazione delle mafie nel Nord Italia. Oggi frequentiamo l’università e abbiamo fondato un’associazione, che si chiama sempre ‘Cortocircuito’, per continuare queste attività. Le nostre inchieste nascono da ciò che vediamo sul territorio con i nostri occhi. Poi approfondiamo i fatti collegando tra di loro diversi documenti: visure camerali di imprese, delibere di Comuni, atti catastali, interdittive antimafia, piani urbanistici, ecc. Così cerchiamo di decifrare i rapporti d’affari e le relazioni. Andando oltre la superficie dei pregiudizi, ci siamo resi conto che molte delle figure chiave hanno cognomi nordici. Negli ultimi anni abbiamo realizzato delle inchieste sui cantieri della linea Tav tra Milano e Bologna, sulla costruzione di alcune scuole, sugli affari di due discoteche emiliane e sui subappalti dello smaltimento dei rifiuti.

La vostra associazione ha rotto un tabù: quella di considerare il fenomeno mafioso circoscritto a determinate regioni del Sud Italia. Quale è stata la molla che ha dato vita alla vostra prima inchiesta?
La prima inchiesta nasce da un luogo frequentatissimo da molti miei coetanei: una discoteca di Reggio Emilia. Lì si tenevano anche le feste d’istituto del mio liceo, con i professori presenti. Non era un locale qualunque: secondo la Prefettura la discoteca era “luogo di smercio della droga” e spazio utilizzato come “ritrovo di affiliati della cosca provenienti della Calabria”, nonché “paravento per riciclare denaro di provenienza illecita”. Alla mia domanda ingenua: “Perché si organizzano le feste ufficiali del liceo in questa discoteca?”. La risposta era stata: “È un luogo noto. È la discoteca più alla moda della città, con la musica più di tendenza”. I due proprietari, di allora, di questa discoteca sono entrambi coinvolti nell’operazione “Aemilia”. Eppure, fino ad alcuni anni fa, si tendeva a negare.

Avete mai ricevuto intimidazioni o minacce per la vostra attività d’inchiesta?
Credo non occorra fare del vittimismo, preferisco parlare del contenuto delle nostre inchieste. Più impressionanti delle minacce sono state alcune reazioni inaspettate. Ad esempio, nel paese emiliano di Brescello un gruppo di cittadini è sceso in piazza per contestare la nostra video-inchiesta e negare le infiltrazioni mafiose nel territorio. Eppure alcuni mesi dopo il consiglio comunale di Brescello è stato sciolto per infiltrazioni mafiose, il primo caso in Emilia-Romagna. Negli scorsi mesi il parroco di Brescello su Rai 1 ci ha accusati di “diffamare il paese” e, intervistato dal giornale ‘Il Resto del Carlino’, ha dichiarato: “Cortocircuito ha fatto danni al turismo”. Negli anni scorsi un imprenditore edile ci ha anche intimato, dando un pugno al nostro microfono, di cambiare argomento e mi ha detto: “Ti vengo a prendere fino a casa”; oggi questo imprenditore è imputato nel maxi-processo “Aemilia”

Il 23 marzo dello scorso anno ha appunto preso il via il maxi-processo di ‘ndrangheta denominato “Aemilia”: quale è stato il contributo di Cortocircuito in questo e in altri processi?

Quando abbiamo iniziato non ci saremmo aspettati che alcune nostre inchieste sarebbero state utilizzate da parte della magistratura in processi giudiziari. Siamo orgogliosi di aver potuto dare il nostro piccolo contributo, da studenti. Ma fondamentale è il lavoro dei magistrati. Una nostra inchiesta è stata anche proiettata in Tribunale, da parte della Direzione distrettuale antimafia di Bologna, nel processo di confisca dei beni milionari di Francesco Grande Aracri, condannato in via definitiva per associazione mafiosa

La vostra associazione ha ricevuto tantissimi premi e riconoscimenti, non ultimo il premio “Scomodo” consegnatovi nel 2014 dal Presidente del Senato Pietro Grasso: siete paghi dei risultati ottenuti o vi prefissate ulteriori obbiettivi?
L’obbiettivo è continuare a realizzare inchieste sulla criminalità mafiosa nel Nord Italia. Oltre a sensibilizzare un numero sempre maggiore di cittadini, attraverso incontri pubblici (dal 2009 ne abbiamo realizzati oltre duecento). Occorre scuotere le coscienze dei cittadini e mostrare, basandosi in modo rigoroso sui fatti, quali sono le conseguenze del radicamento mafioso nel nostro territorio. Ancora oggi troppi cittadini del Nord percepiscono il fenomeno mafioso come distante dalle proprie vite, solo perché apparentemente “non si vede”. Eppure i danni sono impressionanti: la ‘ndrangheta in Emilia ha distorto le logiche del mercato e della libera concorrenza in alcuni settori economici nevralgici. Inoltre la criminalità organizzata nella nostra regione è riuscita anche a “intervenire pesantemente su organi di informazione”, fino ad arrivare, in alcuni casi, a “impadronirsi” di testate locali. Quest’ultime sono le parole scritte in una relazione dalla Direzione nazionale antimafia, massimo organo in materia.

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Simona Gautieri



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